lunedì 21 ottobre 2024

"Il meccanico Landru", di Andrea Vitali

Sei forestieri, dall'apetto per nulla rassicurante, scendono alla stazione di Bellano. Ad accoglierli, il capostazione Amedeo Musante che si sente subito rispondere "Siamo i meccanici della SACR". E sì perchè, nella cittadina lacustre del 1930, è giunto il momento di installare i telai elettrici al cotonifico: il progresso impone i suoi rituali, e pazienza se un'ottantina di operai si troveranno dall'oggi al domani disoccupati!

A prevedere l'emorragia di posti di lavoro, è lo stesso direttore del cotonificio, ing. Luigi Galimbelli che, forte delle sue convinzioni (c'è chi ha la tessera e chi ha la testa), si vede ridimensionato nelle ambizioni professionali con la direzione del cotonificio in quel di Bellano anzichè in una fabbrica più prestigiosa.

Frattanto il ballo in onore delle nozze del principe Umberto con Maria Josè, è bello e organizzato. Ci ha pensato, manco a dirlo, il segretario ciitadino del Fascio, Aurelio Pasta, che però, al momento di far rispettare quell'ordine assicurato anche al maresciallo Rodinò, si è "trasferito in Val Passera".

Zuffa e botte da orbi che hanno visto sugli scudi cinque dei sei meccanici perchè il sesto, quel tale Landru protagonista del libro, è astemio e se ne sta in disparte. Almeno fino a quando non arriva il suo momento: e allora via alla conquista dell'ingenua Emilia Personnini, segretaria fino a quel momento integerrima dell'ingegnere, ammaliata dal mito dell'Argentina.

Un tipetto, il bel meccanico, a cui raddrizzare le ossa da parte della squadra fascista (e non solo) senz'ombra di dubbio ma...c'è un "ma" che impone calma e ponderazione: quel diavolo di Landru è un attaccante di razza. E all'orizzonte incombe la partita con la coriacea squadra del Dervio.

Contr'ordine, camerati, allora: il Landru diventa una risorsa da coccolare e da mantenere addirittura a spese del partito fino alla disputa dell'epico scontro calcistico . Poi, però, per un motivo o un altro, il macht storico si rinvia, lasciando tutto il tempo al meccanico di far guai. Eppure l'aveva avvertito al Pasta l'Eumeo Pennati, il numero due nel PNF cittadino destinato a soppiantare il segretario in pectore, che quel Landru prima o poi ti s'incula.

Dal canto suo Don Ascani, il prevosto, deve trovare marito all'indifesa Maddalena mentre il maresciallo Rodinò, con il prezioso aiuto dell'ing. Galimbelli, ha da venire a capo di un losco traffico di buoni pasto degli operai del cotonificio che ruoterà, guarda caso, ancora attorno alla figura del gaucho dal nome strano.

La partita sta per disputarsi e il cerchio si stringe attorno a Landru. Il conto della Personnini, nel miraggio dell'Argentina, si assottiglia sempre più e il Pennati, esponente della stirpe dei "caporali" nella celeberrima distinzione di Totò (uomini o caporali), da fervente fascista negli anni in cui conveniva esserlo, si adegua allo spirito dei tempi frattanto mutati con tanto di fazzoletto rosso stretto al collo, a salutare la lapide in memoria di Giacomo Matteotti.

Perchè a lui, come aveva ribadito al suo ex segretario prima di ciullargli il posto, non lo incula nessuno.

"Riccardino", di Andrea Camilleri (recensione in vigatese)

 Caro Nenè,

lo sapivo che sarebbi finito tutto in un colpo di tiatro. E tu, mastro d’opira fina, non hai fagliato manco stavota.

Sono squasi le cinco del matino. Sona il tilefono. E il tò Montalbano, mezzo ‘ntordonuto dal sonno piombigno, addimanna cu minchia è.

Dall’autro capo del filo, “Riccardino sono” gli arrispunne ‘na voce squillanti e festevoli al contrario della sò. Gli conta che sono tutti ad aspittarlo davanti al bar Aurora e che, a malgrado il cielo tanticchia nuvolo, cchiù tardo sarà una jornata bellissima.

