Nel 356 a.C., infatti, le possibilità per un quisque de populo di diventare personaggio pubblico, erano pressoché nulle. A meno di accoppiarsi con qualche dea, magari sotto le mentite spoglie di un muflone selvaggio, o di uccidere il tiranno di turno che, bontà sua, decideva di farsi trovare a taglio di lama.
Scartate queste due possibilità, cosa rimaneva al nostro Nessuno per poter assurgere agli onori della cronaca? Per esempio, compiere uno sproposito; ma non uno qualsiasi, nossignore. Per raggiungere lo scopo serviva, piuttosto, un'azione talmente eclatante da farlo diventare una star non solo tra i confini delle varie polis, ma addirittura di permettere al suo nome, di secolo in secolo, di arrivare fino ai nostri motori di ricerca. Cerca che ti ricerca, ecco trovato il gesto spettacolare. Perché, checché se ne voglia dire, cosa può rendere più famoso un uomo del 356 a.C. che mettersi, bell'e buono, ad appiccare il fuoco al tempio di Artemide alias una delle sette meraviglie del mondo antico?
Certo, compiuto il fattaccio, poi c'era bisogno della pubblicità che tutto immilla. E già perché fin dal IV secolo a.C., a una distanza siderale, quindi, dalle televisioni del Biscione, era chiara l'equazione avvenimento non raccontato=avvenimento non avvenuto. Quindi, malgrado l'umile pastorello fosse convinto di averla fatta davvero grossa, gli mancava il passaggio successivo che solo avrebbe potuto imprimere il suo nome a lettere di fuoco nella mente scossa dei concittadini.
Quale modo migliore, a ben pensarci, che mettersi a urlare, mentre le fiamme divampavano all'impazzata, il proprio nome ai quattro venti in maniera tale che Erostrato, da quel momento in poi, venisse per sempre associato all'incendio del tempio di Artemide?
Portato a compimento il gesto extra-ordinario poi, di siffatto soggetto, inteso come persona fisica, si persero le tracce.
Quale modo migliore, a ben pensarci, che mettersi a urlare, mentre le fiamme divampavano all'impazzata, il proprio nome ai quattro venti in maniera tale che Erostrato, da quel momento in poi, venisse per sempre associato all'incendio del tempio di Artemide?
Portato a compimento il gesto extra-ordinario poi, di siffatto soggetto, inteso come persona fisica, si persero le tracce.
Passano gli anni. I secoli. I millenni. Arriviamo alla nostra epoca. Si va su Facebook. Per l'appunto, "s'accende" Facebook. C'imbattiamo, così, in un esercito di erostrati. Una masnada di carneadi che, per uscire dall'anonimato delle loro vite mediocri, non trovano di meglio da fare che sciorinare tutta la loro esistenza sui fili pruriginosi del più diffuso social network. E dopo aver incendiato la piazza virtuale con milioni di megabyte di fotografie, video, stati personali, fottuti dalla paura di non riuscire comunque ad ammantarsi della veste della notorietà, li vedi pubblicare le cose più svariate. E fosse solo questo!
Addirittura, in più di un'occasione, anziché usare il social network per testimoniare qualcosa d'importante, e quindi degno di essere condiviso, si arriva alla follia di creare un evento, vivere una situazione, al solo scopo di poterla pubblicare su Facebook. In altri termini, è il social che genera l'accadimento e non viceversa. Per non parlare poi di chi, finalmente consapevole delle figuracce a cui l'ha esposto la sua grammatica deficitaria, si sfoga condividendo pensieri e aforismi (preconfezionati, ovvio) che farebbero arrossire lo stesso La Palisse. Infine, come non accennare agli untori di zucchero e miele che t'inondano la pagina con zaffate di sdolcinerie azzeccose dirette ai vari "Cuore", "Battito", "Trottolino", "Puccy" e (sigh!!) "Ai capelli (di Gennaro da parte di Mariassunta, ndr) che sembrano volare con ali d'angelo in un barlume di emozioni cerulee"?
E pensare che in un'era di sovraesposizione mediatica come la nostra, per diventare finalmente personaggio, basterebbe avere l'originalità di declinare il proprio nome nella fattualità delle cose reali, hic et nunc. Certo, non sarebbe come incendiare il tempio di Artemide, ma almeno servirebbe a farci capire che chi cerca ossessivamente la ribalta non è nulla di più dell'ennesimo sempliciotto che tra clangor di buccine s'esalta.
Addirittura, in più di un'occasione, anziché usare il social network per testimoniare qualcosa d'importante, e quindi degno di essere condiviso, si arriva alla follia di creare un evento, vivere una situazione, al solo scopo di poterla pubblicare su Facebook. In altri termini, è il social che genera l'accadimento e non viceversa. Per non parlare poi di chi, finalmente consapevole delle figuracce a cui l'ha esposto la sua grammatica deficitaria, si sfoga condividendo pensieri e aforismi (preconfezionati, ovvio) che farebbero arrossire lo stesso La Palisse. Infine, come non accennare agli untori di zucchero e miele che t'inondano la pagina con zaffate di sdolcinerie azzeccose dirette ai vari "Cuore", "Battito", "Trottolino", "Puccy" e (sigh!!) "Ai capelli (di Gennaro da parte di Mariassunta, ndr) che sembrano volare con ali d'angelo in un barlume di emozioni cerulee"?
E pensare che in un'era di sovraesposizione mediatica come la nostra, per diventare finalmente personaggio, basterebbe avere l'originalità di declinare il proprio nome nella fattualità delle cose reali, hic et nunc. Certo, non sarebbe come incendiare il tempio di Artemide, ma almeno servirebbe a farci capire che chi cerca ossessivamente la ribalta non è nulla di più dell'ennesimo sempliciotto che tra clangor di buccine s'esalta.