Josè Saramago si avvicina, come racconta egli stesso, alla figura di Fernando Pessoa proprio attraverso l'eteronimo del poeta portoghese, Ricardo Reis.
E infatti, all’età di circa 17 anni, “ignorante com’ero” (è Saramago che parla, ndr), in una delle sue frequenti e fruttuose incursioni nella biblioteca della scuola, “credetti che in Portogallo esistesse o fosse esistito veramente un poeta che si chiamava Ricardo Reis, autore di quelle poesie che mi affascinavano e mi intimorivano”. Invece il Ricardo Reis di Saramago adolescente altri non era che Fernando Pessoa: il grande poeta che, in ossequio al suo convincimento (“il poeta è un fingitore”), scomponeva la sua personalità in uno degli almeno tre “altri da sé”(“eteronimi”, per l’appunto).
"L'origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. [...] L'origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni (…) non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l'interno e io li vivo da solo con me stesso."
Dal momento di quella scoperta, e forse anche per una sorta di risarcimento postumo alla grandezza del poeta portoghese, Josè Saramago avvertì come “un punto d’onore” la necessità di occuparsi del Ricardo Reis di Pessoa; cosa, quest’ultima, resa possibile anche dalla circostanza che proprio Ricardo Reis è l’unico eteronimo di Pessoa che ha solo la data di nascita e non quella di morte. Quale pretesto migliore, quindi, per “ricreare” un Ricardo Reis di un anno più vecchio di Pessoa che torna dal Brasile in Portogallo proprio in occasione della morte del poeta? Ed ecco l’incipit del fortunatissimo L’anno della morte di Ricardo Reis di Josè Saramago.
Siamo nel 1936. In Portogallo è al potere il dittatore Salazar. In Italia trionfa Mussolini. In Germania i tedeschi acclamano Hitler. In Spagna esplode la guerra civile per “ristabilire l’impero della croce e del rosario sull’odioso - e, si badi bene, l'aggettivo è proprio del comunista Saramago megafono, per l'occasione, della vulgata del regime - simbolo della falce e martello”.
Ricardo Reis, medico di quarant’otto anni, ritorna a Lisbona. Spettatore indolente (“saggio è colui che si contenta dello spettacolo del mondo”) delle dinamiche a cui si trova ad assistere, prende alloggio in un hotel in attesa di riprendere in mano le redini del suo futuro (riprenderà a esercitare la professione? Si deciderà a mettere radici in qualche angolo di Lisbona?).
Ricardo Reis è uno straniero in una città che non riconosce più.
“Dove?” gli chiede il tassista in attesa di qualche località a cui dirigersi e Reis pensa che “gli hanno fatto una delle due domande fatali, Dove, l’altra, e peggiore, sarebbe, Perché”. Eccolo, per il lettore che ancora non avesse avuto (mal gliene incolse!) la fortuna di farsene ammaliare, lo “stile saramaghiano”, con quelle “domande senza punto interrogativo, con quelle battute senza virgolette, quelle considerazioni che possono essere tanto del narratore come dell’autore…” (Luciana Stegagno Picchio). È la suggestiva "oralità" di Saramago. “Leggetemi a voce alta”, si raccomanderà l’autore.
Ma torniamo al romanzo. All’hotel Bragança Ricardo Reis incontra Lidia, una delle muse ispiratrici dei suoi versi che, per ironia della sorte, scende dai Campi Elisi della sua poesia e si fa donna in carne e ossa. Probabilmente, fin troppo in carne e ossa. Lidia, infatti, è una cameriera d’albergo con la quale Ricardo riesce, sia pure nei pochi momenti di vita vissuta insieme e sempre nel rispetto più o meno pieno della differenza di classe, a trovare un’autenticità di vita. Poi c’è l’altra musa Marcenda, anche qui un nome proprio “gerundio” come la Blimunda del Memoriale del convento sempre di Saramago, e pure in questo caso, la presenza di un difetto fisico: del braccio e della mano sinistra di Marcenda, inerti e privi di forza; della mano, sempre sinistra che stavolta è addirittura mancante, del compagno di Blimunda, Baltasar, nel Memoriale.
Con l’eterea Marcenda ci sarà solo un bacio. Con Lidia addirittura Ricardo Reis, sia pure con quella involontarietà che solo può avere un uomo che si lascia vivere, avrebbe pure un figlio.
Proscenio di queste vicende, è un macrocosmo in cui, e qui c’è tutta l’ironia del comunista Saramago, la “rigenerazione” dell’Europa procede a passi da gigante prima in Italia, poi in Portogallo, subito dopo in Germania e in Spagna (“questa è la terra buona, la semente migliore, domani raccoglieremo le messi”).
Dal canto suo, il fu Fernando Pessoa, sotto forma di fantasma, di immagine ora visibile, ora invisibile, e che ha solo nove mesi di supplemento di vita (“tanti quanti ne passiamo nelle pance delle nostre madri, credo sia una questione di equilibrio”), continua a fare visita a Ricardo Reis, prima all’hotel, poi nella casa in cui il medico decide di andare a vivere o forse, più opportunamente, a lasciarsi morire.
I due poeti discutono delle “piccole cause che fanno battere i piccoli cuori” così come, quando se ne presenta l’occasione, dei loro voli poetici sempre appesantiti dal pessimismo di Saramago “perché il pessimismo spinge all’azione, mentre l’ottimismo non distoglie dalla contemplazione del mondo."
Alla fine i nove mesi sono agli sgoccioli, Ricardo Reis, pur da monarchico e da conservatore dell’ordine costituito, si trova a soffrire per il fallimento della rivolta contro il ripristino della dittatura in Spagna: anche in questo caso, una sofferenza indotta dalla ribellione altrui, nello specifico di Daniel, il fratello marinaio di Lidia.
Pessoa è pronto per l’ultima visita al suo collega ed eteronimo prima della fine irredimibile. Questa volta però, e il cerchio di Saramago si chiude, “Ricardo Reis si tirò su il nodo della cravatta, indossò la giacca (…). Allora andiamo, disse, Dov’è che vai tu? Vengo con te (…)”
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