Riccadino non ci ‘nzerta. In primisi pirchì scangia pirsona (non voliva tilifonare al commissario ma a uno dei “tri muschitteri”, i compagnuzzi sò), in secunnisi, pirchì la jornata finisce nivura, in quanto che l’ammazzano cu dù colpi ‘n facci.

Livia, dal canto so, s’è amminchiata cu ‘na vacanza ‘mproponibili ed è un pirsonaggio sempre chiù spaplito.

Catarella s’intorcina ancora chiossà, e le porte che primma sbattevano perché la mano gli sciddricava, ora addiventino bumme a ‘ralogeria.

Fazio, ‘nveci, si catamina quatelosamente per circari di accapire indovi il commissario, stracangiato e con poca gana di travagliare, voli andare a parari.

Mimì Augello, vattelappesca: s’è ammucciato nel virivirì di n’autra trama.

La virità, Nenè, è che Salvuzzo tò si sente assugliato dalle vicchiaglie, e che ‘sta malitta indagine avi qualcosa che non lo pirsuade: il politico in odor di mafia che addiventa sottosegretario alla Giustizia; il pispico Partanna che voli, senza dire né ai né bai, suggerire soluzioni ‘nteressate della facenna (“monaci e parrini, sinticci la missa e stoccaci li rini”); il pm Tommaseo e il signori e guestori a cui faglia evidentementi il coraggio di mettirisi contra il Governo e la Chiesa.

Ma chesta, Nenè caro, è la mezza missa: la vera virità è che tu, Autore dei tanti libbri di Montalbano, si trasuto a gamma tisa in “Riccardino” e hai scassato i cabasisi al poviro Salvuzzo. E sì pirchì Montalbano voli arrivari fino in funno, secutanno ‘na loggica senza compromissi. Tu, ‘nvece, non solo a iddru, ma a taci maci puro al signori e guestori, vuoi suggerire ‘nu finale per nesciri fora dal busillisi dell’ultima indagine. Cu tutto il rispetto, Nenè, stavota hai pisciato fora dall’orinale. La tò creatura, il tò pirsonaggio, non voli calarisi le mutanne e lasciari che tutto vada a scatafascio: lui, Salvo tò, è omo di parola e non po’ tirarsi narrè, macari davanti ai sottosecretari, parrini e piscopi, masannò che fiura ci fa con il Lettore?

La rottura Autore-Personaggio è ‘nsanabili. Mejo è che tu, Nenè, te ne acchiani indove il genio tò è nisciuto fora e che il Montalbano de noautri (pirchì, lo sai Nenè, ogni pirsonaggio del libbro si catamina sulle gamme del Lettore) venga ammucciato, petra priziosa, nel cori di chi l’ajo amato.

Caro Nenè, c’ajo miso parecchie mesate prima d’accatarimmi il tò ultimo libbro. E mo, assittato macari io supra a un terrazzo indovi de la pilaja non si vede manco l’ummira, cu ‘na sicaretta astutata (chiedo pirdonanza, Nenè, ma nunn’aio mai saputo fumari) e cu allato il tilefono de la bonarma, guardo ‘na stiddra e aspetto.

Il tilefono finalmenti sona.

Mi libbiro, allora, dalle filinie del sonno ‘mpiccicate nel ciriveddro, e con l’occhi ancora a pampineddra: «Cu è? Io» arrisponno chiangenno como a ‘nagniddruzzo «Montalbano, sugnu!»     

"La macchia umana", di Philip Roth

 Tutto parte dall’appellativo di “spettri” che lo stimato professor Coleman Silk rivolge a due studentesse latitanti fin dal primo giorno di corso. Il caso vuole che queste due ragazze siano anche nere e che il lemma “spettri”, tra i numerosi significati secondari, ha pure quello di “negri”.

