giovedì 26 settembre 2013

Maledetto, benedetto Sassuolo!


Eccomi qui.  Fustigato, da tifoso napoletano, dalla sferza mefistofelica che non ti aspetti; o meglio, che non può brandirsi perchè potenzialmente incapace dell'abbrivio necessario a procurarti dolore.
Un attimo dopo il 93esimo, stai lì come inebetito a pensare che il record delle cinque vittorie consecutive è rimasto imbrigliato negli striscioni del tutto esaurito del San Paolo.
Ti si sparapanza, allora, davanti agli occhi la classifica (
perché non rendi poi

quel che prometti allor? perché di tanto

inganni i figli tuoi?) che vede la tua squadra del cuore intrippata al secondo posto.
 
"Maledetto Sassuolo!" - ti viene da digrignare a mezza bocca, deluso e incazzato.
Poi, una luce.
Golia e Davide. Leonida e Serse. Che Guevara e Batista.
Il rosso ideale vomita cavalloni sul lago delle sicurezze quantistiche.
Il credo egualitar-rivoluzionario che ha ispirato tutta la tua vita ruggisce indomito.
"Il Napoli comunque vincerà lo scudetto."
"Benedetto Sassuolo!"

martedì 24 settembre 2013

Il Castello del Tondo Sacro

         
Ed è arrivato il giorno dell’ultimo Consiglio Comunale prima delle vacanze estive.

Nonostante i mastodontici condizionatori verde pisello appollaiati sulla testa dei Dioscuri ( le buone cose di pessimo gusto ), l’Aula del Consiglio appare refrattaria a qualsiasi, pur insistito, anelito di frescura.

I problemi sono tanti. Le forze scarseggiano. La voglia di risolverli sta già spaparanzata su qualche spiaggia da 40 € a lettino. Ciononostante, l’esimio signor sindaco Allagricoltura Braccia Rubate deve pur scioglierli ‘sti nodi gordiani che lo separano, ultimi di un lungo rosario di grattacapi, dall’approdo patinato alle isole Free Scura. Ora, non che si pretenda che vengano affrontati e risolti tutti e cinque i problemi che ingolfano l’agenda politica, ci mancherebbe, ma almeno di uno, il principale, non può essere rinviata la trattazione: la “questione monnezza” che attanaglia la città di Castellanea.

Dopo quattro ore e passa di Consiglio, le proposte sono appena tre.

Il cav. Grossa Làsparo, paonazzo in viso e sudaticcio, s’affanna a caldeggiare la trovata, a suo dire geniale, consistente nell’intombare i rifiuti cittadini in tante fosse scavate proprio accanto alle tombe dei cari estinti;  ciò quasi a voler significare che come ogni uomo, durante tutta la sua vita, porta seco pene ed affanni allo stesso modo, al sopraggiungere dell'Eguagliatrice che numera le fosse, si fa accompagnare dalla sua bella porzione di rifiuti. E già perché se i cittadini di Castellanea si rifiutano di accollarsi il peso della propria spazzatura, qualcuno dovrà pur farlo. E chi meglio dei loro defunti che sicuramente nulla potranno obiettare in proposito? Da non sottovalutare poi, l’allusivo messaggio spirituale dell’accostamento blasfemo di tale poltiglia maleodorante con la purezza dell’anima dei castellaneti.

L’ing. Perco Lato, più semplicemente, se n’è uscito con la proposta di utilizzare i rifiuti, opportunamente trattati, per asfaltare le strade della città.

Anche perché, in questo modo, si potrebbe avviare a soluzione un altro annoso problema che tormenta i sonni degli abitanti di Castellanea. Come quale? Quello della moltitudine di piccioni e gabbiani che insozzano la cittadina, no? E già perché questi uccelli fetenti, attirati dal fetore che esala dai rifiuti, sicuramente verrebbero investiti e spiaccicati al suolo dalle auto in corsa non appena si decidessero a planare sulle strade.

L’ultima idea è quella appena accennata dal dott. Uto Pista. Ben a ragione si utilizza il verbo “accennare” perchè il meschino ha avuto solo il tempo di tratteggiare la sua proposta prima che un branco inferocito di risate e di pernacchie aggredisse il suo già scarso senso di autostima.

“Chi va per questi mari…”. Come si fa, infatti, a proporre come soluzione della “questione monnezza” la raccolta differenziata? Mica si può scambiare i nobili castellaneti per porci costretti a sguazzare, tra le mura linde e candide della propria casa, nella poltiglia nauseabonda di rifiuti addirittura da differenziare?

