In Libia, ma potrebbe essere in qualsiasi altro posto del mondo. Io so che tu non dirai di più. Tu sai che io non chiederò altro.
Le missioni militari e la sensibilità dell’amico
c’impongono la consegna del silenzio.
E nelle sporadiche dirette whatsapp, tra gli
equilibrismi di Al Sarraj, l’invito a cena appena torni a Giovi, gli appetiti
di Erdogan, il provino di calcio di tuo figlio, si arriva al consueto,
divertito punto morto: “sei il solito comunista.”
Un altro paio di minuti in cui tu mi rinfacci di
aver comunque fatto il militare e io che giustifico la mia naja con un
improbabile soldato alla Thomas Sankara, che il tempo ci porta sottobraccio
verso l’arrivederci.
Ormai ho imparato a riconoscere tutte le
gradazioni dei tuoi silenzi. Ora, per esempio, ti sei zittito non appena hai
accennato all’ultimo incontro con la popolazione locale. Io ho capito. La tua
pausa trasuda rispetto per la dignità di quella povera gente martoriata. Taccio
anch’io, ristabilendo quell’intesa atona che stupiva i nostri compagni delle
elementari, tanto da farci guadagnare il soprannome di “yogurt alla banana”. Io
banana, tu yogurt, questo me lo ricordo bene, ma fermati qui, non chiedermi l’aneddoto
che ci avrà affibbiato questi strambi nomignoli. Mi costa troppa fatica
ammettere di non rammentarlo più.
È proprio vero: la vita, a volte, è un fiume
carsico. Si inabissa, segue vene così contorte e ramificate che ormai lo dai
per perso, fino a che…puffete: te lo vedi ricomparire davanti, rigoglioso e
rassicurante come se non avesse mai deviato di un millimetro dal tuo cammino.
La mia università, il tuo arruolamento. La tua
famiglia, la mia instabilità. La tua parola inquadrata come recluta al C.A.R.,
le mie promesse infiacchite dalla professione. Poi, qualche anno fa, ci siamo
ritrovati. Ci siamo riannusati per saggiare gli sconvolgimenti del tempo.
Abbiamo abbozzato un sorriso soddisfatto: malgrado qualche inevitabile
cambiamento, ‘sta vitaccia non ce l’ha fatta a stranirci. Tu il solito “tra due
punti, c’è solo una e una retta”, io il consueto “la retta sissignore, ma una,
due curve, no?”
Sorridi. Saluti.
E le folate del tuo ghibli riempiono i miei
occhi di sabbia del deserto.
A presto, Augusto Parisi.
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