Sotto i piedi di Coleman Silk, che durante tutta la sua carriera ha trasformato il college di Athena in una fucina di talenti e nel paradigma del buon insegnamento, si apre la voragine della perdizione. Accusato ingiustamente di razzismo, dà le dimissioni evidentemente sdegnato da questo stigma infamante. Proprio lui che…certo, c’è la vita familiare e professionale fondata sul rinnegamento delle proprie origini; a tal proposito, com’è che gli faceva il verso suo fratello Walter? “Bianco più bianco del giglio”, sì, ma questa è l’impalcatura su cui il professore costruisce tutta la sua irreprensibile vita. Fatti più o meno privati, insomma.

Frattanto, la bulimica macchina del fango non si arresta: ben presto, all’interno del college e poi immancabilmente all’esterno, viene diffusa la notizia che il brillante Coleman Silk approfitti sessualmente di una donna di circa quarant’anni più giovane. Ma non basta: Faunia, la femmina in questione, ha avuto una vita travagliatissima (dalla violenza subita dal patrigno, alla morte dei suoi due figli; dalla iattura di un marito affetto da disturbo da stress post traumatico…ancora il maledetto Vietnam!, a una condizione di povertà intellettuale imbarazzante) e non trova di meglio, per campare, che fare la bidella al college, le pulizie in un ufficio postale e lavorare presso un allevamento di vacche.

I troppi benpensanti non riescono ad accettare l’idea che pure a settant’anni suonati, anche dall’alto della propria posizione sociale, ci si possa innamorare visceralmente di una donna con la metà dei propri anni, per di più pressochè analfabeta.

Neppure la morte si sottrae alla speculazione sul conto del professor Silk: un gioco erotico imposto alla derelitta Faunia, l’ancella delle sue perversioni, e dritti giù nel fiume a folle velocità.

Eccola l’ufficiosità di un referto che diventa pietra tombale su cui sotterrare perfino la memoria di Coleman Silk.

Eppure, c’è qualcuno che non ci sta: Nathan Zuckerman, scrittore e amico per un breve periodo del professore, vuole ristabilire la tante verità che sono mancate nella sequenza dei fotogrammi relativi alla vita dello studioso. Ma dovrà farlo in solitaria e in silenzio perché il solo indagare su una fine che vede accostati i nomi di Coleman Silk e Faunia Farley, appare di una ereticità imperdonabile.

"Noi lasciamo una macchia, lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà, abuso, errore, escremento, seme: non c’è altro mezzo per essere qui".

"Magia e Fantasia", a cura di V. Sacchi ed E. Visalberghi

Di fiabe hanno scritto, oltre a Charles Perrault, i fratelli Grimm, Hans Christian Andersen, anche altri scrittori insospettabili del calibro di Luigi Capuana, Oscar Wilde, Aleksandr Puskin e Antonio Gramsci. E in "Magia e Fantasia", Ghisetti e Corvi editori, una selezione di letture per la scuola media (oggi si direbbe "scuola secondaria di primo grado"), sono presenti anche le fiabe di questi ultimi.

È un mondo fantastico quello racchiuso in queste pagine, dove accanto al celeberrimo gatto che fa passare il povero padrone addirittura per il marchese delle Carabattole (curiosità: prima di Perrault, dell'astuto gatto aveva favoleggiato Giambattista Basile nel "Gagliuso" del Cunto de li cunti ), e passando per il terribile Barbablù e la sua chiave insanguinata, ci sono una serie di anime candide (Giovannin Senzapaura, Gian Babbeo, Giacomo il sempliciotto) che, del tutto inaspettatamente, si riveleranno più astute di Belzebù e delle streghe che furoreggiano in molti racconti.

Questo libro presenta alcuni tra i più celebri e significativi esempi del patrimonio fiabesco europeo, corredato dagli immancabili topoi di ogni fiaba che si rispetti: ci sono le fatiche a cui sono sottoposti i vari protagonisti (la cattura dell'Uccello di fuoco, la liberazione della principessa dal perfido drago, etc.), le astuzie a cui si ricorre per garantirsi la vita o per lasciarsi alle spalle una via di fuga purchessia, le donne che, quando non vestono i panni di presenze mefistofeliche o delle abusate svampite, diventano la chiave di volta per salvare capre e cavoli (in Tom Tit Tot la ragazza ottiene l'aiuto del diavolo per farsi beffe del marito e quello del marito per mettere nel sacco il diavolo).

