Nella
pupilla ancora irritata dal bagnoschiuma di primo mattino, per un attimo balena il riverbero delle macchie di vitiligine ancora più bianche del solito.
Dischiudo seccato il palmo della mano e contemplo le sue chiazze acromiche.
Come
Marcovaldo di Calvino si accorge dell'arrivo della primavera dalla rinite
allergica, allo stesso modo io percepisco il ritorno dell'estate dal
contrasto più marcato tra le macchie di vitiligine e la parte di
pelle che, malgrado tutto, si ostina a funzionare.
Che poi,
di cosa mai di così grave si tratta da meritare di essere definita con un nome così astruso (vitiligine, per l'appunto)? Semplicemente di un difetto
della pigmentazione. Ecco, il termine giusto è "malattia autoimmune".
E per un attimo vedo, sconsolato, furoreggiare in qualche parte dell'iride le truppe di anticorpi voltafaccia
che, lancia in resta, si catapultano lungo i pendii della collina all'assalto degli increduli melanociti; a tal punto sorpresi, da starsene lì
inermi come dei babbalucchi, prestando il fianco alle truppe degli ormai ex sodali che
bellamente li infilzano.
E
il colore della pelle, ignominiosamente, porge lo scalpo.
"Mannaggia!"
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