mercoledì 11 marzo 2020

Dalla Libia a Giovi



In Libia, ma potrebbe essere in qualsiasi altro posto del mondo. Io so che tu non dirai di più. Tu sai che io non chiederò altro.
Le missioni militari e la sensibilità dell’amico c’impongono la consegna del silenzio.
E nelle sporadiche dirette whatsapp, tra gli equilibrismi di Al Sarraj, l’invito a cena appena torni a Giovi, gli appetiti di Erdogan, il provino di calcio di tuo figlio, si arriva al consueto, divertito punto morto: “sei il solito comunista.”
Un altro paio di minuti in cui tu mi rinfacci di aver comunque fatto il militare e io che giustifico la mia naja con un improbabile soldato alla Thomas Sankara, che il tempo ci porta sottobraccio verso l’arrivederci.
Ormai ho imparato a riconoscere tutte le gradazioni dei tuoi silenzi. Ora, per esempio, ti sei zittito non appena hai accennato all’ultimo incontro con la popolazione locale. Io ho capito. La tua pausa trasuda rispetto per la dignità di quella povera gente martoriata. Taccio anch’io, ristabilendo quell’intesa atona che stupiva i nostri compagni delle elementari, tanto da farci guadagnare il soprannome di “yogurt alla banana”. Io banana, tu yogurt, questo me lo ricordo bene, ma fermati qui, non chiedermi l’aneddoto che ci avrà affibbiato questi strambi nomignoli. Mi costa troppa fatica ammettere di non rammentarlo più.
È proprio vero: la vita, a volte, è un fiume carsico. Si inabissa, segue vene così contorte e ramificate che ormai lo dai per perso, fino a che…puffete: te lo vedi ricomparire davanti, rigoglioso e rassicurante come se non avesse mai deviato di un millimetro dal tuo cammino.
La mia università, il tuo arruolamento. La tua famiglia, la mia instabilità. La tua parola inquadrata come recluta al C.A.R., le mie promesse infiacchite dalla professione. Poi, qualche anno fa, ci siamo ritrovati. Ci siamo riannusati per saggiare gli sconvolgimenti del tempo. Abbiamo abbozzato un sorriso soddisfatto: malgrado qualche inevitabile cambiamento, ‘sta vitaccia non ce l’ha fatta a stranirci. Tu il solito “tra due punti, c’è solo una e una retta”, io il consueto “la retta sissignore, ma una, due curve, no?”
Sorridi. Saluti.
E le folate del tuo ghibli riempiono i miei occhi di sabbia del deserto.
A presto, Augusto Parisi.   

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