Non c’è un
modo giusto di reagire alle disgrazie. Ancora di più quando il dolore che ci
colpisce trancia di netto le nervature della nostra umanità. Eppure ci sono delle
persone che trasudano dignità pure nella disperazione più cupa.
Questa
riflessione l’ho maturata appena dopo la morte di Melissa. Avrei voluto
scrivere di lei subito, sull’onda della commozione per la sua tragica fine.
Poi, però, mi sono detto: «Non puoi parlare di Melissa. Non l’hai mai
conosciuta.» Ho desistito quindi, ma una parte della mia mente è rimasta vigile
sulla vicenda, come se avessi un inspiegabile debito nei confronti della
giovane salernitana. Ho letto gli articoli sui giornali. Ho seguito i post
degli amici colmi di rabbia e disperazione. Ho assistito al cordoglio di una
città afflitta per l’assurda morte di Melissa.
A un certo
punto, del tutto involontariamente, ho iniziato a focalizzare la mia attenzione
sul padre della ragazza.
Premetto:
conosco Vinicio da molto tempo. Abbiamo giocato qualche partita di calcetto
assieme e mi ha sistemato, un po’ di tempo fa, un dente ballerino.
Eppure mi
sono ben presto convinto di non conoscerlo affatto, nemmeno superficialmente.
E così ho
letto i suoi post su facebook. Ho raccolto le sue dichiarazioni sui giornali.
Poi, il giorno dei funerali di Melissa, malgrado normalmente accampi mille
scuse per non partecipare a simili celebrazioni, qualcosa mi ha obbligato a
essere presente lì, in una San Mango gremita, per tributare l’ultimo saluto a
Melissa.
Vinicio ha
ricordato dal pulpito sua figlia con una sensibilità che mi ha toccato da
subito le corde dell’anima. Ci ha reso partecipi del sorriso dei «tutto a
posto!» con cui Melissa era solita stigmatizzare le piccole e grandi
inquietudini della nostra quotidianità. Ci ha fatto vedere le sue dita emozionate
che stringevano i biglietti per la partita dell’amata Juventus. Ci ha svelato la
bramosia di una figlia che non può essere incanalata nella palude stagnante
della morte. Ecco, a questo proposito, seguendo le suggestioni delle parole del
padre, ho soppiantato immediatamente l’immagine statica della palude con quella
di un oceano sferzato dai flutti. Già, proprio cosi: l’unico aldilà in grado di
incamerare l’energia coinvolgente di Melissa, probabilmente è proprio un
guazzabuglio di onde che s’impennano al ritmo delle sue esplosioni di vita.
Il feretro è
scivolato via come una nave su un mare di teste fluttuanti. A un certo punto,
Vinicio è stato assalito da un nugolo di persone che gli si stringevano
attorno, lo baciavano, gli manifestavano in ogni modo il loro cordoglio.
Io non ho
avuto il coraggio di avvicinarmi a lui. Non ho avuto la forza di affrontare
quel padre che, pur annientato dal dolore, rincuorava lui chi era venuto lì per
rincuorarlo ma che non era stato forte abbastanza da portare a termine il suo
compito.
Il mio
debito verso Melissa è saldato. Oggi posso scrivere di lei perché oggi finalmente
la conosco. E conosco Melissa proprio attraverso la dignità e la compostezza di
Vinicio, un padre e un uomo di cui la figlia sarebbe stata, ancora una volta,
orgogliosa.
Nessun commento:
Posta un commento