mercoledì 23 ottobre 2024

"I pesci non chiudono gli occhi", di Erri De Luca

"L'infanzia smette ufficialmente quando si aggiunge il primo zero agli anni". Ma non pensiate che succeda qualcosa che ci faccia improvvisamente diventare grandi. Nossignore, si resta nello stesso corpo di marmocchio dell'estate precedente. Solo la testa tenta una ostinata proiezione fuori dal bozzolo della fanciullezza.

Eppure il decenne Erri De Luca intuisce che, oltre ai libri capaci di spalancare il soffitto del carcerato, c'è bisogno di un confronto, una dualità per saggiare centimetro dopo centimentro, anelito dopo anelito, la crescita del corpo e dell'anima. In aggiunta quindi alle chiacchierate con la mamma spesso irrorate dai suoi silenzi maturi , c'è la corrispondenza impregnata di fatica e piccoli gesti con i pescatori dell'isola. Soprattutto, però, vi è l'incontro con una ragazzina di cui l'Erri maturo non ricorda nemmeno più il nome.

Lei affascinata dal mondo animale in cui ogni gesto ha un significato e dove anche l'azione più cruenta è aliena dalla crudeltà; lui che, fin da piccolo, è alla ricerca della parola esatta, quella che può essere stanata nel cruciverba dei bagni di sole.

I due s'incontrano leggendo "frasi sismiche".

La voce narrante, ben consapevole che con l'atto di nascita si eredita la fatica impressa nello scheletro, sa cosa è in procinto di fare il piccolo decenne: quando decide che è arrivato il momento, offre il suo corpo alla cattiveria dei rivali in amore. Si fa pestare a sangue, per liberare l'anelito alla crescita imprigionato nelle pastoie del suo corpo bambino.

La tacita accettazione delle botte prese, però, non può soddisfare la ragazzina. Il suo innato senso di giustizia ha bisogno dell'accadimento riparatore: i due rivali che se le danno di santa ragione fino ad annientarsi e lui invece, costretto ad aspettare nel buio di una cabina, a guadagnarsi lo scettro della vittoria.

Arriva il bacio, "il primo frutto della conoscenza. Ed è mercurio, quella conoscenza, "un liquido sensibile alla temperatura dei corpi".

Un bacio ad occhi aperti da parte del protagonista, perchè (ormai anche l'Erri De Luca che fu è connesso al mondo animale) "i pesci non chiudono gli occhi".

Le sue mani di bambino, che nel corso degli anni verranno impregnate dall'anelito rivoluzionario, ispessite dallo sfiancante strumento da lavoro ed eternate dall'appiglio sempre sfuggente delle pareti, "imparano lo stupore del verbo mantenere". E lo fanno proprio mentre sono costrette, loro malgrado, a lasciar andar via. In questo caso, per sempre.

Ancora una volta, prima di inziare la lettura di un'opera del maestro, la matita è bella e impugnata: per cercare di assorbire, anche visivamente, i tanti pensieri che scavano dentro e segnano. In maniera indelebile.

Grazie, Erri.

10 e non più di 10 #22

Le strade appiccicose della sagra

I sentieri aggrumati delle Dolomiti

Le rotatorie scontate del supermercato

Le scorciatoie fumiganti delle ferie

I crocicchi ansiogeni delle superstrade.

Il basalto s'impregna di umori

I ciottoli lamentano separazioni

Le curve implorano requie

Gli abbrivi bramano chilometri

Le diramazioni maledicono alternative.

"L'opera al nero", di Marguerite Yourcenar (trad. M. Mongardo)

Questo libro è incentrato sulla figura di Zenone, medico, filosofo, alchimista che si trova a vivere in quel periodo turbolento e ricco di fermenti culturali, scientifici e religiosi che è il Cinquecento.

Zenone è un personaggio immaginario, sebbene siano facilmente ravvisabili in lui gli influssi di Paracelso, Michele Serveto, Leonardo (almeno quello dei Quaderni) e Tommaso Campanella.

Nella sua veste di medico, frequenta sia gli ori dei sovrani che le miserie del popolino appestato, sempre gettando uno sguardo scientifico sulle sofferenze che si trova ad alleviare. E ciò in un'epoca in cui anche nella medicina le credenze la facevano da padrona.

