mercoledì 23 ottobre 2024

10 e non più di 10 #22

Le strade appiccicose della sagra

I sentieri aggrumati delle Dolomiti

Le rotatorie scontate del supermercato

Le scorciatoie fumiganti delle ferie

I crocicchi ansiogeni delle superstrade.

Il basalto s'impregna di umori

I ciottoli lamentano separazioni

Le curve implorano requie

Gli abbrivi bramano chilometri

Le diramazioni maledicono alternative.

"L'opera al nero", di Marguerite Yourcenar (trad. M. Mongardo)

Questo libro è incentrato sulla figura di Zenone, medico, filosofo, alchimista che si trova a vivere in quel periodo turbolento e ricco di fermenti culturali, scientifici e religiosi che è il Cinquecento.

Zenone è un personaggio immaginario, sebbene siano facilmente ravvisabili in lui gli influssi di Paracelso, Michele Serveto, Leonardo (almeno quello dei Quaderni) e Tommaso Campanella.

Nella sua veste di medico, frequenta sia gli ori dei sovrani che le miserie del popolino appestato, sempre gettando uno sguardo scientifico sulle sofferenze che si trova ad alleviare. E ciò in un'epoca in cui anche nella medicina le credenze la facevano da padrona.

Ben presto, nelle sue continue e vaste peregrinationes, abbandona ogni afflato filosofico, ciascuno portavoce della propria verità, per abbracciare l'alchimia in cui tutto è messo perennamente in discussione.

Ignotus par ignotius, obscurus par obscurius ("Andar verso l’oscuro e l’ignoto attraverso ciò che è ancor più oscuro e ignoto"): questo è il principio che regola il mondo alchemico e che Zenone fa ben presto suo, ossessionato dalla necessità di "intelligere" l'oscuro e l'ignoto per antonomasia: l'animo umano.

Figura fluida (etero e omo, affascinato dalla Riforma pur rimanendo sostanzialmente invischiato nei dogmi della Controriforma, ortodosso e ciononostante incuriosito dalle varie e pervicaci sette politico-religiose) in un'epoca che impone nette prese di distanza, Zenone incarna l'anelito alla genialità allergico, per sua connotazione specifica, agli steccati dogmatici e ideologici.

A ben vedere, è il Cinquecento stesso, con le sue continue sovrapposizioni di scene colte dal chiostro e dai bordelli, dai traffici dei finanzieri così come dai miserevoli banchi di vendita, a trasfondersi nelle corde di questo riuscitissimo personaggio.

Eppure Zenone, dopo aver vissuto innumerevoli vite, sempre in fuga da qualcosa (da se stesso, dalla capillare Inquisizione, dagli insegnamenti che l'avrebbero voluto cristallizzare nei "lumi di Chiesa"), alla fine è costretto a denunciare la sua inaccettabile modernità: genio visionario, sempre in avanti rispetto al tempo in cui gli è dato di vivere.

Alla fine tutto si riduce a una scelta: ritrattare come Galilei, e quindi salvarsi. Dimostrarsi invece inflessibile come Giordano Bruno ("eretico e pertinace"), e inevitabilmente finire sul rogo.

Sullo sfondo, una terza via, sicuramente più vicina a quella di Bruno eppur diversa, che unica può suggellare la sconfinata originalità di Zenone. E lui, immancabilmente, la segue.

Eccola l'Opera al nero del titolo: la fase alchimistica della separazione e della dissoluzione della sostanza. La parte più difficile della Grande Opera che spetta a chi s'inoltra nei suoi imperscrutabili sentieri.

Dopo aver scritto, e mirabilmente, di un personaggio reale (Memorie di Adriano), Marguerite Yourcenar si sofferma sulla figura di Zenone, stavolta inventata ma altrettanto suggestiva e ricca di spunti di quella dell'imperatore romano.

10 e non più di 10 #21

«Perchè?»

«E perchè?»

«Ma perchè?»

Il grumo del mio sapere si stempera già al terzo perchè.

E tu qui a sfiancarmi con la gragnuola dei tuoi perchè.

Impietosa.

Irriverente.

Balbetto, oscillo. Cerco ardite deviazioni.

Sono solo un povero padre.

Ho appena riconosciuto i demoni della mia pochezza.

"Il medico dell'isola", di A.J. Cronin (trad. Fabrizi-Melega)

Robert Murray è un giovane e ambizioso medico scozzese.

