Don
Ciccillo, a novant’anni suonati, li aspetta.
Fosse stato
per lui, si sarebbe fatto portare fuori al balcone fin dalle 6.
Quell’intordonuto di Muhammad, però, se non si fanno le 7,30, col cavolo che si
butta giù dal letto!
Poco male tanto,
all’andata, prima delle 8,30, i ciclisti non passano.
Muhammad lo
aiuta ad alzarsi, a lavarsi e a vestirsi; infine, gli prepara la sdraio sul
balcone. Oddio, nei giorni ventosi come questo, dovrebbe impedirgli di
piazzarsi lì ma…«i soldi te li do io, e tu fai quello che ti dico!».
Autoritario?
Macché: don Ciccillo gli vuole, ricambiato, un bene dell’anima a Muhammad. Solo
che il vecchio appartiene a una generazione di stenti poco incline ai
sentimentalismi.
In ogni
caso, come tutte le domeniche è lì, appollaiato sul trespolo della solita
visuale: un angolo di tornante che sfocia in un tratto pianeggiante e il suo
albero succoso di ciliegie.
Al primo
passaggio, ancora freschi di gamba, i ciclisti ignorano la tentazione. Al
ritorno, lo sforzo impone il compenso. Ogni ciclista, allora, si sporge appena
appena dal muretto a secco, allunga la mano e la ritrae con l’ambita preda.
È un patto
tacito: don Ciccillo lascia un albero intero di ciliegie a loro disposizione, i
ciclisti ne prendono quel tanto che basta a ritemprare le forze.
Più volte i
figli c’hanno provato a raccoglierne i frutti, ma don Ciccillo gliel’ha sempre
impedito: «finché campo, le cerase su quell’albero non si toccano.”»
Che vuoi che
ne sappiano, infatti, quei mammalucchi dei figli, della gioia che prova quando
vede i ciclisti ristorarsi con le sue ciliegie? Solo lui, dall’alto delle mille
salite domate, può saperlo.
Stamattina,
però, appena sveglio, ha voluto che Muhammad gli aprisse l’armadio. Il giovane
badante non si è meravigliato più di tanto della richiesta. Più di una volta,
il vecchio don Ciccillo, gli aveva chiesto di portargli il vecchio fucile fuori
al balcone.
Nemmeno da
giovane aveva mai cacciato alcunché. Lo teneva in casa nell’eventualità che
servisse a «sparare nelle cosce a qualche mariuolo».
L’unica
novità, ma questo Muhammad non lo poteva sapere, è che stavolta l’aveva
caricato.
12,30. Uno,
due, cinque ciclisti. Le mani che si protendono verso le ciliegie, la
soddisfazione che si dipinge sul volto di don Ciccillo.
All’improvviso,
come nel suo delirio, un ciclista sconosciuto, con una pedalata rapace, si
ferma. Scende dalla bici. Protende la mano. Coglie due ciliegie, poi otto. Infine,
non appagato, salta giù dal muro, impugna il cesto della profezia, e si
affretta a riempirlo.
È lui.
Don Ciccillo
lo aspetta da almeno un decennio. Intravvede, nelle movenze scaltre, i fanghi
tossici che la sua fabbrica scaricherà nel mare, le centinaia di operai che
immolerà sull’altare della sua ingordigia.
Finisce di
bersi l’ultimo sorso di caffè. Si alza dalla sedia con il vigore della missione
da portare a termine. Impugna il fucile. Mira. Spara.
Un solo
colpo.
Da quel
momento, don Ciccillo, sa che può finalmente abbandonarsi alla morte.
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