Ben presto, nelle sue continue e vaste peregrinationes, abbandona ogni afflato filosofico, ciascuno portavoce della propria verità, per abbracciare l'alchimia in cui tutto è messo perennamente in discussione.

Ignotus par ignotius, obscurus par obscurius ("Andar verso l’oscuro e l’ignoto attraverso ciò che è ancor più oscuro e ignoto"): questo è il principio che regola il mondo alchemico e che Zenone fa ben presto suo, ossessionato dalla necessità di "intelligere" l'oscuro e l'ignoto per antonomasia: l'animo umano.

Figura fluida (etero e omo, affascinato dalla Riforma pur rimanendo sostanzialmente invischiato nei dogmi della Controriforma, ortodosso e ciononostante incuriosito dalle varie e pervicaci sette politico-religiose) in un'epoca che impone nette prese di distanza, Zenone incarna l'anelito alla genialità allergico, per sua connotazione specifica, agli steccati dogmatici e ideologici.

A ben vedere, è il Cinquecento stesso, con le sue continue sovrapposizioni di scene colte dal chiostro e dai bordelli, dai traffici dei finanzieri così come dai miserevoli banchi di vendita, a trasfondersi nelle corde di questo riuscitissimo personaggio.

Eppure Zenone, dopo aver vissuto innumerevoli vite, sempre in fuga da qualcosa (da se stesso, dalla capillare Inquisizione, dagli insegnamenti che l'avrebbero voluto cristallizzare nei "lumi di Chiesa"), alla fine è costretto a denunciare la sua inaccettabile modernità: genio visionario, sempre in avanti rispetto al tempo in cui gli è dato di vivere.

Alla fine tutto si riduce a una scelta: ritrattare come Galilei, e quindi salvarsi. Dimostrarsi invece inflessibile come Giordano Bruno ("eretico e pertinace"), e inevitabilmente finire sul rogo.

Sullo sfondo, una terza via, sicuramente più vicina a quella di Bruno eppur diversa, che unica può suggellare la sconfinata originalità di Zenone. E lui, immancabilmente, la segue.

Eccola l'Opera al nero del titolo: la fase alchimistica della separazione e della dissoluzione della sostanza. La parte più difficile della Grande Opera che spetta a chi s'inoltra nei suoi imperscrutabili sentieri.

Dopo aver scritto, e mirabilmente, di un personaggio reale (Memorie di Adriano), Marguerite Yourcenar si sofferma sulla figura di Zenone, stavolta inventata ma altrettanto suggestiva e ricca di spunti di quella dell'imperatore romano.

10 e non più di 10 #21

«Perchè?»

«E perchè?»

«Ma perchè?»

Il grumo del mio sapere si stempera già al terzo perchè.

E tu qui a sfiancarmi con la gragnuola dei tuoi perchè.

Impietosa.

Irriverente.

Balbetto, oscillo. Cerco ardite deviazioni.

Sono solo un povero padre.

Ho appena riconosciuto i demoni della mia pochezza.

"Il medico dell'isola", di A.J. Cronin (trad. Fabrizi-Melega)

Robert Murray è un giovane e ambizioso medico scozzese.

Riuscito grazie a considerevoli sacrifici e a un' indubbia bravura ad arrivare fino al Methodist Hospital, dovrà ora occuparsi di un illustre paziente (l'enigmatico Defreece, un piantatore di zucchero che possiede gran parte dell'isola di San Felipe nel Mar dei Caraibi) raccomandatogli dal primario in persona.

Un mese, non di più, durerà l'assitenza medica al Defreece da prestare rigorosamente nell'isola. Il dottor Murray, però, non sarà solo in questo compito: verrà coadiuvato da Mary Benchley, un'infermiera che lui "trovava ripugnante con la sua aria di signorina dell'alta società e il suo comportamento fine e disinvolto".

Una volta sbarcati a San Felipe, il medico e l'infermiera non possono non accorgersi dell'aria tesa e per certi versi inquietante che avviluppa in uno il piantatore, la sua famiglia, e l'intera popolazione.

Per di più la figura del dottor Da Souza, vero plenipotenziario dell'isola, sembra acquistare, vieppiù che le agitazioni degli isolani si fanno veementi, una valenza ambigua e misteriosa.

