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Il mandarino della devozione

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Il grado di maturazione del frutto ha scelto il suo raccoglitore. Mi sarebbe bastato accontentarmi di arance meno aspre per avere la comodità di riceverle a casa senza pagar pegno. E invece, quest’anno, ho deciso di piantare i piedi per terra. Voglio fare incetta di spremute e allora…«le vuoi “arraggiate”come il fiele? E vai va’, vattele a raccogliere tu!». È troppo tardi per raggiungere un compromesso. Il guanto di sfida è stato lanciato. Eccomi qui, quindi, in precario equilibrio sullo scaletto, mentre riempio le due cassette più che sufficienti a raccogliere la provvista di quest’anno. Nonostante il vento freddo che, a tratti, mi puntella i lembi del giubbotto sui rami con cristalli acuminati di gelo, il lavoro è ormai giunto al termine: zac, e altre due arance alla mia sinistra guadagnano il fondo della cassetta; zic, e pure il frutto qui a destra collassa tramortito nel contenitore ben posizionato a intercettarne la caduta. Mi guardo intorno. Porto, infine, lo sg...

Il Ciliegio di don Ciccillo

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Don Ciccillo, a novant’anni suonati, li aspetta. Fosse stato per lui, si sarebbe fatto portare fuori al balcone fin dalle 6. Quell’intordonuto di Muhammad, però, se non si fanno le 7,30, col cavolo che si butta giù dal letto! Poco male tanto, all’andata, prima delle 8,30, i ciclisti non passano. Muhammad lo aiuta ad alzarsi, a lavarsi e a vestirsi; infine, gli prepara la sdraio sul balcone. Oddio, nei giorni ventosi come questo, dovrebbe impedirgli di piazzarsi lì ma…«i soldi te li do io, e tu fai quello che ti dico!». Autoritario? Macché: don Ciccillo gli vuole, ricambiato, un bene dell’anima a Muhammad. Solo che il vecchio appartiene a una generazione di stenti poco incline ai sentimentalismi. In ogni caso, come tutte le domeniche è lì, appollaiato sul trespolo della solita visuale: un angolo di tornante che sfocia in un tratto pianeggiante e il suo albero succoso di ciliegie . Al primo passaggio, ancora freschi di gamba, i ciclisti ignorano la te...

4,15, 4 e 17 massimo

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4 e 15, 4 e 17 massimo. Anche stanotte. Così è, «né cangia stile.» C’avevo provato a sottopormi alla tortura cinese del «Porta a porta» con Salvini. Eppure, nonostante avessi collegato ogni neurone agli ondeggiamenti ossequiosi del Bruno nazionale, malgrado mi fossi predisposto a servirmi di tutte le scempiaggine del Matteo «ruspante» a mo’ di scarica elettrica, non c’è stato verso. A dispetto dell’ora tarda in cui è finito il programma stanotte, come tutte le notti, mi sono svegliato alle 4 e 15, minuto più, minuto meno . Ormai non disturbo nemmeno più la sveglia. A che serve, infatti, interrompere la sua fase rem azionando il led rosso, quando già so a che ora al mio cervello gli piglia lo sghiribizzo di accomodarsi sulla sedia del regista? Che poi, a dirla tutta, ci starebbe pure che la mente si mettesse ad analizzare la giornata appena trascorsa e quelle ancora da venire a un orario preciso, sia pure insolito. Il problema è un altro: il mio encefalo-regista, avendo una...

L'assunzione e l'esempio di Troisi

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A volte basterebbe un nonnulla per trasformare una legittima aspirazione personale in una battaglia (sindacale, politica, generazionale) collettiva. Come sappiamo, una delle tre ricercatrici che hanno isolato il coronavirus , Francesca Colavita , per la “vocazione per la ricerca” e per la “lodevole attività professionale”, è stata finalmente premiata: da vergognosa precaria a meritevole “effettiva” allo Spallanzani di Roma. Tutto giusto, per carità. Immaginiamo però per un attimo, un attimo solo, che la ricercatrice Colavita avesse reagito diversamente all’assunzione propostale; qualcosa del tipo: “Sono lusingata, ma la mia coscienza m’impone, mio malgrado, di rifiutare. La ricerca è stata portata avanti da tre dottoresse rigorosamente precarie: o ci assumete tutte con contratto a tempo indeterminato oppure…” Come dite? Una cosa del genere si vede solo nei film o si legge esclusivamente in qualche feuilleton d’infima categoria? Eppure io vi dico che vi sbagliate ...

Dalla Libia a Giovi

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In Libia , ma potrebbe essere in qualsiasi altro posto del mondo. Io so che tu non dirai di più. Tu sai che io non chiederò altro. Le missioni militari e la sensibilità dell’amico c’impongono la consegna del silenzio. E nelle sporadiche dirette whatsapp, tra gli equilibrismi di Al Sarraj , l’invito a cena appena torni a Giovi, gli appetiti di Erdogan , il provino di calcio di tuo figlio, si arriva al consueto, divertito punto morto: “sei il solito comunista.” Un altro paio di minuti in cui tu mi rinfacci di aver comunque fatto il militare e io che giustifico la mia naja con un improbabile soldato alla Thomas Sankara , che il tempo ci porta sottobraccio verso l’arrivederci. Ormai ho imparato a riconoscere tutte le gradazioni dei tuoi silenzi. Ora, per esempio, ti sei zittito non appena hai accennato all’ultimo incontro con la popolazione locale. Io ho capito. La tua pausa trasuda rispetto per la dignità di quella povera gente martoriata. Taccio anch’io, ristabilendo quel...