La storia di Peppino il giardiniere che, “con le sue piantine maleodoranti, scioccamente festose”, mina dalle fondamenta l’impero dell’ing. Costa.
Non ci stavano santi: gli bastava solamente vederlo perché le sue viscere, tarantolate dall’avversione, ingolfassero le uscite di sicurezza!
Sempre lì, all’ingresso della sua fabbrica, intento a prendersi cura di quelle erbacce maleodoranti, scioccamente festose. Già, festose: proprio come quel sorriso da ebete che albergava perennemente nel suo volto. Che poi: ma che minchia c’aveva mai da sorridere, Peppino il giardiniere?
Pigliava la miseria di 600 euro al mese, non aveva uno straccio di proprietà e si permetteva financo il lusso di essere felice? Pazzesco!
Proprio per evitare questa situazione d’insofferenza non appena le traiettorie oculari intercettavano la presenza di Peppino, l’esimio ingegner Costa aveva battuto ogni strada percorribile. Ma si sa, i sindacati, lo Statuto dei lavoratori: zavorre antistoriche che appesantivano il suo volo messianico verso la tirannia!
Quale cavillo giuridico invocare infatti, per licenziare un reietto che si ostinava ad essere sempre puntuale, a non assentarsi mai e, per di più, a dimostrarsi sfacciatamente bravo nel suo lavoro?
Certo, poteva accusare Peppino il giardiniere di essere comunista. Come lo sapeva? Lapalissiano: uno che ride lavorando senza avere nemmeno gli occhi per piangere, non può che essere comunista. E allora? Cosa avrebbe raccontato al giudice del lavoro? Che lo licenziava perchè cantava bandiera rossa mentre si prendeva cura dell’orto?
Pensava queste cose, frattanto che varcava l’ingresso con il suo gippone, bestemmiando fumo grigio e nero. E queste cose continuava a pensare, appena entrato nel suo ufficio.
Non c’era da filosofeggiare: doveva trovare un metodo per renderlo inoffensivo. E già perché, Peppino il giardiniere, era davvero pericoloso…anzi: pericolosissimo! Insomma, un sovvertitore dell’ordine costituito. La prova? L’abbandono degli studi in giurisprudenza, a due esami dalla laurea, per dedicarsi a quelle sue maledette piantine.
Bastava però che guardasse le torri metalliche della sua fabbrica, il vigore opaco degli spocchiosi pennacchi, perché l’eccelso ingegner Costa dimenticasse ogni dispiacere. E a quel punto, che se ne andasse pure al paese di pulcinella Peppino il giardiniere con tutte le sue piantine del cavolo!
Quel giorno poi, aveva la riunione con il ghota della finanza internazionale. Un affare troppo importante per la CostaGas.pm10.
Il padiglione riservato alla riunione era il primo, quello prospiciente l’ingresso della fabbrica e quindi, il giardino. E questo era bastato ad innestare l’autoscontro viscerale dell’ingegnere. Poi però, pensandoci bene, non potè far altro che convenire con gli organizzatori sulla scelta del luogo: era infatti il primo, il padiglione meglio tenuto della sua pantagruelica fabbrica.
Eppoi, perché mai avrebbe preferito una soluzione diversa? Non c’era motivo! Eppure…eppure aveva uno strano presentimento, ecco tutto.
La riunione ebbe inizio. Si poteva osservare una carrellata spasmodica di facce color cemento, di bocche artatamente arcuate, di vestiti ammantati di chiuso.
Dopo poco meno di un’ora, il briefing si avviava alla conclusione. Esito? L’onnipotente ingegner Costa aveva raggiunto l’accordo per l’installazione di un’altra appendice del suo impero industriale, proprio lì, in India: successo a 360°!
Tutto filava liscio. Ogni cosa aveva ormai seguito, mansueta, le orme del suo volere. Eppure…eppure!
Uscirono tutti, tristemente felici per l’accordo raggiunto.
Si poteva vedere, tra milionari cianotici, guardie del corpo imbalsamate e cravatte funeree, un fiume epilettico di mille e più guadagni. La piena era diretta verso il parcheggio, dirimpetto a quell’angolo di giardino.
All’improvviso il flusso prezzolato cozzò contro la diga: 60 mq di erbacce maleodoranti, scioccamente festose. E lì, tra un roseto e un pino, si udì l’azzurro sorridente di Peppino.
Li vide mentre lo vedevano. Spiantò i cartelli del distacco (si prega di non calpestare le aiuole, pregasi di non toccare i fiori…), vi piantò quelli della rinascita (si prega di calpestare le aiuole, pregasi di toccare i fiori ).
Quel diavolo di Peppino il giardiniere, si avvicinò all’inerme ingegner Costa. Lo prese per mano. Lo condusse nel giardino. Gli sussurrò qualcosa all’orecchio. L’industriale allora, irretito da quel sorriso magnetico, si tolse le scarpe, le calze. Appoggiò i piedi finalmente nudi sul prato.
Tra i gli innumerevoli, immensi torrioni della fabbrica, s’intravide una frangia di cielo.
E fu così che proprio lì, tra le aiuole e l’ulivo secolare, sbocciò il sorriso dell’uomo Costa.
Verde di pino, giallo di grano, vivo di vita.