mercoledì 23 ottobre 2024

"La regola dell'equilibrio", di Gianrico Carofiglio

Guido Guerrieri è un avvocato penalista. Uno bravo, per intenderci, a tal punto che avrebbe potuto fare anche altro nella vita.

Separato e attratto dalle lusinghe del vegetarianismo, trascorre le giornate tra le udienze in tribunale e degli edificanti "dialoghi" con il suo sacco da boxe.

Nel giro di pochi giorni passa da una possibile, destabilizzante diagnosi di leucemia, alla difesa del giudice Larocca (magistrato a soli ventiquattro anni con le stimmate del predestinato) dall'infamante accusa di corruzione.

Le regole del gioco appaiono chiare, e in questa trasparenza di azioni e reazioni, il Nostro sa di potersi muovere a suo agio. Tanto più che il suo cliente è un giudice di prim'ordine, al di sopra di ogni sospetto, che qualche malaccorto pentito vorrebbe evidentemente colpire nella reputazione e nella carriera.

Nello studio legale arricchito dal fascino sudamericano di Consuelo e dalla figura discreta del versatile Pasquale, l'avvocato Guerrieri prepara la sua difesa.

Il teorema accusatorio si dimostra da subito ben congegnato, a tal punto che si rende indispensabile l'aiuto di Annapaola.

Chi potrebbe infatti raccogliere informazioni preziose in contesti inaccessibili se non l'ex conturbante giornalista prestata alle investigazioni private?

Eppure qualcosa comincia a incrinarsi. E se, a dispetto di quello che pensa finanche Guerrieri, il giudice Larocca non fosse così onesto come tutta la sua vita, umana e professionale, sembrerebbe testimoniare?

Per Guido sarebbe un cortocircuito intollerabile: l'imputato deve essere difeso dall'avvocato al cospetto di un giudice terzo e imparziale. Si può vincere o perdere, poco conta, se non per l'ammontare della parcella.

Quando però la corruzione investe chi è chiamato a fare e a dare giustizia, il banco salta, l'equilibrio è irrimediabilmente compromesso.

Tra accattivanti dubbi esistenziali, una attenzione maniacale dello scrittore alla pregnanza delle parole (d'altronde Carofiglio resta pur sempre l'autore del mirabile La manomissione della parole), le insidie vischiose di una "fluida" Annapaola, Guido Guerrieri prova a ripristinare le regole del gioco.

Alla fine di tutto, dopo l'ennesima puntatina insonne alla Osteria del caffellatte di Ottavio (la meravigliosa libreria di Bari che apre verso le dieci di sera e chiude poco prima dell'alba), una motocicletta impaziente è pronta a condurre l'avvocato Guerrieri fuori dalle pastoie di un mondo malato.

10 e non più di 10 #2

«Franco, ti ricordi? Gli sganascioni alla zoccola di turno e poi, di ritorno nel cuore della notte, quei cazzottoni ben assestati nelle orbite rampognose delle nostre mogli.

E dove sei stato? E ti sembra questa l'ora di ritirarti?

Un calcio tra gli incisivi, e fatti i cazzi tuoi!

Sei donna? Patisci, e non ci rompere i coglioni!

Che c'è? Che vuoi? Come dici, mia figlia?

Se quel figlio di puttana l'ha solo sfiorata, quanto è vera la Madonna, lo squarto».

"Le miniere dell'imperatore", di Lindsey Davis

In una Roma puntellata da funzionari corrotti, sgherri a ogni crocicchio di strade, imperatori che, quando non direttamente come nel caso di Vespasiano, passano comunque il loro tempo regale a ordire congiure e ad allestire vendette, se ne va a spasso Marco Didio Falco.

Un uomo, quest'ultimo, insensibile alle lusinghe del potere e del denaro, che vive costipato in una casupola all'ultimo piano di un quartiere popolare dove a stento un cane di media taglia potrebbe rigirarsi senza andare a sbattere sulle pareti che lo delimitano. Ovviamente con qualche affitto in arretrato, Marco Didio Falco è un buon diavolo che non disdegna di fare bisboccia con i pochi amici fidati, di unirsi con la donna del momento e di soccombere al cospetto della effervescente mamma che ogni tanto gli viene a mettere in ordine l'appartamento e a rimpognarlo.

Marco Didio Falco, di chiara fede repubblicana in una Roma imperiale fin nelle midolla, se ne va a zonzo lungo i portici del Foro monopolizzati dalle furbizie dei mercanti, quando s'imbatte in una giovane donna inseguita da alcuni energumeni.