Riuscito grazie a considerevoli sacrifici e a un' indubbia bravura ad arrivare fino al Methodist Hospital, dovrà ora occuparsi di un illustre paziente (l'enigmatico Defreece, un piantatore di zucchero che possiede gran parte dell'isola di San Felipe nel Mar dei Caraibi) raccomandatogli dal primario in persona.

Un mese, non di più, durerà l'assitenza medica al Defreece da prestare rigorosamente nell'isola. Il dottor Murray, però, non sarà solo in questo compito: verrà coadiuvato da Mary Benchley, un'infermiera che lui "trovava ripugnante con la sua aria di signorina dell'alta società e il suo comportamento fine e disinvolto".

Una volta sbarcati a San Felipe, il medico e l'infermiera non possono non accorgersi dell'aria tesa e per certi versi inquietante che avviluppa in uno il piantatore, la sua famiglia, e l'intera popolazione.

Per di più la figura del dottor Da Souza, vero plenipotenziario dell'isola, sembra acquistare, vieppiù che le agitazioni degli isolani si fanno veementi, una valenza ambigua e misteriosa.

E se la ferita da fuoco occorsa al Defreece durante il tiro al piccione non fosse stata fortuita? E se la stessa giovane moglie del possidente non fosse morta di febbre locale?

Robert e Mary capiscono, loro malgrado, di avere assunto un ruolo importante nelle vicende che si dipanano a San Felipe.

Per quanto riguarda il dottore poi, lo stesso non può evitare di apprezzare la serietà e l'abnegazione alla causa dell'infermiera. Certo, ci sarebbe pure la sua bellezza, ma qui effettivamente c'è poco da concionare, se non che...

La rivolta monta.

Defreece si sente sempre più minacciato.

Una dolorosa scomparsa spinge il dottor Murray, come in un una esiziale partita di poker, ad andare a vedere.

Al centro di tutto, man mano che gli eventi esterni si congiungono con le sorti del possidente, c'è lui, il dottor Da Souza, con i suoi piani deliranti.

Riusciranno Robert e Mary a poteggere Defreece e a venire a capo dei loschi traffici che attanagliano l'isola?

E se magari i due protagonisti unissero gli sforzi e abbandonassero le reciproche diffidenze per un'unità di intenti (non solo professionale)?

Insolito Cronin, questo de Il medico dell'isola che soggiace, almeno a tratti, alle lusinghe del thriller.

10 e non più di 10 #20

 <Papà, quando arriviamo?>

<Ma la fila è solo per quel catorcio!>

Giraffo il collo e lo vedo.

Un trattore. Del secolo scorso. Sulla scia del mare.

Il popolo delle ferie sobolle.

Il trattore alfine svolta.

Tra clacson, bestemmie, improperi, clandestina cova la mia solidarietà.

E sorrido.

La fatica l'ha vinta sulle nostre pretenziose depilazioni.

"Acqua in bocca", di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli

Prendi due scrittori, l'uno un mostro sacro (Camilleri), l'altro un giallista sopraffino (Lucarelli); mettici una quarantina d'anni di differenza di età tra loro; aggiungi i personaggi che caratterizzano oltremodo i due autori (l'immarcescibile Salvo Montalbano e l'arguta Grazia Negro); mesci il tutto in uno scambio epistolare in cui, divertendosi a giocarsi tiri (letterari) mancini, imbastiscono una storia avvincente.

Ecco la genesi di Acqua in bocca della premiata ditta Camilleri-Lucarelli.

Un uomo viene trovato morto con un sacchetto di plastica sulla testa. Di fianco al cadavere, ci sono tre pesciolini rossi. Accanto a questa insolita presenza, un'assenza: la scarpa della vittima. Non c'è, non si trova.

Sarà Salvo a sospettare (a ragione) che il tacco del mocassino "modello Tod's" potrebbe essere di capienza "bastevole per nasconderci tutto quello che si vuole, dai documenti ai microfilm".

L'ispettrice Grazia Negro, quindi, ben fa a non vederci per nulla chiaro in questa morte. Anche per la fretta della polizia di archiviare il caso.

Dalla lontana Bologna, una lettera arriva a Vigata: è una richiesta d'aiuto a Salvo Montalbano il quale, pur con qualche esitazione iniziale, finisce per rispondere "presente".

La morte di Arturo Magnifico merita approfondimenti.

