Raccontare
è un’esigenza insita nell’uomo fin dalla notte dei tempi. Si racconta di tutto,
dall’episodio più banale all’esperienza più strutturata. Eppure ci sono dei
momenti in cui il narrare, oltre che un bisogno, diventa un modo per
esorcizzare la morte. A volte, addirittura una maniera per rinviare
l’appuntamento con “l’Eguagliatrice (che) numera le fosse”. Già, proprio come
succede in questi tempi grami da Coronavirus: quando l’eccezionalità degli
eventi travolge la nostra routine, infatti, il racconto è lì che pretende
attenzione. E lo fa perché in grado di allontanare il pericolo o, pur non
potendo garantire la salvezza (“raccontare, raccontare, finché non muore più
nessuno” scrive Elias Canetti), di rimandarne l’epifania.
Ne “Le
Mille e una notte” un re, tradito dalla moglie prontamente decapitata, pretende
che ogni notte gli venga offerta una vergine da violentare e poi uccidere.
La figlia
del visir Shahrazad, ultima fanciulla rimasta da sacrificare, escogita un
piano: spalleggiata da sua sorella, inizia a raccontare una storia, e lo fa
così bene da incatenare a sé l’attenzione del re. Poi, puntualmente, sul più
bello si zittisce.
Il
sanguinoso sovrano bramoso di conoscere gli sviluppi della trama, le risparmia
la vita, convinto com’è che la notte appresso Shahrazad gli svelerà il finale e
allora lui potrà finalmente ucciderla.
Niente da
fare. Ogni notte la fanciulla racconta e ogni mattino interrompe la storia sul
più bello. E così per mille e una notte, fino a garantirsi salva la vita e il
lieto fine.
Come
dicevo all’inizio, il racconto non ha certamente il potere di allontanare il
“duro destino” della nostra finitudine (Heidegger), ma una cosa può farla: in
questo tempo di atomizzazione indotta dove tutte le nervature implicanti alterità
sono state recise, il raccontare può essere la fucina in cui si forgia l’umanità
nuova. A patto, ovviamente, che il racconto trovi orecchie non distratte dal
futile e dalle sovrastrutture, pronte a farsi ammaliare dalla magia del “cunto”.
Per mille e una notte, e una notte ancora, fino all’eternità.
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