Dalla finestra di casa mia, ho partecipato all’evento. Il caso ha voluto, infatti, che il De Luca-day si celebrasse (in parte, beninteso) nella scuola dirimpetto alla mia abitazione.
Guardando i votanti di De Luca (nel mio seggio i voti per l’ex sindaco hanno raggiunto il 95% del totale) felicemente armati dei due euro (il prezzo della partecipazione al teatrino), ho visto una sfilata di personaggi, chi più chi meno, legati al potere cittadino: membri delle istituzioni locali che danno il voto al ras; dipendenti delle società miste che “Se non era per De Luca, facevamo la fame”; qualche imprenditore rampante, magari anche giovane, “Che è meglio stare con De Luca che contro”; alcuni politicanti di mezza tacca “Che Vicienzo non potrà scordarsi dei voti che gli porto”.
Mi sono involontariamente sorpreso a sorridere. A tal punto che pure Birillo, il mio cane, ha preso a guardarmi fisso, con la testa leggermente reclinata, come sempre fa quando vuole capire l’atteggiamento del padrone che non riesce a decifrare.
Ho sorriso, è vero, ma di un sorriso stanco. Mi sono ricordato (un ricordo, per via dell’età, più indiretto che personale) quando i comunisti, con lo sguardo affamato di diritti, con il callo dello scrittore sempre più marcato rispetto a quello del figlio del medico, si recavano alle urne per concretizzare il cambiamento. Li vedevi giovani (a prescindere dall’età), con i nervi tesi dalla lotta, fiduciosi che l’ascensore sociale (il classico figlio del contadino che deve poter diventare dottore) avrebbe dovuto funzionare anche per loro.
Per il De Luca-day (ecco il motivo del mio riso triste), per le primarie del PD, partito che dovrebbe incarnare l’evoluzione della Sinistra, ho visto votanti… di destra. Svogliati, appagati, inseriti o in via d’inserimento nell’ingranaggio del potere. Il posto del grande cambiamento (quello che avrebbe dovuto essere e non è) l’ho visto arrogantemente occupare dalla BMW, parcheggiata nello spazio riservato ai disabili, che ha trasportato una testa di cazzo che si recava al seggio.
Lo confesso: ho sperato che quel tizio non fosse conosciuto da nessuno. Non dico disprezzato, ma almeno ignoto agli elettori. E invece, appena imboccato il viottolo della scuola, ecco che il manipolo di votanti del De Luca-day gli ha tributato un’ovazione degna di miglior sorte.
Ho pensato (e giuro, mi sono ripromesso di non pensare più) a quando il vecchio PCI addirittura (e in maniera sbagliata, sia chiaro) proibì a “il Migliore”, Palmiro Togliatti, di ripudiare ufficialmente la moglie per unirsi alla compagna Nilde Iotti: tutto questo, ovviamente, in nome di un partito inattaccabile e “morale”. E quindi, sulla scorta del PCI che fu, mi deprimo al solo considerare lo status quo: Vincenzo De Luca imputato, osteggiato dal suo segretario (la minuscola è voluta) per “salvare le apparenze” che, a dispetto del suo partito, si candida contro un figlioccio del pessimo (a parte una breve stagione riformista) Bassolino. Ma vi è di più: non solo decide di candidarsi infischiandosene del vulnus di legalità arrecato a quel che resta della famiglia di appartenenza, ma vince pure, con il contributo economico dei votanti che investono due per ricavare, in un modo o nell’altro, duecento.
Il sorriso di prima si è trasformato in un ghigno che Birillo non fa alcuno sforzo a capire, nel momento in cui mi raffiguro le dichiarazione del dopo voto. Ecco, con ancora nelle orecchie l’invito all’astensione di Roberto Saviano, vedo già il truce (ma, perché, oltre all’incazzato e al sarcastico, non riesce ad atteggiare il suo volto a qualch’altra espressione?) De Luca, sempre sul punto di pronunciare il verbo che giudicherà i vivi e i morti, che parla con gli occhi spiritati di “miracolo“, “festa della libertà“, “rivoluzione democratica“. Insomma, proprio le stesse parole che l’ex sindaco ripete da oltre un ventennio, per qualsiasi cosa, che vanno benissimo, beninteso, anche nella stagione della vittoria alle primarie del PD.
Nulla di nuovo sotto il sole (stanco).