È arrivato Gustavo. Dopo
tre chiamate andate a vuoto come, d'altronde, le altrettante
riparazioni fai da te dello sciacquone, finalmente la sua presenza si
è materializzata. Qui e ora.
Gustavo è mio coetaneo.
Ma vi è di più. E' più o meno l'esempio negativo che, una volta
addidatoti come miserevole approdo a cui può portarti l'ennesimo
quattro in greco, ti spinge a suffumigi disperati di versioni e
ottativi.
E io me la ricordo ancora, gli possino, la
sequenza corporea di papà. Dapprima il mento spianato sul malarnese
appena tornato da lavoro, di poi l'indice fracristoforesco
accompagnato dal “Verrà un giorno...” che mi prospettava la fine
ingloriosa e sudicia di Gustavo se solo non avessi colmato
quell'insufficienza.
Indi per cui, eccomi a
sobbalzare nel cuore della notte; ad immaginarmi sporco, con la
chiave a pappagallo arrugginita tra le mani.
Sta di fatto che la mia
pigrizia mentale, stroncata da quell'infausto presagio, ci mise ben
poco a lasciare il posto ad un iperattivismo capace di un fulmineo
approdo alla sufficienza. Anzi, c'è da credere che se l'agghiacciante
scenario mi si fosse prospettato qualche mese prima, probabilmente
avrei addirittura oltrepassato la fatidica soglia del sei, tanta era
la disperazione in cui il mio animo cadeva nell'istante stesso in cui
osava anche solo immaginare una vita da Gustavo.
La stessa vita che
adesso, in questo preciso istante, mi trovo mio malgrado a guardare
con altri occhi. Quali? Beh, quelli dell'evidenza, per esempio.
Da una parte il Suv BMW con il quale è arrivato l'idraulico, uscito dal parco della sua
villa e il costo della riparazione durata non più di dieci minuti;
dall'altra, la mia fiat 600 cointestata con la mamma che sgaiattola
fuori da casa dei miei e la parcella miserrima per una messa in mora
“già fatta nel pc” e di durata analoga alla riparazione..
I fallimenti si generano
dalla comparazione di dati. Il resto è aria fritta.
<Ma tu non pensi alla
cultura, all'istruzione!> sembrano scusarsi gli occhi “pigliati
collera” di papà.
Io pur andando fiero,
nell'ordine, della mia laurea rigorosamente fuoricorso, dei miei
esami al netto di pelose sponsorizzazioni, di quel pizzico di cultura
che mi contraddistingue, non posso non sentirmi leggermente
frustrato.
Lo sciacquone riprende a
funzionare. Il costo della chiamata, calmierato da una conoscenza
ventennale, e il prezzo della riparazione, vengono pagati.
Gustavo
s'accinge a lasciarci con la magra consolazione, mia e di papà, del
nostro investimento sulla conoscenza e sulla cultura.
Risorse queste, santo
Iddio, che mai e poi mai baratteremmo con la chiave a pappagallo di
Gustavo.
In parte rinfrancato,
sorveglio debitamente occultato dalla tenda celestina l'uscita
del Suv bianco affronto. Sortita ritardata che alimenta la suspence. Troppo
ritardata.
Suonano al citofono. Mi
vien da sorridere pensando che Gustavo possa aver dimenticato la
chiave a pappagallo. Io, per parte mia, non sarò mai costretto a
ritornare sul luogo di lavoro per riprendere un oggetto smarrito. Non
avrò mai la necessità di recuperare il classico ferro del mestiere
senza il quale la mia operatività è nulla.
Pregusto già la
soddisfazione nel vedere la sua mano callosa alla ricerca dello
strumento della sua scienza. Anzi, dell'aggeggio che è, in pratica,
la sua arte.
<Scusatemi, avevo
dimenticato il libro. E domani ho l'esame.>
“Critica della ragion
pura”. Ovviamente, Kant.
Mio padre s'affloscia
sulla poltrona. Io mi aggrappo alla tenda.
Sul salotto zio Giorgio
con Anita in grembo sorride. Di un sorriso plasmato dal rosso
riverbero che il figlio dell'operaio deve poter essere messo nelle
condizioni di raggiungere i più alti gradi di istruzione. A patto però,
vorrei aggiungere al pensiero astrattamente condiviso, che non si
discosti dal cliché del giovane istruito sì, ma anche squattrinato.
Il rombo dell'irriverente Suv e le volute della tenda divenute improvvisamente soffocanti, però, me l'impediscono.
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