Pazzia allo stato puro. 

Uno stanco moto d’impazienza del sindaco:<Signori, di riffa o di raffa, il problema lo dobbiamo risolvere. E che diamine, mica possiamo seppellire la spazzatura sotto le mura del Castello del Tondo Sacro?>

Silenzio lungimirante.

A momenti sarebbe stato possibile avvertire lo sferragliamento della cervicale dei Dioscuri alimentata dalle zaffate dei condizionatori verde pisello.

In seconda fila, s’erge imperioso l’avv. Zione Specula, già proprietario della catena alberghiera Legibusolutus Hotel.

Un sorriso ammaliatore. La favella ispirata. E dopo un discorso intriso di “interesse generale”, “salute pubblica”, “senso di responsabilità”, la proposta.

Negli occhi magri e segaligni dell’avvocato, s’incarna l’ennesimo business: un altro albergo, il più bello e lussuoso, che svetta sparluccicoso sulle rovine del “castello della monnezza” che dovrà necessariamente essere abbattuto non appena le sue sature mura saranno contaminate dal tanfo pestilenziale.

<La proposta ai voti.> Così sentenzia il sindaco Allagricoltura  Braccia Rubate.

L’inclito consesso approva all’unanimità.

Afa gelatinosa che paralizza i collegamenti neuronali.

L’opposizione, la cittadinanza tutta non profferiscono parola.

Si trivella alacremente la collina, proprio lì, sotto la cinta muraria del castello. E così ( miracoli dell’ingegneria avveniristica! ), tempo un paio di mesi, si scava un profondo abisso a forma di imbuto. Alla popolazione ora stregata dalle magnifiche sorti e progressive del progetto, sembra quasi che il vertice di questo cono origini ( a tal punto appare profondo ) dal centro della Terra. Proprio lì, il punto più lontano dal Paradiso dove, come opportunamente fa notare la professoressa Ura Kult, l’eccelso Consiglio Comunale pare aver confinato il lume della ragione.

E così, tra i tornanti riottosi della collina che porta al castello, ogni mattina, si arrampicano i tir baldanzosi per il prezioso carico. Ed è un sabba infernale di miasmi, rumori, gasolio bituminoso.

Per le strade della città, manco uno straccio di rifiuto. E pazienza per il fetore acre della fermentazione che, sebbene compresso all’interno dello scavo, pur riesce a trovare qualche varco per sgaiattolare via; pazienza pure per la crescita esponenziale dei carcinomi registrata in tutta Castellanea. Degna di poco conto poi, è anche l’invasione di gabbiani che coronano il nobile capo del maniero.

Oddio, non che non ci sia, al di fuori della città, qualche pseudo-intellettuale che appari scandalizzato dalla geniale soluzione trovata alla “questione monnezza”. E, d’altra parte, come meravigliarsi? E’ risaputo, infatti, che ogniqualvolta il dito indica la luna, sono proprio gli imbecilli quelli che s’attardano a guardare il dito.

Così è stato, così sarà in saecula saeculorum. Amen.

Che poi, se proprio non bastasse a convincere della bontà della scelta effettuata, ci sono pur sempre i dati che parlano chiaro: consenso al 90% per Allagricoltura Braccia Rubate & C. in vista delle imminenti elezioni comunali; articolo sparato in prima pagina su PecuniaOlet, il più importante quotidiano della città ( il rilievo mosso dalla professoressa Ura Kult, ancora lei, che a più riprese ha fatto presente come si tratti di un giornale il cui editore sia proprio l’avv. Zione Specula, s’appalesa come un’insinuazione a tal punto gretta e meschina da non meritare alcuna considerazione ); prevista esportazione, dietro pressanti e continue richieste, del modello “ammazza-rifiuti” anche in altri borghi limitrofi.

Insomma, e non poteva essere diversamente, successo a trecentosessanta gradi.

Qual è il male del mondo? Il limite, la misura. Se non ci fosse il vuoto che diventa pieno, la distanza destinata ad essere raggiunta, le ore condannate a passare, probabilmente tutto sarebbe sospeso ed imperituro.

E così, finanche l’abissale voragine di Castellanea sta per essere colmata.

Urge un altro Consiglio Comunale.

