Checché se
ne dica, io sono la matita.
Sono
europeista fin dalla nascita. Gli inglesi, infatti, scoprirono il mio cuore di
grafite. Due italiani, Simonio e Lyndiana Bernacotti, ebbero l’intuizione di
inserirlo in un cilindro di legno. Infine un inventore francese, nel Settecento,
iniziò la mia produzione in serie.
Sono
tollerante per natura. Rifuggo dalle certezze granitiche dell’inchiostro inchiavardato
nel rigo, posto lì a imperitura memoria.
Tra i
punti esclamativi e quelli interrogativi di decrescenziana memoria, scelgo
senza battere ciglio questi ultimi.
Mi
sbaglio, mi correggo, per poi sbagliarmi di nuovo. E anche nella correzione,
ebbene sì, ci vado di fioretto. Pavidità? Macché: semplicemente esperienza che
mi invita a essere cauta.
A che
scopo, infatti, scrivere in maniera indelebile qualcosa quando, il più delle
volte, quello che è giusto oggi diventa sbagliato domani, e viceversa? Io
lascio sempre la possibilità di ritornare sui propri passi. E non appena la
soluzione appare definitiva, sarà sempre il flusso di vita che scorre sul
foglio a decidere per quanto tempo salvare il mio scritto. La verità, infatti,
è che sono fortemente convinta che niente debba essere conservato per
l’eternità. D’altronde, io stessa sono l’emblema della precarietà. La mia punta
di grafite scrive, si spezza (oh, ho un cuore languido e delicato, io!) e
quindi si consuma e si trancia. Occorre temperare. Scrivere. Per poi
ritemperare di nuovo. E via, via, fino a lasciare di me un semplice e derelitto
mozzicone.
Sia
chiaro, tutto si consuma. Anche la linfa della tronfia Montblanc che mi sta di
fronte.
Vuoi
mettere, però, il sollievo di non dover misurare il passare del tempo con
l’accorciarsi graduale della mia lunghezza? D’altronde, è lo stesso motivo per
cui le saponette hanno lasciato il passo ai dispensatori di sapone liquido: la
prima si consuma e il secondo finisce, ma la morte della prima si sconta giorno
per giorno; di quella del sapone liquido, invece, ci se n’accorge solo
all’ultimo bliz.
Un tempo
si diceva che la filosofia serve a preparare l’uomo alla morte. Voi umani, che
avete espunto la fine dalla vostra vita, avete smesso di essere filosofi.
Questo lo scrivo mentre chi m’impugna ha il foglio appoggiato al vetro della finestra.
Perché, tra l’altro la mia grafite, a differenza dell’inchiostro, è capace di
scrivere in tutte le posizioni.
Il
sacrificio e la duttilità mi appartengono. A riprova di ciò, non soffro il
freddo che paralizza l’inchiostro né le cadute «con la punta» che rendono la
biro praticamente inservibile. Ho un solo bisogno/desiderio, e lo calco (perché
solo io posso evidenziare una parola, un periodo senza bisogno di
sottolineature): che mi si temperi, di tanto in tanto, e che voi uomini vogliate
riprendere a essere filosofi facendo pace, una volta per tutte, con lo scorrere
del tempo.
Nessun commento:
Posta un commento