"Magia e Fantasia", poi, nella parte finale, prevede delle "esercitazioni" consistenti in test oggettivi di comprensione, inviti alla riflessione e proposte di lavoro, senza dimenticare quelle "riflessioni sulla lingua" che approfondiscono alcune parole incontrate nella lettura ("salario", "scacchi", "astrologo", etc.).

In questo mondo asettico in cui gli ingranaggi della consequenzialità debbono essere ben rodati e oliati, com'è rassicurante, a volte, perderci in un certo reame di un certo stato! Non foss'altro perchè solo grazie alla magia e alla fantasia possiamo essere oggetto di trasformazioni strampalate e meritarci delle fortune improvvise.

E la morale? C'è anche quella in queste fiabe. Sissignore:

Quella curiosità che tanto spesso

Costa dolori e gravi pentimenti

È un futile piacere (non spiaccia al gentil sesso)

Che, una volta raggiunto, finisce immantinenti.

"La presa di Macallè", di Andrea Camilleri

È un viaggio iniziatico, questo del Michilino di Camilleri. Sullo sfondo, la guerra in Abissinia ("baggiana criminalata") e la presa, tra le altre postazioni, di Macallè da parte di uno sgangherato esercito imperiale ("una minchiata solenne").

Tra il padre Giugiù, segretario cittadino del Fascio che lo consacra al culto del Duce, la mamma e padre Burruano che gli inculcano il sacro furore contro le cose vastase, il picciotteddro di appena sei anni si approssima a una morale distorta e alfine omicida, suo malgrado.

Figlio della lupa, scolaro apparentemente dotato che si deve abbeverare a una fonte altra rispetto alla scuola pubblica (il professore Gorgerino che lo sodomizza in nome di un famigerato stile spartano stretto parente di quello fascista), Michilino esplora il sesso con la vedova Sucato prima di agguantarlo in tutta la sua complessità con la cugina Marietta. Il fatto è che, al sesso, il nicareddro sembra votato (angilu minchiutu): l'aciddruzzo sò, infatti, è di dimensioni notevolissime per un bambino e il suo attisarsi come un palo della luce ogni volta che sente a tutto volume i discorsi di Mussolini che erompono dal grammofono, fa di lui un predestinato alle cose tinte.

Poi ci sono i Maraventano, il padre sarto e suo figlio Alfio, che in ossequio al travisamento dell'insegnamento di Gesuzzo (Un comunista non è un omo, ma un armàlo e perciò se s'ammazza non si fa piccato), possono essere sacrificati, il primo indirettamente, il secondo impugnando il moschetto fuori ordinanza (Libro e moschetto fascista perfetto).

Il primigenio tributo di sangue al Duce, è bello che pagato. Adesso, a Michelino, resta il conto aperto con il Signoruzzu e le cose di chiesa. A tal proposito, padre Burruano e la mamma, grazie a una lettera anonima di quelle con cui, a certe latitudini, si allestiscono tragedie, vengono scoperti in una "penetrante" conversazione dal papà.

La cugina Marietta, dopo il compito di nave scuola espletato egregiamente, duna adenzia non più al dotato Michilino, ma a suo padre che conciato per le feste il parrino e cancellata la mamma dalla vita del figlio, ha bisogno di rasparsi le corna con carne fresca.

C'è un problema, però: quando ficcano un uomo maritato e una donna schetta, piccato mortalissimo è.

A Michilino, manco a dirlo, spetta il compito di rimarginare la ferita di Gesù per le cose vastase del papà e della cuscina. E lo farà in un modo tragico e pirotecnico.