L’avv. Zione Specula, inoculato il bacillo pernicioso dell’angoscia nell’animo degli astanti, con cipiglio severo, così conclude:<E’ l’unica: fa d’uopo sfruttare il castello come contenitore. Da calcoli effettuati con certosina precisione, tenendo conto dell’altezza della sua cinta muraria, della superficie del maniero e di numerose altre variabili che non sto qui ad elencarvi risulta che, adottando siffatto sistema, la popolazione di Castellanea sarà sollevata dall’angoscia dei rifiuti almeno fino alla fine dell’inverno.>

Ipse dixit.

<Ma…!>. Una congiunzione. Per di più, avversativa.

Il varco è qui?

I Dioscuri, frastornati dalla spada di Damocle dei condizionatori verde-pisello che continuano a vomitare aria calda, per un attimo trattengono il respiro.

<La proposta ai voti.> Così sentenzia il rieletto sindaco Allagricoltura  Braccia Rubate.

L’inclito consesso approva all’unanimità.

Il freddo pungente intirizzisce i collegamenti neuronali.

Ai primi di dicembre, le possenti mura del Castello del Tondo Sacro appaiono come quella carta spessa che avvolge il cilindro del panettone appena prima che questi si gonfi a formare la capocchia.

La tenace professoressa Ura Kult, la cui mente è tetragona ai colpi dell’afa così come del freddo pungente, riesce finalmente ad organizzare un timido movimento di opinione che si oppone allo stato di degrado e d’imbarbarimento del glorioso Castello del Tondo Sacro.

Nel frattempo, la stomachevole cappella diviene sì sproporzionatamente grande che basterebbe il peso di una decina di gabbiani che vi si posino per farla franare.

Urge un ennesimo Consiglio Comunale che puntualmente si tiene.

Ancora una volta, a monopolizzare la scena, trovasi l’esimio avv. Zione Specula. E’ consapevole, il legale in questione, come manchi davvero poco affinché sulle macerie della coniugazione perifrastica passiva di tutta una vita ( castrum delendum est ) sorga un rifulgente perfetto ( castrum deletum est ). Un progetto, il suo, che ha mirabilmente sfruttato un’esigenza collettiva, quella di liberarsi dal materiale di risulta della società consumistica, fino a farla diventare il sostrato su cui erigere le fondamenta del suo tornaconto personale.

Oramai ci siamo, manca davvero poco. Giusto il tempo di prelevare dalla scarsella gli inveterati strumenti della sopraffazione e il suo sogno scellerato, iniziato con lo scavo di quell’immensa voragine nella collina, proseguito poi con l’imbottitura parossistica del castello con tonnellate di monnezza, troverà il giusto coronamento.

L’avv. Zione Specula si alza con flemma ieratica dal suo seggio, inforca gli occhiali, s’aggiusta il nodo della cravatta a pois e così esordisce:<Carissimi concittadine e concittadini. Ormai, com’è ben chiaro a tutti, la misura è colma. Il prestigioso Castello del Tondo Sacro sta per essere annientato dal peso dei nostri rifiuti. Una perdita importante, senz’ombra di dubbio. Ma com’è prerogativa dei migliori, il suo sgretolamento non sarà vano. Allo stesso modo dell’Araba Fenice infatti, risorgerà dalle sue ceneri a memento non solo del suo illustre passato ma anche di un difficile ed ugualmente importante presente; e già perché è in questi giorni che codesto nostro castello si è trasformato nell’ultimo baluardo contro la tirannia della monnezza. Ed è allora, proprio ad ideale continuazione di cotanto passato e di sì prestigioso presente, che vengo a tracciare le linee guida di un fulgido futuro per il nostro amato maniero. Ebbene sì, care concittadine e cari concittadini: fa d’uopo edificare, sulle sue autorevoli fondamenta ormai corrose dal tarlo del degrado, lungo il suo inclito perimetro già irrimediabilmente violato dal peccato originale, un novello tempio pagano…già, carissimi, un grande albergo, il più lussuoso e avveniristico che, a suo modo, possa perpetrare i fasti del fu Castello del Tondo Sacro.>

Appena il tempo di ultimare il suo intervento che, dalla porta istoriata dell’Aula del Consiglio, spuntano una serie di cartelli di protesta coraggiosamente issati da un nutrito manipolo di manifestanti. A capo di questa protesta, manco a dirlo, la professoressa Ura Kult.

I Dioscuri, indegnamente addobbati per le imminenti festività natalizie, si sorprendono a commuoversi, increduli spettatori di questa sollevazione popolare.

La speranza, però, ha appena il tempo di fare capolino dall’aula che una schiera di poliziotti, armati di tutto punto, si catapulta sui manifestanti, disperdendoli in quattro e quattr’otto.