Manco a dirlo, Didio Falco sgomina i lestofanti con qualche aiutino ed è già lì ad assumere un nuovo incarico: la difesa della giovanissima eppur conturbante Sosia Camillina.

Scopre così ben presto che Sosia è invischiata suo malgrado in una vicenda che lambisce le soglie dell'impero.

È una brutta storia di lingotti d'argento camuffati e trafugati dalla miniere britanniche che fa da contraltare a un complotto volto addirittura a spodestare Vespasiano.

Quando la dolce Sosia viene assassinata, Marco Didio Falco capisce che non troverà requie fino a quando, in un modo o nell'altro, non l'avrà vendicata. E proprio per far questo, ritorna in Britannia (l'ultima volta ci era stato era ai tempi del militare, e certamente non ne serbava un buon ricordo), stavolta addirittura facendosi passare per uno schiavo fuggito da qualche padrone influente.

È Elena Giustina, la sofisticata cugina di Sosia e figlia di un senatore al cui servizio Didio Falco si mette per raggiungere il suo obiettivo, a volere che l'investigatore faccia le sue indagini dall'interno delle miniere: è l'unica maniera, secondo Elena, perchè Marco Didio sconti la colpa per non aver vigilato sulla incolumità di Sosia Camillina.

Elena ben presto si deve ricredere sul conto dell'uomo. A tal punto che lo aiuterà in maniera significativa nelle indagini e sarà disposta anche a sciogliere i ghiacci del suo cuore per lui.

Dopo sacrifici immani nelle miniere e un abbrutimento di corpo e spirito, Didio Falco ritorna a Roma, ormai pronto a dare scacco matto ai cospiratori e a difendere, nonostante tutto, l'impero di Vespasiano.

Difesa, quest'ultima, a costo di qualche reticenza istituzionale: d'altronde, uno dei figli dell'imperatore non può essere certamente menzionato in un complotto imperiale, si sa.

Ironia, spirito romantico e guascone, quel distacco dalle lusinghe del potere e dagli allettamenti del denario, ci rendono l'ispettore ideato dalla penna felice della Davis simpatico fin da questa sua prima indagine.

Marco Didio Falco, buona la prima.

10 (righi) e non più di 10 #1

«Ah, Dio benedica la ragazza alla cassa: un sorriso e una gentilezza che ti rimettono in pari col mondo!»

«A quell'età è scontato: non ci sono lutti da elaborare»

Io, titolare della Tanatos S.r.l., consumo il mio caffè al tavolino.

Assumo la faccia contrita d'ordinanza.

Mi incammino verso la cassa con la mia fattura: un incidente, tre servizi funebri.

La mamma, il papà e il fratello della ragazza alla cassa.

Attende la mia visita.

"Storia della bambina perduta (L'Amica geniale)", di Elena Ferrante

La vita, con le sue contraddizioni e i marosi delle alterne vicende, scaraventa il rione nel mondo e incista il mondo nel rione.

La doppia elica (Elena-Lila) che innerva l'universo dei nostri personaggi, si evolve, cambia, si deteriora per poi riprendersi lo spazio connaturato alla loro presenza o, perchè no, alla loro assenza. E sì perchè a volte la scomparsa, la "smarginatura" è più feconda di una sguaita rivendicazione di sè.

Ecco, Storia della bambina perduta è ancora più degli altri tre libri della Ferrante, l'opera dell'assenza.

Pasquale, l'ideal-brigatista che coerente fino alla fine con gli insegnamenti egualitari del padre, incamera anche i delitti che gli vengono attribuiti da chi ha una educazione troppo borghese per giocare a lungo a fare il rivoluzionario (Nadia). E la cui aura vindice alimenta del suo fantasma le pareti sbrecciate del rione.

La detentrice terribile del "libretto rosso", Manuela Solara, che viene freddata con modalità che assumono presto contorni leggendari. I suoi figli, Michele e Marcello, che dopo aver fatto il bello e il cattivo tempo e aver finito per annichilire qualsiasi anelito di riscatto, abbandonando il campo per mano violenta.

I due Rino, il fratello di Lila e il figlio, che si svenano nelle lusinghe della droga. E se il primo non riesce a liberarsense finendone stroncato in uno squallido vagone, l'altro, il figlio, ne esce a fatica, portandosi addosso per tutta la vita le stigmate di una vacuità ingombrante.

Pure le intelligenze vive, però, non sono al sicuro dalla fiumana delle sparizioni. Il brillante Nino Sarratore, il bellissimo Nino Sarratore, l'immaturo cronico Nino Sarratore, l'Onorevole Nino Sarratore, il corrotto Nino Sarratore, il "destrorso" Nino Sarratore, il disfatto (nel fisico e nell'eloquenza ampollosa) Nino Sarratore dell'ultima apparizione.

