mercoledì 23 ottobre 2024

"Sipario, l'ultima avventura di Poirot", di Agatha Christie (trad. Diana Fonticoli)

Si ritorna lì dove tutto ebbe inizio: Styles Court.

Come nella prima indagine di Hercule Poirot, anche stavolta, tra le mura di Styles Court (ora diventata una pensione gestita dai coniugi Luttrell), aleggia un'aria sinistra.

Una lettera arriva al capitano Hastings. Il mittente è Poirot che lo invita a recarsi proprio lì, nella pensione incriminata. Mai come adesso, infatti, il celebre investigatore ha bisogno del suo aiuto. La verità è che a causa delle sue disperate condizioni di salute (artrite invalidante, cuore malandato), Poirot è costretto a dipendere totalmente da Curtiss, il nuovo cameriere personale.

Due domande: Poirot è davvero impossibilitato a reggersi in piedi? Perchè, proprio nel momento in cui avrebbe avuto bisogno del suo fidato cameriere di una vita, George, dà il benservito a quest'ultimo e si avvale dell'aiuto del meno acuto Curtiss?

Non appena il capitano Hastings giunge a Styles Court, Poirot gli racconta ben cinque casi, apparentemente risolti brillantemente dalle forze dell'ordine, in cui però niente appare come sembra: il vero assassino, unico per tutte le cinque vicende delittuose, non è mai stato acciuffato. Ma c'è di più: tra le cinque vittime non sembra esserci alcun legame apparente.

Ora, si dà il caso che il deus ex machina di quei cinque omicidi è proprio lì, ospite di Styles Court. E Poirot vuole coinvolgere il fido Hastings nella risoluzione di quest'ennesimo, apparentemente irrisolvibile caso.

È l'ultima occasione per l'investigatore belga di minare dalle fondamenta il dogma del delitto perfetto.

Piccolo particolare: nella pensione alloggia anche Judith, la figlia di Hastings.

Avrà un ruolo in questa storia?

Tra un ferimento dovuto alla distrazione di un tiratore comunque esperto, la morte di un'ipocondriaca causata dalla terribile fisostigmina e un tentato omicidio addirittura perpetrato da Hastings (omicidio, manco a dirlo, sventato indirettamente da Poirot), i nodi vengono al pettine.

Eppure, affinchè cali il sipario sull'intera vicenda e omicida e moventi vengano finalmente scoperti, c'è bisogno che il nostro Poirot consumi anche l'ultima stilla di vita.

Viene così trovato morto, ma non ucciso da qualcuno come pure teme l'affranto Hastings (adesso sì, rimasto davvero solo al mondo, dopo la morte recente di sua moglie) ma stroncato da cause naturali. Non prima però, malgrado la sua storia è lì a testimoniare un'aberrazione totale verso qualunque intento omicida, di essersi trasformato, sì proprio lui, in un angelo vendicatore.

Non per rabbia nè per passione.

Il movente è piuttosto da ricercare nell'assoluta dedizione alla giustizia che non tollera altri sacrifici di vittime innocenti.

Il foro di proiettile al centro esatto della fronte del colpevole (oh, l'amore per le giuste proporzioni di Poirot!) è l'ultimo, impareggiabile regalo che le celluline grigie più famose della letteratura lasciano al Lettore.

Lunga vita, Hercule Poirot!

"La solitudine del manager", di Manuel Vasquez Montalban (trad. Hado Lyria)

Jaumà, importante manager della tentacolare Petnay, viene trovato morto con uno slip da donna infilato nella tasca.

Conclusione ovvia: qualche protettore, esasperato dall'ennesima richiesta sconcia alla sua protetta, decide di reagire in malo modo.

La vedova del manager però non è persuasa di questa conseguenzialità troppo comoda della polizia, e incarica Pepe Carvalho di indagare sul caso.

Il Nostro, che ha conosciuto Jaumà in passato, realizza subito che la versione ufficiale fa acqua da tutte le parti. Non foss'altro perchè il giro delle prostitute e dei magnaccia in uno con le sue dinamiche, è il territorio di caccia dell'arguto detective. A tal punto da meritare l'epiteto di "annusapatte" affibbiatogli da qualche collega malevolo.

Nel suo ufficio sulle Ramblas di trenta metri quadri, foraggiato dai pranzetti alla buona del fido Biscuter e orientato dalle dritte di Bromuro, capisce che bisogna partire dalla fotografia degli anni dell'università per venire a capo della morte del manager: un manipolo di compagni con cui, in un modo o nell'altro, Jaumà ha continuato ad avere rapporti.

Ognuno di loro, a suo modo, ha declinato (a volte fino a tradirlo del tutto) l'ideale della Sinistra, unico argine al franchismo imperante.

In una Barcellona in cui la contestazione nelle strade sembra fare il gioco dei poteri forti, nella quale si fa fatica a scrollarsi di dosso le scorie della dittatura, Carvalho costruisce la sua verità sul caso Jaumà.

