Il sipario si alza promettente.
La loggia, il loggione, le gallerie, così come i salotti, le piazze, i bar, straripano di spettatori ansimanti per l'emozione; ma pure, non risulta difficile crederlo, per i quaranta gradi all'ombra impreziositi da una umidità da Duello al sole.
Mezzogiorno ( o giù di lì ) di fuoco!
Qui, a Natal ( ironia della sorte! ), l'unica neve che cade, è quella filigranata degli sponsor che impongono di giocare alle tredici perché il fuso, l'incasellamento con le altre gare, gli italiani che si lamentano ( lo dice pure Pif nello, lupus in fabula, spot della Telecom ) delle nottate in bianco.
Sulla scena, ventidue Argonauti alla ricerca spasmodica della Coppa d'Oro. Undici da un lato, undici dall'altro, in perenna e sanguinosa competizione tra di loro.
L'impresa, come da copione, è una di quelle capaci di far tremare le vene ai polsi o gli incisivi nel colletto dentale.
A dirigere il tutto, Lui: il possente Drago immortale, dalle mille spire inchiavardate in un pantaloncino da direttore di gara. Il suo compito è quello di far la guardia alla Coppa d'Oro, deciso a consegnarla in dote solo alla compagine che saprà irretirlo meglio con i suoi incantesimi.
Poco male: noi, nelle nostre fila, abbiamo la Medea Barbuta e, se non bastasse, la Medea Nera, pronte, entrambe, ad ammaliare i nemici e la bestiaccia e a far perdere loro la bisboccia ( chiedo venia, troppo accattivante era la assonanza! ).
Nel canovaccio della storia, però, si inseriscono le variabili indipendenti che nessuna magarìa può mai prevedere.
E così, nell'ordine, ci imbattiamo nella Medea Nera che, fedele alla sua natura che pure aveva promesso di cambiare (almeno per l'occasione), scambia le formule magiche e, anziché far appisolare il Drago, percuote il cartellone pubblicitario che soffriva per un bernoccolo proprio al centro, riportandolo all'antica piattezza.
Poi vi è l'eroe delle fila avverse, anch'esso mago sopraffino, che non riesce a non mordere il freno della sua esuberanza fattucchiera parcheggiata, inavvertitamente, sulle spalle di un nemico che gira in tondo a mostrare orgoglioso il dono dell'avversario.
E ancora il Drago che, a seguito di una congiuntivite monoculare, piglia fischi per fiaschi e guarda ( male, oh quanto male! ) quasi esclusivamente nella nostra parte di campo.
Infine, e come se non bastasse, un avversario che arriva, lancia in testa, per primo a ghermire la Coppa.
Nel nostro campo di battaglia, pianto e stridor di denti.
Colpa del monocolo del Drago, del freno non morso (eppure morso!), del mago esuberante, dell'ingarbugliamento incantesimale della Medea Nera, del partente lancia in testa, e di mille altri annessi e connessi.
Peccato che i nostri, per quella sfida, miravano alla lucentezza dell'oro che in quanto luce, si sa, non fa scorgerne la fonte.
Gli altri, invece, avvezzi alla concretezza, non si lasciano abbagliare la vista e tirano dritto verso la Coppa che, almeno per questa sfida, fanno inevitabilmente propria.
Oh, les italiens!
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