Tra servizi segreti, una conturbante Betta che richiama troppo direttamente il pesce combattente (Betta splendens), messaggi cifrati, cassate siciliane e tortellini in trasferta, Mimì Augello in missione (più o meno segreta) e Catarella che continua a "scangiare" parole e significati, Salvo e Grazia finalmente si incontrano.

Ben presto, però, si renderanno conto che sono diventati loro i soggetti da eliminare.

Sarà necessaria tutta la sagacia di Montalbano e l'abnegazione di Grazia per venire a capo dell'intricato groviglio. Ovviamente ci riescono, ma quando si tratta di assicurare alla giustizia l'artefice della morte del Magnifico e di altre persone più o meno collegate, prendono atto di un'amara verità: che, per certi soggetti "deviati", non c'è giustizia che tenga. Occorre eliminarli. Poichè però, (quasi) tutto si può dire di Salvo Montalbano (a lui viene affidato il repulisti) tranne che sia un assassino, ci penseranno gli stessi servizi segreti a completare l'opera solo avviata da Montalbano.

Molto più spesso di quanto si immagini, i Betta splendens si uccidono tra di loro.

"Sipario, l'ultima avventura di Poirot", di Agatha Christie (trad. Diana Fonticoli)

Si ritorna lì dove tutto ebbe inizio: Styles Court.

Come nella prima indagine di Hercule Poirot, anche stavolta, tra le mura di Styles Court (ora diventata una pensione gestita dai coniugi Luttrell), aleggia un'aria sinistra.

Una lettera arriva al capitano Hastings. Il mittente è Poirot che lo invita a recarsi proprio lì, nella pensione incriminata. Mai come adesso, infatti, il celebre investigatore ha bisogno del suo aiuto. La verità è che a causa delle sue disperate condizioni di salute (artrite invalidante, cuore malandato), Poirot è costretto a dipendere totalmente da Curtiss, il nuovo cameriere personale.

Due domande: Poirot è davvero impossibilitato a reggersi in piedi? Perchè, proprio nel momento in cui avrebbe avuto bisogno del suo fidato cameriere di una vita, George, dà il benservito a quest'ultimo e si avvale dell'aiuto del meno acuto Curtiss?

Non appena il capitano Hastings giunge a Styles Court, Poirot gli racconta ben cinque casi, apparentemente risolti brillantemente dalle forze dell'ordine, in cui però niente appare come sembra: il vero assassino, unico per tutte le cinque vicende delittuose, non è mai stato acciuffato. Ma c'è di più: tra le cinque vittime non sembra esserci alcun legame apparente.

Ora, si dà il caso che il deus ex machina di quei cinque omicidi è proprio lì, ospite di Styles Court. E Poirot vuole coinvolgere il fido Hastings nella risoluzione di quest'ennesimo, apparentemente irrisolvibile caso.

È l'ultima occasione per l'investigatore belga di minare dalle fondamenta il dogma del delitto perfetto.

Piccolo particolare: nella pensione alloggia anche Judith, la figlia di Hastings.

Avrà un ruolo in questa storia?

Tra un ferimento dovuto alla distrazione di un tiratore comunque esperto, la morte di un'ipocondriaca causata dalla terribile fisostigmina e un tentato omicidio addirittura perpetrato da Hastings (omicidio, manco a dirlo, sventato indirettamente da Poirot), i nodi vengono al pettine.

Eppure, affinchè cali il sipario sull'intera vicenda e omicida e moventi vengano finalmente scoperti, c'è bisogno che il nostro Poirot consumi anche l'ultima stilla di vita.

Viene così trovato morto, ma non ucciso da qualcuno come pure teme l'affranto Hastings (adesso sì, rimasto davvero solo al mondo, dopo la morte recente di sua moglie) ma stroncato da cause naturali. Non prima però, malgrado la sua storia è lì a testimoniare un'aberrazione totale verso qualunque intento omicida, di essersi trasformato, sì proprio lui, in un angelo vendicatore.

Non per rabbia nè per passione.

Il movente è piuttosto da ricercare nell'assoluta dedizione alla giustizia che non tollera altri sacrifici di vittime innocenti.

Il foro di proiettile al centro esatto della fronte del colpevole (oh, l'amore per le giuste proporzioni di Poirot!) è l'ultimo, impareggiabile regalo che le celluline grigie più famose della letteratura lasciano al Lettore.

Lunga vita, Hercule Poirot!