Quando poi l'auto di un ispettore della Petnay viene trovata nel greto di un fiume e un vecchio commercialista di fiducia del manager gli dà delle dritte sugli ammanchi della società per la quale Jaumà lavorava, Pepe ha finalmente tutti i tasselli al posto giusto.

L'ordine, però, disturba chi vuole che le cose procedano in un certo modo, e la lezione impartita a Carvalho e alla sua Charo, sta lì a dimostrarlo.

Non resta che accettare l'invito per "uno scambio di opinioni" nella villa del personaggio che sta dietro la morte del manager e dei magheggi della Petnay.

Il disincantato Carvalho ascolta la versione del deus ex machina, corredando la sua tesi dei pochi risvolti motivazionali che non poteva conoscere.

Non c'è null'altro da sapere.

Non resta, per sottolineare la sua contrarietà al gioco che gli viene decantato, che versare il Nuit de Saint Georges del '66 direttamente sul tappeto. Sacrificio, per chi conosce la venerazione del nostro Pepe per il buon vino e il cibo, sicuramente considerevole.

Uscito fuori dalla villa faraonica, Carvalho "aveva l'intera geografia del cervello occupata dall'espressione la solitudine del manager".

10 e non più di 10 #19

Le diottrie che mancano, la mia via di fuga.

Gli anni si sommano e le brutture, le ovvietà, le meschinerie si accumulano. E quando la misura è colma, mi tolgo gli occhiali.

Su un uomo banale, un palazzo orrendo, un comportamento indegno la mia miopia stende un velo di sfocata strafottenza. E di finzione.

Perfino l'attempata Conchita sopra di me, d'improvviso, si estenua in nervature adolescenziali.

Sul substrato ributtante della quotidianità, erigo un mondo finalmente accettabile.

"L'uomo solo", di Luigi Pirandello

Il filo conduttore di questi quindici racconti contenuti nella raccolta Un uomo solo, è la solitudine dei vari protagonisti a cui si contrappongono, in un modo o nell'altro, le trame respingenti della società. Una società, questa pirandelliana, sempre pronta a marchiare ogni minimo comportamento appena appena insolito del personaggio di turno, con le stimmate della stravaganza e dell'alienazione.

C'è la novella che dà il nome alla raccolta in cui i Groa, padre e figlio, due monadi smarrite nel caffè di via Veneto, non trovano altro linguaggio comune che quello, rispettivamente, del bisogno di ritornare con la moglie amata, e della presa d'atto dell'impossibile riappacificazione tra i genitori. Il Groa padre, prigioniero di un corpo sguaiato rispetto alla delicatezza del suo sentire, capisce che per vincere la solitudine non gli resta che balzare sull'argine del fiume e farla finalmente finita.

Ne La cassa riposta una serie di equivoci, anche esilaranti, esaltano la furbizia dell'avaro Piccarone che riesce a spuntarla pure di fronte a un'evidente accusa di colpevolezza.

Il treno ha fischiato è la spiegazione che Belluca, sottomesso e mansueto computista, dà della sua ribellione. Dove gli altri vedono pazzia, c'è solo la constatazione di una realtà diversa da quella misera in cui i casi della vita, a volte, ci incasellano.

In Zia Michelina c'è la frustrazione di veder immolati i principi cardine (come l'amore filiale di una mamma adottiva verso il figlio) all'altare delle piccinerie dell'utile.

Una carrozza di un treno, i passeggeri che parlono dell'eroismo di alcune persone in costanza di eventi estremi come i terremoti. Ne Il professor Terremoto, eccolo il racconto di chi sovverte l'umano sentire: anche l'eroe che salva vite umane può indirettamente compiere il male.

La veste lunga è la certificazione di una maturità arrivata troppo presto. Per liberarsi del calcolo altrui, non resta che quella boccettina che occhieggia dalla borsa del papà che accompagna Didì a un destino segnato.

Ne I nostri ricordi si affronta il tema dell'inaffidabilità di quanto rielaborato, a distanza di tempo, dalla nostra memoria.

Quando la convinzione di tutti diventa certezza, c'è sempre un evento, un comportamento che demolisce dalle fondamenta ogni asfittica costruzione. Questo è l'argomento trattato in Di guardia.

In Dono della Vergine Maria anche l'estrema consolazione, quella della fede, non solo è fallace, ma finisce col punire i miserrimi casi del protagonista, tal Don Nuccio D'Alagna, fino a perderlo del tutto.

La verità è la logica elementare di Tararà che, davanti ai giudici della Corte d'Assise, non può che prendersela con la moglie del cavaliere, colpevole di aver rivelato la tresca tra sua moglie e il nobile e averlo, così, costretto a farsi giustizia con le sue stesse mani.

In Volare la passerotta chiusa in gabbia, allevata a privazioni e a stenti che alla fine trova la strada della libertà, diventa metafora della vita di Nenè.

