Compri un libro del genere, e ti aspetti la genesi e il disvelamento di un talento letterario puro.
C'è anche questo, beninteso, nel romanzo Vivere per raccontarla, ma solo come tassello di uno stupendo in quanto magico mosaico; ancora più magico perché, questa volta, reale. E vieni a scoprire, così, che è reale proprio perché magico, il sacco di ossa dell'antenata che segue gli spostamenti della famiglia; magico perché reale, il quartiere di filo spinato della zona bananiera che in Cent'anni di solitudine "proclamò con bandi solenni l'inesistenza dei lavoratori"; e ancora magico e allo stesso tempo reale il colonnello Marquez che assumerà il nome di Buendia dal personaggio della copertina di un libro.
Poi la povertà, vissuta come un'opportunità, che sembra cullare il talento di Marquez che solo relativamente tardi riesce a conservare qualche "barca a remi" oltre che per la famiglia, anche per sé; e ancora il viaggio sul fiume Magdalena per recarsi al Liceo che, se tutto filava liscio, durava tre settimane ma che non appena iniziavano le piogge torrenziali, poteva prolungarsi anche mesi, tra alligatori sbadiglianti e avvoltoi con occhi di brace.
Gli amici di una vita, la musica al suono del tiple, i reportages giornalistici, i primi racconti.
Gli amori a rischio della vita, i vestiti improbabili che riconquistano la primigenia funzione di stoffe anonime per coprirsi
Il tutto sullo sfondo di una Colombia universo-mondo troppo complessa per esaurirsi in una guerra seguita da una pace; uno stato nello stato che deve nutrirsi del conflitto perenne per far sbocciare la rosa delle proprie contraddizioni.
È questo l'universo di Gabito in cui può orientarsi solo l'anima semplice di un genio della letteratura appesa all'amaca di dieci fratelli e all'ombra di una madre espressione della "grandeur" di tutte le donne.
Questo e tantissimo altro ancora, fino a una lettera spedita che avrebbe dovuto essere il lasciapassare di una nuova vita ma a cui c'è stata la risposta della vita, lì e già.
Un difetto? Paragrafi un po' troppo lunghi.
C'è anche questo, beninteso, nel romanzo Vivere per raccontarla, ma solo come tassello di uno stupendo in quanto magico mosaico; ancora più magico perché, questa volta, reale. E vieni a scoprire, così, che è reale proprio perché magico, il sacco di ossa dell'antenata che segue gli spostamenti della famiglia; magico perché reale, il quartiere di filo spinato della zona bananiera che in Cent'anni di solitudine "proclamò con bandi solenni l'inesistenza dei lavoratori"; e ancora magico e allo stesso tempo reale il colonnello Marquez che assumerà il nome di Buendia dal personaggio della copertina di un libro.
Poi la povertà, vissuta come un'opportunità, che sembra cullare il talento di Marquez che solo relativamente tardi riesce a conservare qualche "barca a remi" oltre che per la famiglia, anche per sé; e ancora il viaggio sul fiume Magdalena per recarsi al Liceo che, se tutto filava liscio, durava tre settimane ma che non appena iniziavano le piogge torrenziali, poteva prolungarsi anche mesi, tra alligatori sbadiglianti e avvoltoi con occhi di brace.
Gli amici di una vita, la musica al suono del tiple, i reportages giornalistici, i primi racconti.
Gli amori a rischio della vita, i vestiti improbabili che riconquistano la primigenia funzione di stoffe anonime per coprirsi
Il tutto sullo sfondo di una Colombia universo-mondo troppo complessa per esaurirsi in una guerra seguita da una pace; uno stato nello stato che deve nutrirsi del conflitto perenne per far sbocciare la rosa delle proprie contraddizioni.
È questo l'universo di Gabito in cui può orientarsi solo l'anima semplice di un genio della letteratura appesa all'amaca di dieci fratelli e all'ombra di una madre espressione della "grandeur" di tutte le donne.
Questo e tantissimo altro ancora, fino a una lettera spedita che avrebbe dovuto essere il lasciapassare di una nuova vita ma a cui c'è stata la risposta della vita, lì e già.
Un difetto? Paragrafi un po' troppo lunghi.
Da leggere.