martedì 17 marzo 2020

Melissa e Vinicio



Non c’è un modo giusto di reagire alle disgrazie. Ancora di più quando il dolore che ci colpisce trancia di netto le nervature della nostra umanità. Eppure ci sono delle persone che trasudano dignità pure nella disperazione più cupa.
Questa riflessione l’ho maturata appena dopo la morte di Melissa. Avrei voluto scrivere di lei subito, sull’onda della commozione per la sua tragica fine. Poi, però, mi sono detto: «Non puoi parlare di Melissa. Non l’hai mai conosciuta.» Ho desistito quindi, ma una parte della mia mente è rimasta vigile sulla vicenda, come se avessi un inspiegabile debito nei confronti della giovane salernitana. Ho letto gli articoli sui giornali. Ho seguito i post degli amici colmi di rabbia e disperazione. Ho assistito al cordoglio di una città afflitta per l’assurda morte di Melissa.
A un certo punto, del tutto involontariamente, ho iniziato a focalizzare la mia attenzione sul padre della ragazza.
Premetto: conosco Vinicio da molto tempo. Abbiamo giocato qualche partita di calcetto assieme e mi ha sistemato, un po’ di tempo fa, un dente ballerino.
Eppure mi sono ben presto convinto di non conoscerlo affatto, nemmeno superficialmente.
E così ho letto i suoi post su facebook. Ho raccolto le sue dichiarazioni sui giornali. Poi, il giorno dei funerali di Melissa, malgrado normalmente accampi mille scuse per non partecipare a simili celebrazioni, qualcosa mi ha obbligato a essere presente lì, in una San Mango gremita, per tributare l’ultimo saluto a Melissa.
Vinicio ha ricordato dal pulpito sua figlia con una sensibilità che mi ha toccato da subito le corde dell’anima. Ci ha reso partecipi del sorriso dei «tutto a posto!» con cui Melissa era solita stigmatizzare le piccole e grandi inquietudini della nostra quotidianità. Ci ha fatto vedere le sue dita emozionate che stringevano i biglietti per la partita dell’amata Juventus. Ci ha svelato la bramosia di una figlia che non può essere incanalata nella palude stagnante della morte. Ecco, a questo proposito, seguendo le suggestioni delle parole del padre, ho soppiantato immediatamente l’immagine statica della palude con quella di un oceano sferzato dai flutti. Già, proprio cosi: l’unico aldilà in grado di incamerare l’energia coinvolgente di Melissa, probabilmente è proprio un guazzabuglio di onde che s’impennano al ritmo delle sue esplosioni di vita.
Il feretro è scivolato via come una nave su un mare di teste fluttuanti. A un certo punto, Vinicio è stato assalito da un nugolo di persone che gli si stringevano attorno, lo baciavano, gli manifestavano in ogni modo il loro cordoglio.
Io non ho avuto il coraggio di avvicinarmi a lui. Non ho avuto la forza di affrontare quel padre che, pur annientato dal dolore, rincuorava lui chi era venuto lì per rincuorarlo ma che non era stato forte abbastanza da portare a termine il suo compito.
Il mio debito verso Melissa è saldato. Oggi posso scrivere di lei perché oggi finalmente la conosco. E conosco Melissa proprio attraverso la dignità e la compostezza di Vinicio, un padre e un uomo di cui la figlia sarebbe stata, ancora una volta, orgogliosa.

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