Il coppo è l'ultima occasione del pittore Bernando Morasco per riscattare una vita di principi e di rinunzie. Riuscirà ad annientarsi nel funzionamento del coppo che fende l'acqua del fiume?

Delusioni e malattie sono anche lo scenario dell'altra novella, La trappola, in cui l'ingabbiamento in una forma corporea (tema tanto caro al maestro Pirandello) viene ancora una volta ad annichilire il protagonista.

Notizie del mondo è una corrispondenza singolare tra due amici, di cui quello che è rimasto qui s'incarica di notiziare delle miserie umane l'altro che ormai non è più. Eppure, in questa fedele ricostruzione degli eventi, il sopravissuto non può esimersi dal difendersi dalle illogicità della vita.

L'ultimo racconto, La tragedia di un personaggio, è l'apoteosi del "cannocchiale rivoltato": il rimedio cioè che consente a Fileno di guardare il presente da una prospettiva lontanissima, che sola può alleviare le angosce e i patemi dell'attualità.

10 e non più di 10 #18

L'afa dei trapassati pomeriggi

inzacchera la fiamma dei fornelli.

La caffettiera cova magmatici assoluzioni.

L'ultimo brontolio in cattività

è il basso che dà l'abbrivio alla campanella.

Dalla scuola di prossimità indiscrete

i bambini squarciano la pinguedine estiva.

Il caffè scorbutico

increspa un riflusso di spensieratezza.

Inestimabile.

"Mia suocera beve", di Diego De Silva

In questa seconda opera del corrosivo De Silva, poco cambia: l'avv. Malinconico è sempre qui a rimuginare su atteggiamenti, a fare le pulci a convinzioni e idiosincrasie del nostro (complicatissimo) vivere quotidiano.

Ma allo sguardo rivolto su se stesso che non può prescindere dalla codifica dei comportamenti esteriori, si aggiungono, nell'ordine, il processo in diretta imbastito dall'ing. Romolo Sesti Orfeo (tra il banco frigo e i pelati del supermercato) e il "cattivo male" che viene diagnosticato alla suocera, la mamma di Nives.

E se per il processo a favor di telecamera a circuito chiuso ripreso, manco a dirlo, dalle tv di ogni ordine e grado, vi è la critica feroce alla giustizia celebrata nei tribunali (lenta, goffa, impacciata...praticamente inconcludente), per ciò che attiene ad Ass, la suocera di Malinconico, ci troviamo di fronte a un personaggio di una causticità senza pari. Spirito indomito, quest'ultimo, che solo sa apprezzare la trovata (geniale, perchè qualche volta, anche il Nostro brilla di luce propria) della bottiglia di wisky recapitata al capezzale dell'ammalata.

C'è odore di riscatto, caro Vincenzo: da un lato, infatti, vi è il figurone coram populo (l'ospitata dalla Bignardi è lì a certificarlo) rimediato quando ti sei messo a rintuzzare il populismo esasperato dell'ingegnere che, oltre al delinquente che gli ha ucciso il figlio, tiene sotto scacco l'Italia intera; dall'altro, il fatto che l'imprevedibile suocera vuole che sia proprio tu, più della figlia e degli amati nipoti, a farle compagnia (una compagnia che rifugge da ogni retorica) in questo esiziale momento della sua vita.

Ma vuoi vedere, che gira gira, ti stai affrancando dall'insuccesso sempre in agguato? Chiedere al mandrillo Ragionier (finto dottore commercialista) Espe, coinquilino di studio, per averne conferma.

Sullo sfondo, accanto all'immancabile canzone, possibilmente d'annata, da scandagliare (Se bruciasse la città di Massimo Ranieri e Diario dell'Equipe 84) vi è la storia con Alessandra Persiano che ormai è giunta ai titoli di coda. Ma poichè, come per la prima legge di Newton, un corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finchè non intervengono forze esterne a modificare tale stato, la realtà, adesso è chiaro, non supera la fantasia, l'abbassa solo di livello. E allora, caro Malinconico, sai cosa ti dico? Che il telefono che "squittisce e vibra" come un topo che ti vorrebbe riconsegnare tra le grinfie della femme fatale, fai bene a ignorarlo. Altrochè.

Benvenuto nel mondo dei grandi, Vincenzino bello, in cui puoi permetterti anche il lusso di avvalerti della facoltà di non rispondere e lasciare che le cose se la sbrighino da sè, una volta e per sempre. Già, proprio così: come si cucinano, si "minestrano", e a fanculo tutto il resto.

10 e non più di 10 #17

Uscite fuori,

eletti col bagaglio di quiz a risposta multipla,

marci del qualunquismo delle liste civiche,

nullafacenti delle amicizie influenti,

stercorari dalle zampette instancabili.

Jatevenne,

adepti della vacuità multiuso,

praticanti del cerchiobottismo senza ritegno,

vuoti a perdere dopo la grande abbuffatta,

cono d'ombra di ogni singulto di dignità.