Dopo qualche “ma…”, “forse…”, “non sarebbe…”, tutto ritorna all’assurda normalità.

<La proposta ai voti.>

Castore e Polluce, ormai prevedendo l’esito di quella votazione, dopo aver sopportato e malvolentieri tollerato, nell’ordine, zaffate di aria fredda, vampate di calore artificiale, ridicoli festoni e imbarazzanti bardature natalizie, al pensiero che saranno costretti ad assistere all’ennesimo, sciagurato scrutinio, non intendono farcela. Si guardano complici per l’ultima volta e si lasciano cadere, l’uno sull’altro in una ideale ics, quasi a voler apprestare l’estrema difesa al castello, in ossequio ad un’intesa connaturata al loro stesso essere.

Dopo una breve sospensione durata il tempo necessario a liberare la sala dai detriti delle due statue, il Consiglio Comunale riprende.

L’inclito consesso approva ancora all’unanimità.

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta, non donne di  povincie ma bordello!

E’ la vigilia di natale. La professoressa Ura Kult, così come una trentina di altri abitanti di Castellanea, non se la sente proprio di festeggiare. La finestra gelida racchiude una luna innaturalmente gonfia, costretta a sopportare lo scempio di quelle sinistre pale meccaniche ferme proprio lì, lungo le mura del Castello del Tondo Sacro.

La nonna Ura Kult si sforza di apparire serena al nipotino. E, come ogni sera che il buon Dio manda in Terra, s’accinge a leggergli una favola, vivamente speranzosa che stavolta possa alleviare, oltre il sonno del piccolino, anche il suo.

I bambini di oggi, si sa, sono estremamente sensibili ed il piccolo Uro Fut non fa certamente eccezione. Non gli risulta difficile, infatti, notare come in un’altra occasione mai la nonna avrebbe mancato di sfruttare la magnifica luce della luna per leggergli la favoletta serale così come si ostina a fare stasera, pervicacemente voltata di spalle alla finestra che dà sul castello. Ed allora capisce che non può esimersi dal porre questa domanda:<Nonnina…- e indicando con la manina il satellite tumefatto – perché….il castello?>.

A questo punto nonna Ura Kult si rende conto che non ne può fare più a meno. Piange e sorride. Sorride e piange. Chiude il librone verde delle favole ed inizia a parlare al nipotino ed alla sua coscienza.

<Vedi, piccolo Uro Fut, questo – e non appena si volta verso il castello assediato, le lacrime scorrono più copiose – che noi chiamiamo il Castello del Tondo Sacro, in realtà, ha sempre avuto una storia estremamente umile. Mai una legge è stata promulgata in questo maniero. Nessun personaggio importante vi ha fatto giammai visita. Non c’è traccia di qualche poeta,  scrittore o artista che abbia frequentato la sua corte. E questo perché pare che, fin dai tempi più antichi, ci si fosse persuasi che il castello portasse sfortuna. Sai com’è i grandi, a volte, ne dicono di stupidaggini. E il bello è che poi, spesso, ci credono pure. Comunque, questa fama di castello maledetto sembra essere stata alimentata da diversi accadimenti poco piacevoli avvenuti tra le sue mura; ultimo dei quali, attorno all’anno 1345, la morte dell’intera famiglia reale a causa della peste. Da quel giorno, nell’intento di esorcizzare questo nefasto destino che sembrava accanirsi contro il nostro maniero, si decise di attribuirgli la denominazione “del Tondo Sacro”, laddove il termine “tondo” sta per zero, nullità assoluta.

Il piccolo e accorto Uro Fut, bisbigliando qualcosa tra sé e sè, spiana il pollice, poi l’indice e il medio e resta un attimo interdetto. Guarda la nonna e chiede:<Saccro?>

<Già, – sorride Ura Kult – hai proprio ragione. Il termine mancante, l’aggettivo “Sacro”, vuole essere una sorta di assicurazione preventiva contro altri lutti che potrebbero colpire la città di Castellanea. E’ come se i nostri antenati avessero detto: “Voi asserite che il castello non vale niente, che il suo prestigio è pari a zero? Ebbene, noi castellaneti lo chiamiamo sì il “Castello del Tondo” ma ci affibbiamo pure l’aggettivo “Sacro” perché la sacertà, foss’anche riferita al nulla, attesta pur sempre la presenza protettrice del divino.” E così, caro Uro Fut, è nata la denominazione “Castello del Tondo Sacro”>

Il piccolino, estremamente attento ad ogni parola di questa insolita ma affascinante favola, chiede curioso:<E il castello….per te?>.