Anche la trasformazione può covare i germi della dissoluzione.

Poi c'è Elena, un compasso con un asta persa per il mondo, impegnata a fare e a disfare la sua rivoluzione, a imprigionare le esistenze del rione tra i caratteri di stampa, ma pur sempre legata all'asta che se ne sta ferma lì, piantata nel grumo di un microcosmo suo malgrado precursore di tutti i miasmi del Paese: Lila Cerullo, l'amica geniale.

Che tiene sotto scacco i Solara, che dà in pasto alla passione di Michele un Alfonso che diventa, anche fisicamente, la sua controfigura. E poi la creatrice di ricchezza pur non avendo alcuna arte, l'intelligenza acutissima che riesce addirittura a prescindere dall'erudizione, la donna che può permettersi di anticipare tutto e tutti perchè tutto prevede e ogni cosa assimila più e meglio degli altri.

Lila, la mamma infine che può rispondere a una sola maniera alla scomparsa della figlia Tina: scomparendo lei stessa, probabilmente in quel firmamento ammirato decenni prima a Ischia che fin da subito l'aveva atterrita. Troppa ricchezza di possibilità da poter essere appena intercettate da tutte le vite del mondo!

Sulla cassetta della posta di un Elena ormai anziana, che trova stonate perfino le pagine dei libri tanto amati, un fagotto di carta anonimo e sgualcito. All'interno Tina e Nu, rispettivamente la bambola di Lila e quella di Elena, ufficialmente perse (anche loro) nelle segrete oscure di don Achille.

"Storia della filosofia greca, I presocratici", di Luciano De Crescenzo

È una storia della filosofia, questa di De Crescenzo, che è ormai diventata una pietra miliare per ogni appassionato di filosofia che si rispetti, soprattutto alle nostre latitudini.

Lungi dal considerarsi filosofo in senso tecnico, il Nostro tiene fede al proponimento che a più riprese ha ribadito: il voler essere come quelle enormi scale semoventi presenti in biblioteca che permettono al Lettore di poter accedere fisicamente anche ai volumi che si trovano lassù in alto. Fuor di metafora, quindi, un tramite tra i comuni mortali e l'empireo dei saggi.

E per tener fede a questo proponimento dedica la sua opera addirittura a Salvatore, il celeberrimo vice-sostituto-portiere di via Petrarca, 58, dove risiede il prof. Gennaro Bellavista.

Senonchè non c'è approfondimento senza innovazione che tenga: al sagace De Crescenzo, infatti, non potevano bastare i filosofi presocratici "canonici", nossignore. E allora ecco aggiungersi agli esponenti della Scuola di Mileto (il Talete che per osservare le stelle cade in un pozzo, meritandosi gli sfottò dalla servetta tracia, l'Anassimandro con il suo "mammasantissima" apeiron che "tiene sotto lo schiaffo" gli altri quattro elementi, l'Anassimene che per raccordare Talete con Anassimandro, sceglie l'Aria come sostanza primordiale) l'eccentrico Peppino Russo che, come tutti i filosofi "ilozoisti", è convinto assertore della presenza dell'anima in ogni cosa, financo nelle bambole che impicca ai rami degli alberti vicino a casa sua.

Luciano De Crescenzo passa poi al Pitagora "superstar", con la sua idiosincrasia per le fave e la pervasiva "aritmo-geometria" finita a carte quarantotto dopo la scoperta dei numeri irrazionali.

Si sofferma così sulla figura dell' "oscuro" Eraclito, con la sua impossibilità di bagnarsi per due volte nelle acque dello stesso fiume e il suo antigrillino "uno val per me diecimila, se è il migliore".

È arrivato il momento di Tonino Capone, il secondo filosofo spurio, che alla serranda della sua officina troppo presto abbassata ha affisso questo singolare cartello: "Avendo guadagnato quanto basta, Tonino è andato al mare".

Il campo d'indagine viene presto a riguardare la Scuola di Elea: c'è Senofane con la sua critica acutissima all'antropomorfismo degli dei; ci si sofferma su Parmenide, "maestro venerando e terribile" e il suo granitico Essere, per poi approdare al cervellotico Zenone con i suoi paradossi contro il movimento e il mutamento, e a Melisso, l'unico ammiraglio filosofo.

È la volta di Empedocle ("mezzo Newton e mezzo Cagliostro") con la sua guerra perenne e instabile tra Amore e Discordia.

Qui si inserisce Gennaro Bellavista con il suo originalissimo piano cartesiano in cui si susseguono il Quadrante del Ribelle, il Quadrante del Saggio, il Quadrante del Tiranno e il Quadrato del Papa.

