Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi. (Italo Calvino)
giovedì 5 marzo 2020
Saramago ai tempi del Coronavirus
sabato 14 dicembre 2019
Amazon, la vicina e la gatta
Ci sono due pulsanti, uno sopra e l’altro sotto, e tanto vale schiacciarli entrambi contemporaneamente: il destinatario della consegna verrà comunque a ritirare il pacco.
Poco importa che quel destinatario non sarò mai io ma unicamente la mia vicina di casa.
Sempre lo stesso siparietto. La doppia citofonata imperiosa. Lo sguardo allarmato all’orologio da parte del corriere un secondo dopo il «c’è un pacco per la signora…». La sua mano libera che tamburella spazientita sulle grate del cancello. L’attimo di sollievo quando la cliente si appalesa. Il risolino tra il soddisfatto e il bramoso di possesso della vicina di casa. Il lancio del pacco con contestuale penna per firmare la ricevuta. Una smorfia di disapprovazione non appena la firma richiede più di due secondi per essere apposta. Il zompo dell’omino nel furgone vecchio quanto il crucco. La partenza a razzo. Il fumo zavorrato dalle particelle inquinanti.
Altro giro, altra corsa, necessariamente in ritardo sulla tabella di marcia del consumismo.
Stavolta, però, il rituale ha subito una spiacevole variante.
Nella foga di scappare via incontro all’ennesimo bisogno compulsivo d’acquisto, il furgone si è trovato a tu per tu con la colonia di gatti del condominio.
L’Inps (così soprannominato perché fin da piccolo ha sempre avuto qualche acciacco), Ipazia (gatta nera che richiama le fiamme del rogo sul quale fu immolata la brillante, omonima matematica) e gli altri felini della combriccola, hanno schivato il furgone alienato.
Amazzone, che poi è la micia preferita dalla mia vicina, pure, ma mentre si cimentava in un triplo avvitamento per scansare il copertone invasato, è finita contro una ringhiera, procurandosi qualche leggera ammaccatura.
Mi sono precipitato a prestarle soccorso.
Quando ho spiegato alla mia vicina che Amazzone era stata vittima di…Amazon, mi ha giurato che non avrebbe fatto più acquisti on-line.
Proprio oggi, però, a distanza di un paio di settimane dall’incidente che ha coinvolto la sua amata gattina, un altro omino delle consegne ha ripreso a schiacciare entrambi i pulsanti del citofono, ovviamente all’unisono.
Amazon ha sconfitto, nell’ordine: le imprecazioni del papà della mia vicina contro gli acquisti on-line che gli avrebbero fatto chiudere bottega; la sua partecipazione ai venerdì del Friday For Future che, tra l’altro, imporrebbero una limitazione negli spostamenti delle merci; la paura che, dopo la povera Amazzone, qualche altro gatto potesse essere asfaltato dalle ruote del cabinato delle consegne.
Amazon omnia vincit.
sabato 7 dicembre 2019
Preziose terre rare
Diciassette metalli, diciassette fottutissimi metalli.
Fino a un centinaio d’anni fa, erano praticamente sconosciuti. Poi la loro scoperta e
un nome atto a qualificarli: «terre rare».
«Terre», perché così si chiamavano, nel XVIII e XIX secolo, i minerali che non
potevano essere modificati dalle fonti di calore; «rare», per la bassa concentrazione
(normalmente meno del 5%) dei loro depositi.
Perché mi è venuto lo schiribizzo di parlare di questi minerali dai nomi impossibili
(scandio, lantanio, ittrio, praseodimio, etc.)? Semplice, perché oggi è praticamente
impossibile che un componente tecnologico nei campi più disparati (cellulari, computer,
cavi di fibra ottica, energia nucleare, aerospazio e difesa, acciaio,
automobili elettriche) non sia costituito da una percentuale più o meno importante di
terre rare.
Per capire meglio la pervasività di questi metalli, portiamo l’esempio dell’automobile:
ebbene, le dozzine di motori elettrici di un’auto tipica, i suoi diffusori audio, i suoi
sensori elettrici, il convertitore catalitico, i fosfori degli schermi ottici, il parabrezza,
gli specchi, le lenti e gli altri componenti di vetro, perfino la benzina o il gasolio
(raffinati con catalizzatori di cracking con lantanio e cerio) contengono o sono trattati
con preziosissime terre rare.
Tutto bene (da qualcosa, il nostro sistema produttivo deve pur dipendere, non vi
pare?) se non fosse che le terre rare sono estraibili solo con manovre altamente
inquinanti e che oltre il 90% delle terre rare utilizzate nel mondo provengono dalla
Cina. In soldoni ciò significa, nell’ordine: a) che stante la fame insaziabile della nostra
società di prodotti soprattutto hi-tech composti da questi metalli, l’inquinamento da
estrazione aumenterà sempre di più; b) che se le terre rare vengono estratte
praticamente in un solo Paese (Cina), presto o tardi il mondo si troverà a dipendere,
economicamente e non solo, da quel Paese.
