mercoledì 24 febbraio 2016

Per la Salerno di tutti, Rifondazione Comunista c'è




C’è qualcosa che non quadra, che sfugge al rassicurante luogo comune. Cosa? Beh, innanzitutto l’ubicazione della sede. Dico io, siete comunisti? E allora, per la barba di Marx, dovreste ritrovarvi in un cantuccio oscuro e cospirativo, in una via che quantomeno evochi officine e quarto stato (non per niente, la sede nazionale si chiamava, a ragione, Botteghe oscure!). E invece trovo Rifondazione Comunista di fronte all’istituto tecnico Trani, in un palazzo dall’atrio luminoso(!) ubicato in via Gelso(!!).

A me non la fanno. Prima di citofonare cerco un significato recondito, cabalistico, subliminale del termine gelso: saggezza, simbolo dell’amore imperituro tra Piramo e Tisbe.

Alquanto contrariato, arrivo al portone. Mi apre un ragazzo sui vent’anni, sorridente, che mi fa segno di “parlare piano”, indicandomi una stanza chiusa.

“Bingo! Passi il ragazzo dall’aspetto gentile, ma lì c’è odore di setta segreta contro i plutocrati salernitani.”

<Oltre quella stanza – mi spiega il giovane ancor prima che possa gongolare per la ritovata cospirazione – ci sono i compagni del doposcuola popolare. È un servizio che rifondazione offre ai ragazzi delle famiglie colpite dalla crisi.>

E io, disperato: < Sì, ma a pagamento, cioè gli insegnanti…>

<I militanti – il mio interlocutore, quasi offeso – prestano – precisa – servizio di volontariato. Ma ecco il nostro segretario, Loredana Marino.>

A questo punto, m’arrendo. L’omaccione barbuto e sudaticcio dal cipiglio del “sotuttoio” della mia immaginazione stempera le sue fattezze in una ragazza bionda e riccia, con i tratti da ragazzina e lo sguardo determinato; insomma, una segretaria in equilibrio tra leggerezza e rigore.

Ormai ho abbandonato ogni pregiudizio e mi accingo ad ascoltare.

Vengo a sapere, dalla voce appassionata della Segretaria, che Rifondazione Comunista sta promuovendo un confronto con tutte le forze di sinistra per dare voce a una Salerno altra da quella deluchiana dei comitati di affari in città; una Salerno diversa che sappia fare tesoro dell’esperienza amministrativa trascorsa ma che sia anche in grado di aprirsi ai movimenti, alle istanze dal basso della società.

Loredana Marino, con l’accento dell’indomito cilento che ogni tanto fa capolino dalle sue parole, non si limita alle dichiarazioni di principio. Offre anche il modello che possa fare da collettore per le diverse esperienze di sinistra: quella Salerno di tutti che in questi mesi, oltre a costituire la dicitura per il nuovo simbolo per le amministrative, ha funzionato da vero laboratorio di idee in cui sono state affrontate tematiche vitali per la nostra città (urbanistica, luci d’artista, Ideal Standard, etc.).

<Ma non basta!> La segretaria di Rifondazione comunista, proprio nel momento in cui sembra aver trovato la stella polare da seguire, rilancia, consapevole della difficoltà delle prossime amministrative.

Ed ecco, allora, che la Marino mette in campo l’idea che sola potrebbe, da un lato, smuovere la fanghiglia che asfissia e ammorba Salerno da oltre venticinque anni e, dall’altro, dare finalmente peso specifico rilevante alla sinistra: una sintesi di esperienze, di competenze, di passione civile e politica, cioè, tra la succitata Salerno di tutti e il Comitato referendario per il No alla riforma costituzionale Renzi-Boschi.

Il varco è qui.

Il nostro incontro sta per volgere al termine. Nel frattempo che io e la segretaria stavamo parlando, la federazione si è riempita di età diverse e di professioni disparate.

Ma la politica non era in crisi di persone e di entusiasmi?

Mentre saluto tutti, resto colpito dalla biblioteca della federazione e da un sorpassato albero di natale fatto di…libri.

Sulla porta, la Segretaria di Rifondazione Comunista mi saluta. Poi, improvvisamente, il suo sorriso indossa i panni da lavoro.

<Scusami, abbiamo dimenticato di parlare dell’intervista di Asilo Politico uscita sabato sui giornali. A questo proposito, mi preme dire che nella costruzione di questo percorso che auspichiamo più condiviso possibile, siamo pronti a confrontarci anche con Asilo Politico, proprio partendo dal documento che hanno presentato alla stampa e ai cittadini.>

venerdì 19 febbraio 2016

Porto di Salerno:l'insostenibile leggerezza dell'accorpamento

 

Porto di Salerno: sto aspettando il mio uomo al Bar Dogana

Come, infatti, nell’antichità i Fenici si orientavano in mare, di notte, grazie all’Orsa Minore, allo stesso modo io, per raccapezzarmi nel microcosmo portuale, ho bisogno di un contatto: nella fattispecie, dell’ottimo Massimo Grimaldi, responsabile Yard e Gates del porto di Salerno.

