Ed eccolo qui il delegato Luigi Alfredo Ricciardi mentre se ne sta al caffè Gambrinus, intento a sorseggiare il secondo caffè della giornata; il primo, manco a dirlo, è quello puntualmente preparatogli dalla tata Rosa.
Lo sguardo tradisce il biasimo per la sua singolarità: il delegato infatti "vede i morti ammazzati" ("il fatto", come lui stesso definisce questo potere), unicamente però quelli uccisi con violenza. Li vede "sul posto dove è successo" per un tempo variabile e, soprattutto, li vede mentre ripetono l'ultima parte del pensiero che la morte ha amputato, "con lo stesso tono e le stesse parole".
Non c'è crocicchio di persone (reali) che non venga attraversato da "umanità" varia, rigorosamente trapassata per un evento comunque traumatico.
Come poter condurre un'esistenza ordinaria in mezzo a questa babele di corpi martoriati?
Come restare indifferenti alle voci che ripetono singulti di vita, gli ultimi, nella speranza di ottenere una qualche forma di giustizia?
Non è possibile, e Ricciardi ne è perfettamente consapevole, nonostante Enrica, la giovane che lui guarda ogni sera dalla finestra di casa sua mentre si ammanta di quella normalità che a lui è preclusa.
Chissà se...ma no, che sciocchezza: "l'urlo della mia carne non lo ascolto, e non mi disturba".
La notizia del giorno è che la Duchessa di Carosino è stata assassinata ieri sera, appena tornata dal San Carlo.
Il questore è in evidente stato di agitazione, e non solo per l'importanza della vittima.
"Ho bisogno di un'immediata soluzione di questo caso...il Duce in persona...capite...il Duce!".
Per gli addetti ai lavori, è risaputo che Ricciardi risolve il caso, ogni caso, e scova il colpevole. E per questo, nonostante diffidino di quel talento senz'altro luciferino, lo rispettano.
In una Napoli scossa per l'omicidio d'alto rango finanche nei vicoli dei poveri cristi, il delegato si fa accompagnare sul luogo del delitto come sempre dal brigadiere Maione.
"L'anello che manca" ha esalato in un sospiro la Duchessa che è stata uccisa da un calcio violentissimo al torace e poi sparata, quando ormai già era morta.
Stavolta una seconda frase della vittima, quella che consentirà di appurare la verità, sarà svelata al delegato dal sogno in cui la Duchessa soppianta il vignaiolo della prima manifestazione de "il fatto": "Ti si sporcano le scarpe".
L'anello spiega un gesto che avrebbe voluto essere mortale; le scarpe sporche a causa della pioggia, invece, rivelano il vero assassino della nobildonna.
Nella seconda indagine, I vivi e i morti, la pioggia che infradicia una Napoli peccaminosa e lasciva, porta all'attenzione del delegato Ricciardi addirittura tre vittime: don Raffaele Ammaturo, prete con una predilezione per le figlie (minorenni) della povera gente, la cui ultima frase è: "No, perchè a me, sì...proprio voi, sì..."; la maitresse Wanda, "la tenutaria di uno dei più esclusivi bordelli di via Elena", che cristallizza l'istante prima della fine nelle parole "Ho una signorina nuova, giovane giovane..."; il buttafuori di un ristorante che, al cospetto di Ricciardi, si scusa con deferente disagio: "Stasera no, signori, non si può entrare...".
Qual è il nesso, a parte il punteruolo conficcato in qualche parte del corpo, tra i tre omicidi?
"Il modo di pronunciare la parola", più che le parole stesse: eccola la chiave di tutto.
Il delegato si reca dal colpevole convenendo che sì, un padre morto per sifilide potrebbe essere una giustificazione sufficiente per uccidere tre persone.
Nell'ultima indagine, Mammarella Ricciardi, affiancato dal bonario Maione ("È così come lo vedete, Maione. Non ha doppio fondo"), è chiamato a prestare i suoi servigi ancora una volta in un bordello.
Il canovaccio prevede che venga accompagnato fin sulla soglia della porta nella cui stanza è avvenuto l'omicidio. Non oltre: perchè (credenza dei colleghi) il delegato dev'essere lasciato libero di foraggiare il suo fenomenale spirito d'osservazione; perchè (la verità) Ricciardi deve trovarsi da solo di fronte alla "rediviva" vittima che si cimenta nell'abituale performance de "il fatto".
La morta risponde al nome di Maria Rosaria, in arte Gilda. E Gilda, nonostante il taglio netto "che partiva sotto il seno sinistro e arrivava quasi all'anca destra", ride di una grossa risata contagiosa: "Mammarella, mi vuole da mammarella".
Mai irridere chi si sente investito del compito di salvare una donna perduta!
Ricciardi riunisce tutti nel salone: Madame, Rindone, il dottore, le guardie, le signorine. Se ne sta zitto. Mezz'ora. Un'ora. Un'ora e mezza.
A un certo punto, da un angolo del salone: «Commissario» si materializza l'impazienza dell'assassino «dobbiamo aspettare ancora molto? Perchè se è così, devo avvisare mia madre che mi aspetta, a casa».
Proprio così. Mammarella potrebbe preoccuparsi.