Convinto che la cosa non potesse
far altro che accrescere la mia considerazione ai suoi occhi: “Avvocato, lunedì
prossimo non ci sarei, avrei la presentazione del mio libro…”
I dieci secondi successivi sguinzagliano
un’ insolita increspatura sul suo sopracciglio.
“Tributario, fallimentare…qual è
l’argomento trattato nel suo manuale?”
“Ehm…libro, avvocato. Sa, è
un’opera di narrativa.”
La porzione d’aria tra la mia
sedia blasfema e la sua poltrona ortodossa si condensa in tante, minuscole goccioline
di disapprovazione.
“Cosicché lei avrebbe un hobby?”
Per un attimo mi vedo lì, piantato
davanti al mio dominus, a chiedermi angosciato come abbia fatto,
nonostante una vita morigerata, a buscarmi un hobby.
“L’avvocato deve avere un solo
hobby: il suo lavoro. Se poi, nella propria giornata, c’è spazio anche soltanto
per immaginare un’altra passione, allora, francamente…”
Com’era la distinzione tra gli
avvocati propugnata da Luciano De Crescenzo? Ah, già: avvocati di grido, avvocati
normali, paglietta, strascinafacenne e giovani di studio.
Ebbene, quel “francamente”
dell’avv. Scuccimarra, metteva in moto un meccanismo logico-deduttivo
deflagrante: se avessi continuato a perseguire il mio hobby, in altri termini,
non sarei mai diventato un avvocato di grido; e poiché il mio dominus
nel suo studio voleva solo avvocati che si addormentassero col codice e si
svegliassero con l’agenda legale, mi avrebbe bellamente defenestrato, con
conseguente difficoltà a mettere assieme il pranzo con la cena.
Morale della favola: l’unica
presentazione del mio primo libro fu organizzata in un’intercapedine di
solitudine, con la vergogna propria di chi si è macchiato di una colpa
inemendabile.
Servì a poco.
A distanza di sei mesi dalla conoscenza del mio inconcepibile
hobby, infatti, l’avv. Scuccimarra capì che, per quanti sforzi facessi, la
scrittura, il pianoforte avrebbero sempre contaminato la limpidezza del suo
diritto.
Sono passati un bel po’ di anni dalla mia esperienza presso
lo studio “Scuccimarra&partners”.
Proprio oggi, però, ho letto del fattaccio: “l’avv. Pietro Scuccimarra,
principe del foro di Roma, si è suicidato. Ignote le ragioni dell’insano gesto.”
Com’è possibile? All’improvviso una serie di flash
illuminanti hanno preso a sferruzzare nelle mie sinapsi: covid-19, assenza di
lavoro, mancanza di hobbies, apatia, disperazione.
Ho fretta di tornare a casa dalla spesa.
Manco il tempo di lavarmi per la cinquantesima volta le mani,
che riprendo a leggere, scrivere e suonare.
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