mercoledì 6 novembre 2019

Vitiligine? No, tatuaggio

Che cosa abbiamo in comune, io, Nanninella ‘a guasta, Michael Jackson, Francesco Cossiga, Winnie Harlow e, ultima in ordine di apparizione, Kasia Smutniak?

La vitiligine. Una malattia autoimmune, cioè, innescata dallo stesso organismo che, bello e buono, decide di strapazzare i melanociti rendendoli, così, incapaci di produrre melanina. Risultato? Comparsa di chiazze bianco-latte, di estensione variabile, che vengono a contaminare l’incarnato uniforme.

Avviso ai naviganti: la vitiligine non è contagiosa ed è una malattia esclusivamente estetica.

La prima volta che mi ci sono imbattuto, è stato quando ho conosciuto Nanninella ‘a guasta. In quell’occasione, la mia sensibilità di bambino alquanto impressionabile, venne urtata dalle sue dita quasi completamente bianche. Senza parlare, poi, di quell’acromia ai lati delle labbra che condannava Nanninella ‘a guasta a una sinistra risata anche quando era del tutto seria.

Ricordo che rimasi interdetto da quella visione. Col senno di poi, anche troppo, quasi come se avessi presagito che a distanza di una quindicina di anni, la stessa sorte, sarebbe toccata pure a me.

Come si reagisce alla vitiligine? Nel mondo-specchio in cui ci tocca vivere, dove qualsiasi imperfezione lede in maniera irrimediabile la nostra autostima, non bene. C’è chi, come il grande Michael Jackson, ha preferito sbiancarsi del tutto per evitare lo stridentissimo (per lui che era «nero») contrasto con le macchie bianche che hanno minato il suo corpo fin dall’adolescenza. E chi come l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, a suo dire «sbiancatosi» in una sola notte per il fortissimo stress causatogli dal rapimento di Aldo Moro, portava la sua vitiligine con invidiabile disinvoltura.

Poi c’è chi, come la bellissima Kasia Smutniak, un giorno d’estate decide di ostentare sui social le sue macchie finalmente libere dal camoufflage.

«Io, crescendo, » ha scritto l’attrice con la sua vitiligine in bella mostra «ho imparato anche un’altra cosa, accettare non è sufficiente. Bisogna amare i propri difetti!».

Per quanto mi riguarda, da «vitiliginoso», ho imparato gradualmente a convivere con questo inestetismo (per rispetto a chi è affetto da malattie davvero invalidanti, mi sembra irrispettoso chiamare «malattia» questo disturbo della pigmentazione). Certo, ancora adesso, quando ti senti sulle mani, sulle gambe lo sguardo allarmato di chi non conosce la patologia, la prima reazione è quella di metterti le mani in tasca, nascondere la gamba più colpita dalla vitiligine dietro quello meno compromessa. Ma dura solo un attimo. Adesso, dall’alto della mia ultraventennale convivenza con la vitiligine, guardo il mio interlocutore con sorriso beffardo, non prima di offrire io stesso le mie mani e le mie gambe alla sua attenzione: «Non ci fare caso. Poiché tutti si tatuano l’inverosimile e poi se ne pentono, io ho deciso di disegnarmi spazi bianchi da riempire con qualcosa non appena avrò le idee chiare in proposito.»

E giù una doppia, complice risata.

 

 

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