Anassagora "la Mente" con le sue omeomerie dà la stura a Leucippo col suo atomismo poi perfezionato dall'illuminante Democrito che, una volta divenuto vecchio, si regala la ceceità esponendo i propri occhi addirittura ai raggi del sole riflessi dallo scudo argentato.

Subito dopo un breve excursus sui principali sofisti (degno di menzione è Gorgia da Leontini con l'adamantino l'Elogio di Elena in cui dimostra l'asoluta innocenza di Elena), l'opera si chiude con il campione del relativismo, Protagora di Abdera.

Ma la Storia della filosofia di De Crescenzo non può finire senza il riferimento all'ennesimo filosofo à la carte, nella fattispecie l'avvocato Tanucci, che consente allo scrittore di farsi una affacciatina sul mondo forense con le sue cinque categorie di addetti ai lavori: gli avvocati di grido, gli avvocati normali, i paglietta, gli strascinafacenne e i giovani di studio.

Per evitare che il Lettore più sprovveduto possa scambiare Peppino Russo, Tonino Capone, Gennaro Bellavista e l'avv. Tanucci per filosofi autentici e portarli come materia d'esame, ecco trovato l'espediente tipografico: utilizzare un diverso carattere e racchiudere le loro gesta pratico-filosofiche con una bella cornice.

Anche questo è stato l'impareggiabile Luciano De Crescenzo.

"Storia di chi fugge e di chi resta (L'amica geniale)", di Elena Ferrante

In questa terza parte della fortunata trilogia, la Ferrante si sofferma soprattutto su Elena, sulla sua affermazione sociale (sposa addirittura di un Airota) e professionale (il libro che vende bene nonostante qualche mugugno della intellighenzia).

Ma sono tempi di contestazione giovanile, di fermento politico, di sommovimenti sociali e ambientali. E poi c'è l'influsso barricadero dell'onnipresente Lila che, dopo la sindacalizzazione (più o meno consapevole) dell'azienda di Soccavo, continua nella sua spirale incessante di energizzazione del presente, "come se la necessità di faticare non coincidesse con la necessità di umiliarsi".

Sullo sfondo, gli enigmatici calcolatori che l'hanno fatta approdare nientedimeno che "alle dipendenze" dell'odiatissimo Michele Solara (solo la paga alta può giustificare questa apparente incoerenza?), il disinnamoramento nei confronti del suo Gennaro che si ostina a somigliare sempre di più a Stefano malgrado dovrebbe essere stato concepito con Nino, la rivincita verso l'ex marito che finisce addirittura a ricettare merce rubata per sbarcare il lunario.

La morte, però, furoreggia repentina tra i vicoli del quartiere e nelle diramazioni abitate dai personaggi del libro: il rampollo Soccavo vittima di una spedizione punitiva, il fascistissimo Gino che stavolta è stato lasciato solo dalle sue squadracce, addirittura la mammasantissima Manuela Solara il cui libro rosso, dove sono annotati i nomi dei "comprati" dal potentissimo clan, "è più importante del libro di Mao".

Ed è un'ennesima morte, anche questa volta violenta, che consente a Lila e a Lenuccia, proiettate improvvisamente nel presente della narrazione (2005), di riannodare le fila delle loro vicende: Gigliola infatti, simulacro slabbrato della bella donna che fu, è stata trovata uccisa innanzitutto dall'amore tossico di Michele Solara.

Da qui parte il racconto, ed è una storia di chi resta (Lila) e di chi fugge (Elena): Lila, all'interno del rione, ed Elena lontana, a Firenze.

Eppure chi resta continua a consumarsi nell'eterno fuoco eracliteo del cambiamento mentre chi fugge si porta inevitabilmente appresso l'immobilità tetragona ai colpi di ventura.

Tutto vero, almeno fino a quando non riappare Nino Sarratore.

Che viene invitato dal professore Airota, suo collega, a casa sua, nella casa che condivide con la moglie Elena e le due bambine.

Gli argini incominciano a vacillare, le paratie bestemmiano cedimenti.

L'ispirazione di un nuovo libro, la passione che non s'è mai sopita.

Colpo di scena, stavolta è Lila che deve assistere alla rivoluzione dell'amica del cuore nonostante l'abbia subito bollata col marchio infamante della perdizione.

Ferma un giro e attendi gli eventi, Lila Cerullo.

Sulle miserie del mondo, lì nell'azzurro delle rotte oniriche, un aereo viaggia, direzione Montpellier, sorretto da due mani strette e incuranti del mondo.

Rinascita o annientamento di ogni pretesa di felicità?