Ma vi è di più. Si conoscono bene le condizioni di lavoro degli uomini e dei bambini
che ogni giorno estraggono, schiacciati in cunicoli scuri e nauseabondi, i minerali
indispensabili per il display touch del nostro cellulare; quello stesso cellulare che così
frequentemente cambiamo, irretiti dalle novità del mercato e dai diktat rapsodici del
consumismo.
A guardarli bene, questi uomini e bambini non sono altro che schiavi, pedine di un
sistema congegnato per raggiungere due obiettivi: il benessere del consumatore e il
profitto dell’impresa.
Si tratta, citando il sempre (troppo) attuale Marx, di un «esercito di riserva»:
manodopera, cioè, facilmente sostituibile anche per la scarsa specializzazione di cui è
connaturata; lavoratori, quindi, condannati allo sfruttamento più bieco e a una
miseria insopportabile, come lo è sempre quella che permane nonostante la fatica
profusa.
Triplice ordine di problemi, in conclusione: geopolitico (con il monopolio di Pechino
nella estrazione delle terre rare), ambientale e delle condizioni di lavoro: questo è il
portato dei diciassette metalli, per altri versi, importantissimo.
Soluzioni? Tornando al cellulare, basterebbe avere il coraggio di capire che
quell’insignificante graffio sul display non ci obbliga a comprare un telefonino nuovo.
Comportamento rivoluzionario, questo, nel presente monopolizzato dal Black Friday
perenne.
sabato 30 novembre 2019
La fontanella che brucia
La fontanella del paese ha segnato la mia infanzia.
Più precisamente, è stato un accadimento che l’avrebbe dovuta riguardare, a marcare a caratteri di fuoco la mia esistenza; quella stessa esistenza che, in seguito e in conseguenza di tale, presunto evento, sarebbe stata rischiarata dalla logica e poi, finalmente, dal ragionamento.
A cosa mi riferisco? Al suo incendio. Sì, insomma, al dispiegamento di lingue di fuoco che, almeno a detta di Franco il Terribile, avrebbero avviluppato la stitica fontana del paese.
Ora, lo so da me che l’incendio di una fontana non è cosa possibile.
Provate a mettervi, però, nei panni di un bambino di otto anni che sente dalla bocca irregolare di Franco il Terribile che la fontana di Giovi si sta «appicciando»!
Il pargoletto in questione, infatti, era a tal punto spaventato dall’effige lupigna di Franco da non poter attivare, sia pur ne fosse stato capace, quel collegamento neuronale pronto a sgamare l’illogicità del binomio acqua-fuoco. E dunque il nostro baby protagonista si è trovato a sguazzare nella prima fase della crescita, quella, chiamiamola così, «emozionale». Stadio questo, che può sempre far capolino anche nell’uomo adulto, quando la sua mente è coartata da un’emozione assai intensa (terrore, dolore, etc.).
La seconda fase poi, è quella che probabilmente sarebbe stata raggiunta dal bambino se non ci fosse stato Franco e che, comunque, è conquistabile con appena un po’ più di anni sul groppone: quella «logica».
Il primo stadio non è per nulla, diciamo così, esigente. Non si richiede, infatti, né intelligenza né cultura per assaporare la paura, il dolore. È sufficiente un organismo vivente, anche senza «durata» alcuna: pure il neonato infatti, è capace di provare dolore, gioia, felicità.
La seconda fase al contrario, se può fare a meno della cultura, richiede sicuramente un pizzico d’intelligenza mentre potrebbe, almeno nelle sue forme più elementari, addirittura prescindere dalla vita. In altri termini, anche un PC sarebbe in grado di segnalare l’ illogicità del binomio acqua-fuoco. Ma se vita c’è, questa dev’essere per forza «umana».
La terza fase invece, è il «cogito ergo sum» di cartesiana memoria. È lo stadio esclusivo dell’uomo maturo, intelligente, colto. Insomma, l’essenza della speculazione, del ragionamento stesso.
E infatti, premessa l’illogicità di una fontanella che brucia, cosa potrebbe venire a significare questa immagine (eccolo, il terzo stadio)?
A codesta domanda, il bambino sgranerebbe gli occhi, il PC fonderebbe i transistor, lo stupido ignorante…beh, se avessimo la fortuna di trovare uno stupido ignorante pacifico, nella migliore delle ipotesi, ci piglierebbe per pazzi. Se invece, malauguratamente, c’imbattessimo in un esemplare violento…chissà, forse sarebbe meglio metterci le gambe in spalla e pedalare.
Comunque stiano le cose, a me, ‘sta fontanella del paese che brucia (la fontana, non il paese!) mi ha da sempre «appicciato» falò di fantasie nel cervello. Per questo, a distanza di tanti anni, devo ringraziare il buon Franco il Terribile, lui sì ormai in una condizione tale da potersene sbattere bellamente della logica e delle iperboli.