A ventidue anni Dostoevskij è promosso ufficiale ma, affascinato dall'universo altro che i suoi autori preferiti (tra gli altri Pukin, Byron, Scott, Hugo, Schiller, Shakespeare) gli lasciano intravedere, rinuncia alla carriera militare per darsi anima e corpo alla letteratura.
E mentre si arricchisce l’animo con frange d’infinito, s’impoverisce la scarsella che ben presto gli mostra, disarmata, il fondo della cucitura.
Che fare, allora? Il giovane Dostoevskij riesce a sfamarsi con qualche traduzione che di tanto in tanto gli affidano.
Ben poca cosa, a dirla tutta.
Proprio in questo contesto di estrema povertà allora, nasce Povera gente, uno “studio magistrale sugli uomini” (Zweig).
“La sua più grande umiliazione, la povertà, lo ha (il capolavoro, ndr) generato; l’amore delle sofferenze, l’infinita pietà del male altrui, lo ha benedetto.”
Dopo non poche titubanze, Dostoevskij affida il manoscritto al poeta Nekrasov affinché lo esamini.
Alle quattro del mattino di due giorni dopo l’esaminatore è davanti alla porta dello scrittore perché avverte l’esigenza insopprimibile di abbracciarlo. “Un nuovo Gogol è nato!“, gli annuncia mentre non smette di stringerlo tra le sue braccia. E non a caso Nekrasov parla di Gogol perché il romanzo di Dostoevskij richiama, anche nel contenuto oltre che nello stile, Il cappotto di Gogol, il cui protagonista è proprio un copista alla stregua di Makar Alekseevič Devushkin personaggio principale, assieme a Varvara Dobroselova, di Povera gente.
L’opera di Dostoevskij è un romanzo epistolore: Makar e Varvara infatti, pur vivendo uno di fronte all'altra nella stessa strada, prendono l’abitudine di scambiarsi frequenti lettere.
Makar, così, contrae debiti, qualche volte si dà all'alcool. E proprio mentre sembra imboccare la via della perdizione, interviene Varvara. E’ lei che, dopo aver fatto scoprire a Makar che si può anche scrivere oltre che copiare documenti altrui, lo salva dal dissesto donandogli, tra l’altro, quei pochi spiccioli che il suo lavoro le consente di guadagnare. Seguendo i tratti di penna di questo carteggio, il lettore apprende della vita, dignitosa pur nella sua mediocrità di interessi e lusinghe di Makar, umile funzionario con la mansione di copista. Non appena, però, Makar inizia lo scambio epistolare con Varvara, sua lontana parente, nel quale si raccontano le piccole cause che fanno battere i piccoli cuori (Verga), intravede qualche tinta pastello nel grigiume, fino a quel momento privo di riscatto, della sua esistenza. Prende a vivere per lei e a riempirla di regali; per carità, piccole cose, ma che a un funzionario con uno stipendio modesto come il suo, non tardano a nuocere al punto da trascinarlo al di sotto di quell'esistenza (economicamente) appena dignitosa.
Varvara, che ha conosciuto la felicità solo durante l’infanzia, continuamente alle prese con una salute cagionevole, rimette in sesto la vita di Makar.
Come un fulmine a ciel sereno, la svolta: Varvara capisce che non si può continuare in quello stato di povertà che finisce, a volte, per annientare anche l’anima. Forte di questa consapevolezza quindi, dopo l’incontro con il ricco e arido Bykov che subito si affretta a precisare che vuole prenderla in moglie solo perché ha giurato di togliere l’eredità ad un parente buono a nulla, Varvara decide ciononostante di accettare la sua proposta di matrimonio. E quando parla a Bykov dell’affetto che prova per Makar, lo stesso, come lei confessa nell'ennesima lettera inviata al dirimpettaio,
HA REPLICATO (…) CHE TUTTO QUESTO È ROMANZO E CHE IO SONO ANCORA GIOVANE E LEGGO I VERSI, CHE I ROMANZI ROVINANO LE RAGAZZE, CHE I LIBRI NON FANNO CHE GUASTARE LA MORALE E CHE NON PUÒ SOPPORTARE NESSUN LIBRO.
Il buon Makar, dal canto suo, cerca di dissuaderla
MA CHE È BYKOV PER VOI, DILETTA? COME MAI È DIVENTATO AD UN TRATTO PER VOI UN CARO AMICO? FORSE PERCHÉ VI COMPERA SEMPRE IL FALPALÀ? PER QUESTO, FORSE? (…) MA È UNA COSA DA NULLA, DILETTA; QUI SI TRATTA DELLA VITA UMANA, E IL FALPALÀ È UNO STRACCETTO. DEL RESTO ANCH’IO, ECCO, APPENA AVRÒ LO STIPENDIO VI COMPRERÒ IL FALPALÀ.
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