Ed allora la nonna, trovando il coraggio di voltarsi per l’ultima volta nella direzione del maniero, osando ripercorrere con lo sguardo le possenti mura seminascoste da cumuli di rifiuti, brandisce un sorriso carico d’amore:<Per me, dici, cosa significa il castello? Praticamente la presenza costante, la testimonianza autentica della vita della nostra famiglia. Con la complicità delle sue ruffiane merlature, infatti, ho amato tuo nonno. Cullata dalla sua poesia, ho messo al mondo tua mamma. Nutrito dall’eternità delle mura del castello, sei cresciuto tu, piccolo Uro Fut . Al riparo dei suoi burberi bastioni infine, ho pianto la morte del mio adorato sposo e avrei voluto trovare la morte anch’io>.

Pianta un bacio sulla fronte meditabonda del piccolo. Gli rimbocca le coperte. Smorza la lampada. Chiude il librone verde. 

Adesso, con le lacrime impreziosite dal chiarore lunare, si congeda dal nipotino:<Come vedi, per me, il nostro castello è il più prestigioso di tutti. E pure tu, anche quando sarà violato definitivamente, vanne sempre orgoglioso.>

Quella notte, sullo schermo immaginifico della mente di Uro Fut, vengono proiettate immagini fantastiche ed avventurose: cavalieri, re, dame, cavalli bianchi lanciati al galoppo per combattere l’ennesima ingiustizia. Un microcosmo variegato e multicolore che trova la sua origine nell’anima del Castello del Tondo Sacro. Ed è proprio l’anima o, per dirla con Platone, l’idea stessa della castellaneità ( tutto avviene lì dove solo alligna il segreto dell’Universo: la fantasia di ogni bambino del mondo ), a ingenerare la deflagrazione della barriera storica, la liberazione dei topos letterari. Ed eccoli allora, presenze evanescenti ed invincibili, ectoplasmi della storia e delle arti documentati da studiosi ed eternati dalle pagine della letteratura, convogliati in quel castello dall’Idea della Rotondità per antonomasia, anch’essa nata nelle mura di un famoso maniero: lo Spirito della Tavola Rotonda ( la democraticità, l’uguaglianza ) di re Artù e dei suoi cavalieri.

A mezzanotte in punto quindi, proprio mentre il sindaco Allagricoltura  Braccia Rubate, l’avvocato Zione Specula e tutti i membri del Consiglio Comunale stanno issando i calici della disonestà e del malaffare per un brindisi propiziatorio, un caravanserraglio pantagruelico e pestilenziale di rifiuti esplode in aria dalle viscere del Castello del Tondo Sacro e ivi rimane, per un attimo sospeso, in trepidante attesa. E ciò fino a quando lo Spirito della Tavola Rotonda, stavolta divertendosi ad abdicare alla sua millenaria funzione eguagliatrice, non si decide a dividere il puzzolente carico in relazione al grado di stoltezza ed imbecillità dei singoli protagonisti della vicenda.

E’ Natale. La città si sveglia e guarda sulla collina. Il Castello del Tondo Sacro sparluccica in tutto il suo ritrovato splendore. Dei cumuli di monnezza, manco l’ombra.

Passato il piacevole stupore, gli occhi ritornano a guardare il contado di Castellanea.

Lo stupore continua.

La città si scopre turrita. Quindici pilastri di varia grandezza si innalzano verso il cielo. Quelli tremendamente grossi e lunghi, addirittura oltrepassanti le stesse nuvole sono, guardacaso, proprio quelli che s’innestano sulle case dell’avvocato Zione Specula e del sindaco Allagricoltura  Braccia Rubate.

Evento strano, stranissimo. Ancora più strano perché queste colonne, che sembrano sorreggere il cielo, sono fatte di monnezza compressa.

Si consultano scienziati. S’interrogano indovini.

All’interno del prestigioso Castello del Tondo Sacro è spuntata una tavola, ovviamente rotonda. Ah, dimenticavo: non si sa come né perché ( d’altra parte, se si sapesse sempre tutto non ci sarebbe spazio per le favole! ) i Dioscuri, dati ormai per spacciati dopo la rovinosa caduta, siano ritornati a presenziare, finalmente contenti e beati, la Sala degli Arazzi del castello da cui furono sfrattati per abbellire l’Aula del Consiglio.

Su ciascuna delle loro teste, campeggia una feritoia.

Da qui, ogni mattina, la brezza porta i colori ed il profumo del mare.