giovedì 6 marzo 2025

"Il Maestro e Margherita", di Michail Bulgakov (trad. Vera Dridso), Einaudi

   


     In un caldo tramonto primaverile, agli stagni Patriarsie, il direttore del MASSOLIT Bernioz rampogna il giovane poeta Ivan Nikolaevic: il poema antireligioso che gli ha commissionato non lo soddisfa per niente. E sì perchè Nikolaevic avrebbe dovuto provare l'inesistenza di Gesù piuttosto che limitarsi a dipingerlo a tinte molto fosche.

    A rubare la scena ben presto ci pensa un forestiero. Si intromette nella discussione con delle osservazioni strampalate sull'ateismo, sulle parole scambiate a colazione addirittura con Kant (siamo nella Russia di Stalin!) e sul fatto che lui c'era quando Ponzio Pilato interrogava il Messia e poi lo abbandonava alla sua sorte.

    Il direttore e il poeta concludono di trovarsi al cospetto di un pazzo, vieppiù quando Woland (questo è il nome dello sciroccato straniero), nel sottolineare che l'uomo non è in grado nemmeno di rispondere del proprio domani, aggiunge mellifluo, rivolto a Berlioz: "magari uno ha deciso di andare a Kislovodsk", Annuska però versa inaspettatamente dell'olio di girasole per terra. Il tizio in questione, allora, scivola, va a finire sotto al tram e viene inavvertitamente decollato.

    Ebbene quando, qualche ora dopo, il direttore decide di recarsi proprio a Kislovodsk, con tutti gli annessi e connessi anticipati dal losco figuro, non c'è altra strada che invocare le arti magiche o quelle diaboliche. Il diavolo, per l'appunto, accompagnato dai suoi improbabili compari, tra cui lo spassosissimo Behemoth (un gattone pantagruelico, capace di assumere tranquillamente la posizione eretta e di parlare).

    Woland e i suoi accoliti, allora, occupano la casa del defunto Berlioz, nella famigerata via Sadovaja, numero 50 (ancora adesso meta di pellegrinaggio per i lettori di Bulgakov).

    Il demonio (una trasfigurazione dell'onnipotente Stalin?) ne ha per tutti: per i burocrati corrotti, per il Teatro (in cui lo stesso autore ha lavorato e presentato opere) e la letteratura infarciti di pseudo, mediocri intellettuali, per le manie piccolo-borghesi del ceto medio russo.

    A un certo punto irrompe sulla scena l'amore salvifico di Margherita (pure lei irretita da Woland) verso il Maestro autore di un manoscritto su Ponzio Pilato (di nuovo la figura del procuratore della Giudea a cui sono dedicati brani di un pathos struggente) bruciato sull'altare dell'incompresione letteraria. Eppure, tra sabba infernali alla ricerca di una logica nell'illogicità delle nostre vite, tra donne coraggiose che si "instregano" e brutti ceffi vogliosi di essere innervati dall'ultimo (dannato) anelito di vita, il manoscritto del Professore riappare: i manoscritti, come sardonicamente chiosa il grande Woland, non muiono mai.

    Alle anguste menti dei piccoli uomini, non restano che le pareti bianche e asettiche dell'ennesimo manicomio (o catartica follia!) in cui provare a spiegarsi l'inspiegabile.

    «Dunque tu chi sei?»

    «Una parte di quella forza che vuole costantemente il Male e opera costantemente il Bene». (Goethe, Faust)



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