Eccolo qui, l'avv. Vincenzo Malinconico, che nelle sue peregrinazioni tra lo studio ikea di 18 metri quadri e il tribunale delle sempiterne "coreografie del diritto", prova a mettersi a fuoco. E magari ci riuscirebbe pure, se non fosse per la professione inflazionata peggio che l'umarell al cantiere, o per l'amore che non c'è, e quindi provi a fartene una ragione, ma che improvvisamente ritorna e ti imballa il sistema. E sì perchè tra l'assenza e il ritorno del despota del cuore, c'è quell'Alessandra Persiano, star incontrastrata nei palazzi di giustizia, che sembra aspettare proprio un tipo scombinato come il Malinconico.
Ci sarà qualcosa tra i due e, soprattutto, durerà?
Altro giro, altra corsa: il Borsone, con l'edificante ruolo di smembratore di corpi con conseguente seppellitura di arti (distanziati in maniera tale che un piede se ne stia abbastanza lontano da un braccio per evitare collegamenti), si perde una mano. Quest'ultima, guardacaso, viene rinvenuta nel suo giardino: il cane gli ha fatto il servizio. Al Borsone, ovvio.
Malinconico lo viene ben presto a sapere: sarà lui il principe del foro che dovrà difendere il macellaio della camorra. Tutto bene, a parte il fatto che lui, il codice penale, lo deve andare a riesumare da un metro di polvere e più dei brogliacci dell'università.
Il Borsone viene brillantemente scarcerato e, come corollario a questo trionfo, il Nostro si vede assegnato l'efficentissimo Tricarico col ruolo di guardiaspalle, accompagnatore e, all'occorrenza, codificatore del linguaggio della mala: un camorrista "bravo guaglione", il Tricarico, che risolve l'annosa pratica volpino scassacazzi confinato nella stanza adiacente a quella dello studio legale: modi spiccioli, ma con un grado di efficienza altissimo.
E se il segreto di una vita quieta fosse proprio quello di agire unicamente per raggiungere il risultato, a prescindere quindi dalle metodologie adoperate e dai deprecabili effetti collaterali?
Tra elucubrazioni varie, alzate di ingegno, miserie che costellano la professione forense, figli "liquidi" che sembrano si mettano di buzzo buono a creare grattacapi; e ancora, tra strizzacervelli che non hanno le idee chiare (!), tipi gentili che scollinano nella follia, l'Eugenio Finardi che faceva il rockettaro quando gli altri cantautori rifilavano pipponi di testo (molto) e musica (poca), all'avvocato Vincenzo Malinconico non resta, per sopravvivere, che trincerarsi dietro il "non avevo capito niente" del titolo.
Vi sembra poco? A me, e ai tanti lettori del sagace De Silva, no. Decisamente no.