venerdì 3 aprile 2020

L'avvocato che sconsigliava gli hobbies


Convinto che la cosa non potesse far altro che accrescere la mia considerazione ai suoi occhi: “Avvocato, lunedì prossimo non ci sarei, avrei la presentazione del mio libro…”
I dieci secondi successivi sguinzagliano un’ insolita increspatura sul suo sopracciglio.
“Tributario, fallimentare…qual è l’argomento trattato nel suo manuale?”
“Ehm…libro, avvocato. Sa, è un’opera di narrativa.”
La porzione d’aria tra la mia sedia blasfema e la sua poltrona ortodossa si condensa in tante, minuscole goccioline di disapprovazione.
“Cosicché lei avrebbe un hobby?”
Per un attimo mi vedo lì, piantato davanti al mio dominus, a chiedermi angosciato come abbia fatto, nonostante una vita morigerata, a buscarmi un hobby.
“L’avvocato deve avere un solo hobby: il suo lavoro. Se poi, nella propria giornata, c’è spazio anche soltanto per immaginare un’altra passione, allora, francamente…”
Com’era la distinzione tra gli avvocati propugnata da Luciano De Crescenzo? Ah, già: avvocati di grido, avvocati normali, paglietta, strascinafacenne e giovani di studio.
Ebbene, quel “francamente” dell’avv. Scuccimarra, metteva in moto un meccanismo logico-deduttivo deflagrante: se avessi continuato a perseguire il mio hobby, in altri termini, non sarei mai diventato un avvocato di grido; e poiché il mio dominus nel suo studio voleva solo avvocati che si addormentassero col codice e si svegliassero con l’agenda legale, mi avrebbe bellamente defenestrato, con conseguente difficoltà a mettere assieme il pranzo con la cena.
Morale della favola: l’unica presentazione del mio primo libro fu organizzata in un’intercapedine di solitudine, con la vergogna propria di chi si è macchiato di una colpa inemendabile.
Servì a poco.
A distanza di sei mesi dalla conoscenza del mio inconcepibile hobby, infatti, l’avv. Scuccimarra capì che, per quanti sforzi facessi, la scrittura, il pianoforte avrebbero sempre contaminato la limpidezza del suo diritto.
Sono passati un bel po’ di anni dalla mia esperienza presso lo studio “Scuccimarra&partners”.
Proprio oggi, però, ho letto del fattaccio: “l’avv. Pietro Scuccimarra, principe del foro di Roma, si è suicidato. Ignote le ragioni dell’insano gesto.”
Com’è possibile? All’improvviso una serie di flash illuminanti hanno preso a sferruzzare nelle mie sinapsi: covid-19, assenza di lavoro, mancanza di hobbies, apatia, disperazione.
Ho fretta di tornare a casa dalla spesa.
Manco il tempo di lavarmi per la cinquantesima volta le mani, che riprendo a leggere, scrivere e suonare.

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