Arriva trafelato, sempre inseguito dalle voci gracchianti della radio in dotazione.

Una stretta di mano, un caffè e via.

Giusto il tempo di circumnavigare il “Giù le mani dal porto di Salerno” e il “A difesa della nostra città” dei rimorchi blu e arancio testimoni della protesta, che arriviamo all’ingresso.

Il porto spalanca le sue fauci e m’inghiottisce con il suo caravanserraglio di sensazioni.

Sembra di essere all’interno dell’Etna, nella fucina di Efesto. I lavoratori, i container, le gru, le stive delle navi, tutto insomma, è ostaggio di un’ordinata alacrità.

Voglio conferme alle mie impressioni. Il mio cicerone mi accompagna dal responsabile pianificazione dello Yard, dr. Giuseppe Gallozzi.

Dalle parole giovani e competenti del mio interlocutore, oltreché dai documenti mostratimi apprendo, tra l’altro e in aggiunta a quanto letto in questi giorni, che:

  • l’Autorità portuale di Salerno, a differenza di quella di Napoli, spende fino all’ultimo centesimo dei Fondi europei;
  • il porto di Salerno è, per ordine d’importanza, la prima risorsa economica della città;
  • nel 2016, il tempo d’attesa per l’imbarco è sceso a max 2 ore dato, quest’ultimo, coerente con la politica di efficienza da sempre perseguita dall’Autorità;
  • recentissimamente si è provveduto ad alcuni ammodernamenti relativi alle banchine (le più vecchie, adesso, sono del 2011), ai fondali, all’imboccatura.
  • il porto di Salerno si aprirà ancora di più, a partire da marzo 2016, ai mercati di India, Sud Africa e di altre realtà economicamente vivaci;
  • con l’accorpamento del porto di Salerno a quello di Napoli, alcuni dipendenti diretti dell’Autorità, a oggi stimabili in circa 2000 unità, potrebbero rischiare il posto di lavoro.

Via via che ascolto le parole del dr. Gallozzi e leggo i documenti a supporto della narrazione, mi faccio persuaso di quanto sia insensato quest’accorpamento del porto di Salerno con quello di Napoli. E ciò, beninteso, non in nome di una gretta questione di campanile quanto, piuttosto, sulla scorta di una banale considerazione: Salerno e Napoli, pur geograficamente assai vicine, hanno dinamiche di sviluppo, strategie imprenditoriali e know-how del tutto diversi e, ciononostante, perfettamente compatibili. A patto, però, che si mantenga la doppia voce Salerno-Napoli, per parlare più forte e, all’occorrenza, anche di più il linguaggio già fin troppo vilipeso della nostra terra. Proprio per questo, e anche per altro, è necessario mantenere in vita l’Autorità portuale di Salerno accanto a quella di Napoli.

Trovata conferma alle mie prime impressioni, saluto il dr. Gallozzi e ritorno da Massimo Grimaldi. Dopo avermi fatto un cenno d’intesa, la mia guida si sente in dovere di regalarmi, compatibilmente con il suo tempo che è sempre gravido di impegni, una fugace visita all’Area Usmaf deputata, mi spiega solerte, all’ispezione dei container in entrata e in uscita (<Nessun porto – mi dice con lo sguardo orgoglioso – ha un’area Usmaf attrezzata come la nostra  e in cui si fa un controllo così approfondito dei prodotti dell’import e dell’export.>).

La radiolina riprende a invocare l’attenzione del mio accompagnatore. Risponde qualcosa al collega dall’altra parte del microfono. Mi fa segno che la visita è finita. Si ferma all’improvviso, però. Come indispettito per aver finanche pensato di soprassedere al suo proposito mi invita, ancora e per ultima cosa, a entrare nella pancia di una nave: <Un minuto solo – e una volta lì -Adesso chiudi gli occhi – mi fa – e ascolta.>

Mi basta proprio un minuto per capire quello che mi vuole far sentire Massimo Grimaldi. In questa stiva, per un minuto solo, ho ascoltato l’indispensabilità del porto di Salerno.

Ci salutiamo. Sono ormai fuori dall’organismo ospitante. Tempo di completare la manovra di retromarcia che il telefono squilla:<Vince’, so’ Massimo. Te ne sei salito per il viadotto Gatto, sì? Ma ci pensi alla nostra crescita, nonostante già adesso siamo il sesto porto d’Italia, con l’apertura delle gallerie Salerno Porta Ovest?>