martedì 22 marzo 2016

Wake up, sì al referendum del 17 aprile

                                            

Per il referendum del 17 aprile, niente di meglio che far proprio l’invito del rapper salernitano Rocco Hunt (Wake up) e declinarlo in una valanga di sì

Sì contro le solite, stucchevoli manfrine da cerchiobottisti che infiniti lutti addusse all’ambiente. A cosa mi riferisco? Basta pensare al mamma li turchi urlato dagli occhi sgriddati dei piddini (solo dagli occhi, per carità, chè una parola in tal senso avrebbe incorporato del tutto Verdini nel pantheon del partito) al solo timore che alle concessioni pro trivelle potesse essere affibbiato un termine; ma mi riferisco anche al silenzio imbarazzante e imbarazzato dei media sul referendum del 17 aprile.
Ecco, per l’appunto, il referendum. Su cosa e perché siamo chiamati a votare sì?
Il 17 aprile andiamo a votare sì per abrogare la norma, introdotta con la legge di Stabilità 2016 (grazie, Renzi, grazie!), che permette alle piattaforme petrolifere di continuare a trivellare ed estrarre gas o petrolio dal sottosuolo entro le 12 miglia dalla costa nonostante la scadenza dell’autorizzazione.
Per essere più chiari e a scanso di fraintendimenti, la vittoria del sì al referendum non farebbe cessare da subito le trivellazioni in mare entro le 12 miglia (come pure qualcuno, evidentemente in malafede, si ostina a ripetere), ma solo alla scadenza naturale delle concessioni (che attualmente durano 30 anni più eventuali altri 20 di proroga). Basta solo questa precisazione per zittire le cassandre sempre in forma smagliante della perdita dei posti di lavoro perché non si può perdere il lavoro quando già adesso le società petrolifere hanno assunto personale (quando l’hanno fatto e come l’hanno fatto) per quell’orizzonte temporale (come dicevamo, e fin dall’inizio delle trivellazioni, 30+20). Né tantomeno, come pure asseriscono con invidiabile faccia tosta i sostenitori del no al referendum, la vittoria del sì potrebbe pregiudicare i tanto strombazzati “interessi nazionali”. Dovrebbe, infatti, essere noto a tutti che, dopo il rilascio della concessione, quello che viene estratto diviene di “proprietà” di chi lo estrae. La società petrolifera (udite, udite) è tenuta a versare alle casse dello Stato solo il 10% del valore degli idrocarburi estratti, se l’attività riguarda la terraferma; se invece l’attività afferisce, come in questo caso, al mare, solo il 7% del petrolio e il 10% del gas. Facendo il conto della lavandaia, quindi, il 90-93% degli idrocarburi estratti segue i desiderata della società estrattrice che può potarlo seco nei patrii lidi o, addirittura (e la beffa è bella che consumata!) rivenderlo direttamente allo Stato italiano.
Ma i motivi per votare sì al referendum del 17 aprile non finiscono mica qui?! Nossignore: nel nuovo rapporto di Greenpeace Trivelle fuorilegge, per la prima volta vengono pubblicati i dati relativi al funzionamento di oltre trenta trivelle in attività nei nostri mari che mostrano una grave contaminazione da idrocarburi policiclici aromatici e da metalli pesanti, in grado di risalire la catena alimentare. Catena alimentare che sarebbe ancora più minacciata dagli air gun che, qualora il referendum non vedesse la vittoria del sì, sarebbero perpetrati dalle società petrolifere sine die. Il metodo di ispezione dei fondali marini con scoppi ad aria compressa (air gun, per l’appunto), infatti, produce un rumore pari a 100mila volte quello del motore di un jet, capace di provocare lesioni permanenti o letali alla fauna marina.
In conclusione, e prendendo spunto nuovamente dal Wake Up di Rocco Hunt, occorre svegliarci e andare a votare, il 17 aprile, per un sì senza se e senza ma. Bisogna, in sintonia con l’appello firmato da varie personalità del mondo della cultura, tra le quali Dario Fo, Dacia Maraini e Moni Ovadia, e da alcune associazioni come Greenpeace, convincerci che “le trivelle sono il simbolo tecnologico del petrolio: vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, protagonismo delle grandi lobby”. Un simbolo, in definitiva, del tutto inconciliabile con gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dalla COP21 nel vertice di Parigi per combattere i cambiamenti climatici, in cui si è sancita la volontà di limitare l’aumento del riscaldamento globale a 1,5°C.
Per tutti questi e anche per altri motivi: “Wake Up, guagliù, abbandoniamo le tastiere e facimm ‘a rivoluzione con un bel sì al referendum”.
 

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