L' "infanzia sabotata" di Michilino trova il suo compimento nel "Tu sei mio" del Gesuzzo che vola sopra le fiamme e dell' "Io sono tuo" del picciliddro che trase nel foco vivo.

mercoledì 7 dicembre 2022

Bellano a due passi da Vigata

 


Bellano, comune (reale) della provincia di Lecco, sponda orientale del lago di Como, profondo Nord.
Vigata, città (immaginaria) che si sfalda nel mare, sicuramente sicula, estremo Sud.
Come dire alfa e omega, il bianco e il nero. Eppure…eppure due scrittori si sono messi di buzzo buono e hanno costruito un ponte tra queste due località geograficamente agli antipodi. Con esiti, vedremo, sorprendenti.
Del maestro Camilleri, manco a parlarne. Per precetto biblico infatti, guai a nominare il nome di Dio invano, si sa.
Per quanto riguarda Andrea Vitali invece, parliamone, e anche tanto: medico condotto proprio a Bellano, per ironia della sorte si accorge ben presto di saper scrivere, e pure bene. Prima, però, di animare i polpastrelli e disperdere inchiostro su carta alla come viene viene, capisce che deve mettersi in ascolto. Di chi? O bella, dei mille e passa mutuati che ogni giorno, tra una ricetta medica e un dolorino che proprio non ne vuole sapere di passare, affollano il suo ambulatorio.
Sono voci del popolino, pettogolezzi delle comari, “non detti” di prevosti e confessionali, la placenta feconda che nutre la sua arte. A Bellano quindi, così come nella celeberrima Vigata.
Anche nella cittadina lecchese il movimento delle onde (del lago, beninteso, ma sempre di elemento acquoso si tratta) sembra cullare le ansie, i ritrovamenti e gli smarrimenti del popolino che si azzuffa, si fronteggia, si perdona, puntualmente invischiato in un sorriso di pregevole fattura.
Pure a Bellano le forze dell’ordine, nella fattispecie i carabinieri, spesso la fanno da padrona: certo, qui non c’è il baffuto commissario Montalbano (ben presto divenuto, nella trasposizione cinematografica, più o meno glabro e praticamente calvo) ma c’è il prolifico maresciallo Ernesto Maccadò, coadiuvato dal brigadiere Efisio Mannu e dall’appuntato Misfatti: sottoposti, questi ultimi, che proprio non si possono soffrire.
Financo i giorni torridi sembrano irradiare, pur alle opposte latitudini, zaffate di calore similari che tramortiscono i sensi. Simili, ok, ma non al punto da annullare le differenze tra i due scrittori che pur ci sono. Per esempio tra il vigatese pressochè inventato dal Maestro e l’italiano, per quanto spesso contaminato da una divertita territorialità, comunque ordinario; nella diversa concezione delle cose sacre, laddove per Camilleri la religione ha sempre un retrogusto di ipocrisia e negatività (“Monaci e parrini/sentici la missa/e stòccaci li rini”) mentre per il buon Vitali la Chiesa, con le sue ineffabili perpetue e i suoi risoluti parroci, fornisce spunti molto spesso costruttivi e decisivi per le varie vicende che si dipanano.
Un’altra differenza importante è che le storie dello scrittore lombardo sono ambientate esclusivamente negli anni '20 e '30  del secolo scorso (in pieno fascismo, quindi, che il buon Vitali non manca di scimmiottare).
Poi, a voler spaccare il capello in quattro, ci sarebbero i riferimenti letterari per il genio di Porto Empedocle e la frequente terminologia medica adoperata nelle pagine del Vitali; come anche la simpaticissima fissa di quest’ultimo per nomi del tutto desueti.
Per concludere, leggendo il Vitali, molto spesso mi trovo catapultato in quelle atmosfere fatte di piccole delazioni, di frasi smozzicate, di pettegolezzi alla buona, tipiche di un substrato meridionale.
Ma non è che, sotto sotto, il bellanese Andrea Vitali abbia qualche ascendenza terrona? E in effetti, se si pensa che il brigadiere Maccadò è calabrese mentre il Mannu e il Misfatti sono rispettivamente sardo e siciliano…
Com’è che stiano le cose tra Bellano e Vigata e i due Andrea (altra coincidenza!), che meraviglia le insolite corrispondenze della letteratura di qualità!

 

Il librivendolo pazzo di Polla

 


Ci sono diversi modi per incoraggiare la lettura, specie nei bambini. Lo si può fare scrivendo storie con accuratezza e onestà intellettuale; ma anche pubblicando libri ben scritti a prescindere dalla fama dello scrittore di turno, troppo spesso acquisita per altri meriti. Ci sarebbero poi le politiche messe in campo dai diversi livelli istituzionali (?), così come il ruolo imprenscindibile dei maestri e degli insegnanti. Poi ci sono i librai che, indipendenti o “griffati”, non si limitano a impilare libri nelle scansie, ma li cullano gelosamente in attesa del giusto destinatario.