E se la ferita da fuoco occorsa al Defreece durante il tiro al piccione non fosse stata fortuita? E se la stessa giovane moglie del possidente non fosse morta di febbre locale?

Robert e Mary capiscono, loro malgrado, di avere assunto un ruolo importante nelle vicende che si dipanano a San Felipe.

Per quanto riguarda il dottore poi, lo stesso non può evitare di apprezzare la serietà e l'abnegazione alla causa dell'infermiera. Certo, ci sarebbe pure la sua bellezza, ma qui effettivamente c'è poco da concionare, se non che...

La rivolta monta.

Defreece si sente sempre più minacciato.

Una dolorosa scomparsa spinge il dottor Murray, come in un una esiziale partita di poker, ad andare a vedere.

Al centro di tutto, man mano che gli eventi esterni si congiungono con le sorti del possidente, c'è lui, il dottor Da Souza, con i suoi piani deliranti.

Riusciranno Robert e Mary a poteggere Defreece e a venire a capo dei loschi traffici che attanagliano l'isola?

E se magari i due protagonisti unissero gli sforzi e abbandonassero le reciproche diffidenze per un'unità di intenti (non solo professionale)?

Insolito Cronin, questo de Il medico dell'isola che soggiace, almeno a tratti, alle lusinghe del thriller.

10 e non più di 10 #20

 <Papà, quando arriviamo?>

<Ma la fila è solo per quel catorcio!>

Giraffo il collo e lo vedo.

Un trattore. Del secolo scorso. Sulla scia del mare.

Il popolo delle ferie sobolle.

Il trattore alfine svolta.

Tra clacson, bestemmie, improperi, clandestina cova la mia solidarietà.

E sorrido.

La fatica l'ha vinta sulle nostre pretenziose depilazioni.

"Acqua in bocca", di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli

Prendi due scrittori, l'uno un mostro sacro (Camilleri), l'altro un giallista sopraffino (Lucarelli); mettici una quarantina d'anni di differenza di età tra loro; aggiungi i personaggi che caratterizzano oltremodo i due autori (l'immarcescibile Salvo Montalbano e l'arguta Grazia Negro); mesci il tutto in uno scambio epistolare in cui, divertendosi a giocarsi tiri (letterari) mancini, imbastiscono una storia avvincente.

Ecco la genesi di Acqua in bocca della premiata ditta Camilleri-Lucarelli.

Un uomo viene trovato morto con un sacchetto di plastica sulla testa. Di fianco al cadavere, ci sono tre pesciolini rossi. Accanto a questa insolita presenza, un'assenza: la scarpa della vittima. Non c'è, non si trova.

Sarà Salvo a sospettare (a ragione) che il tacco del mocassino "modello Tod's" potrebbe essere di capienza "bastevole per nasconderci tutto quello che si vuole, dai documenti ai microfilm".

L'ispettrice Grazia Negro, quindi, ben fa a non vederci per nulla chiaro in questa morte. Anche per la fretta della polizia di archiviare il caso.

Dalla lontana Bologna, una lettera arriva a Vigata: è una richiesta d'aiuto a Salvo Montalbano il quale, pur con qualche esitazione iniziale, finisce per rispondere "presente".

La morte di Arturo Magnifico merita approfondimenti.

Tra servizi segreti, una conturbante Betta che richiama troppo direttamente il pesce combattente (Betta splendens), messaggi cifrati, cassate siciliane e tortellini in trasferta, Mimì Augello in missione (più o meno segreta) e Catarella che continua a "scangiare" parole e significati, Salvo e Grazia finalmente si incontrano.

Ben presto, però, si renderanno conto che sono diventati loro i soggetti da eliminare.

Sarà necessaria tutta la sagacia di Montalbano e l'abnegazione di Grazia per venire a capo dell'intricato groviglio. Ovviamente ci riescono, ma quando si tratta di assicurare alla giustizia l'artefice della morte del Magnifico e di altre persone più o meno collegate, prendono atto di un'amara verità: che, per certi soggetti "deviati", non c'è giustizia che tenga. Occorre eliminarli. Poichè però, (quasi) tutto si può dire di Salvo Montalbano (a lui viene affidato il repulisti) tranne che sia un assassino, ci penseranno gli stessi servizi segreti a completare l'opera solo avviata da Montalbano.

Molto più spesso di quanto si immagini, i Betta splendens si uccidono tra di loro.