Alla fine della catena o all’inzio, fate un po’ come vi pare, c’è…un pazzo. Sì, proprio così, un mentecatto che, inchiavardato nella sua “Ex libris cafè” di Polla, a distanza quindi siderale dagli snodi letterari che contano, non perde giorno che non se ne inventi una per raggiungere lo scopo: portare libri in ogni casa, alleggerire gli occhi (soprattutto dei bambini) dallo sproposito del display per affidarli agli svolazzi della carta stampata.

Pazzo sì, dieci, cento, mille volte pazzo, senz’ombra di dubbio.

Come altrimenti definire un librivendolo che, tra l’altro, ha ideato “Il libro sospeso” (2002) di Polla, Caggiano e Pertosa, il “Salva alberi” (2004), i “Viaggi con l’autore” (dal 2015 al 2017) sulle autolinee Curcio (più di trenta scrittori hanno presentato la loro opera on the road e sono stati ben 1760 i volumi donati ai passeggeri)?

Ancora qualche dubbio sulla follia che irradia dalle sinapsi del tizio in questione? E se vi dicessi che è stato l’inventore e il promotore della campagna “Non rifiutiamoci”? Di che si tratta? Semplice: per ogni bottiglia consegnata presso la sua libreria, in cambio un libro. A fronte di 8 quintali di alluminio e 8 di plastica, così, sono stati consegnati ben 5000 libri sospesi.

Nel 2019 l’iniziativa “Non Rifiutiamoci” è stata sostenuta da Enel  Green Power e, quest’anno, da Flavio Insinna con il suo libro “Il gatto del papa”, Rai Libri.

Ora, come ogni folle che si rispetti, da Astolfo che va sulla Luna a ricercare il Senno perduto all’hidalgo Don Chisciotte della Mancia che parte lancia in resta contro i mulini a vento, anche il Nostro non conosce limiti: la promozione della lettura senza se e senza ma sì, ma anche la tutela dell’ambiente.

Ah, per perorare oltremodo la tesi incontrovertibile della sua demenza irrecuperabile, ci sarebbero pure il “Miscellanea Mundi”, gioco letterario scritto dai bambini per i bambini, e il “Diario Non Rifiutiamoci” dove s’unisce l’utilità di un’agenda all’attenzione verso i pensieri dei bambini, puntualmente riportati in calce alle sue pagine.

Adesso che vi ho convinto circa lo squilibrio mentale del soggetto in epigrafe, posso rivelarvi anche il nome: signori e signore, ecco a voi Michele Gentile da Polla.

E poiché la pazzia è un affare contagioso specie per menti deboli, eccomi bello e infettato. Pur consapevole di non poter mai ammantarmi dello stigma esteriore della eccentricità di Michele (cascata ribelle di capelli ricci), mi propongo di aiutarlo a realizzare il suo ultimo deragliamento: la presentazione del “Diario Non Rifiutiamoci” – Rupe mutevole edizioni, anche nella città capoluogo.

Seduti a sorseggiare un caffè nell a sua “Ex Libris Cafè”, non perdiamo tempo: lui impugna il piffero “fabuloso” e io scimmiotto alla meno peggio la danza-richiamo:

Amanti della lettura di Salerno, e solo per questo incontrovertibilmente fuori di melone, unitevi a noi nella prossima, imminente presentazione del “Diario Non Rifiutiamoci” perché…"Insieme abbiamo attraversato la paura dell'impossibile, con una bottiglia, una lattina e un libro, e il mondo ci ha applauditi, elogiati, celebrati e premiati. Questo diario, con le voci di chi ha voluto condividerne il sogno, è la promessa di continuare a starvi vicino, a lottare insieme per un futuro migliore, c'è ancora tanto cammino da fare e tanti bambini da abbracciare... e regalargli un libro!" (Michele Gentile).

“Il pazzo è un sognatore sveglio”, Immanuel Kant.