All’origine fu il Kaos. Poi, dal garofano chiacchierato del sindaco Vincenzo Giordano, per mera riproduzione verginale (lett. “partenogenesi”, come solo si conviene alle divinità dell’empireo), ecco spuntare la falce e il martello dell’altro Vincenzo, questa volta, Vincenzo De Luca
Prima dell’età del disvelamento di De Luca, a partire dal 1944 (ultimo anno in cui la città di Salerno, con la sua nomina a Capitale d’Italia, ha significato qualcosa per la Storia) e fino, per l’appunto, al 1993, niente da segnalare. Poi l’Annunciazione del Verbo, che si è incarnato nel seno della civitas hippocratica e s’è fatto uomo. Ed è proprio con riferimento all’anno del Signore 1993 che i posteri parleranno di Salerno come della città in cui
Si legano le vigne con le salsicce, e avevasi un’oca a denaio e un papero giunta, ed eravi una montagna tutta di formaggio parmigiano grattugiato, sopra la quale stavan genti che niuna altra cosa facevan che far maccheroni e raviuoli, e cuocergli in brodo di capponi (…) e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciol d’acqua…
Ed eccolo, il compagno Vicienz’ degli esordi, con alle spalle la falce e martello della cospirativa sezione, ringhiare contro le magagne del governo cittadino; poi, si sa, la responsabilità imborghesisce, la vis polemica si prende la patente di diplomazia. Da Masaniello (per carità, però, non lo apostrofate mai in maniera da ricordargli l’odiata Napoli… almeno odiata fino a ieri) arravotapopolo, alla carica di vicesindaco.
Che insinuate? Ciucci: la rivoluzione del Sol dell’Avvenire si può portare avanti, oltre che dall’esterno (e parliamo di ribellione) anche dall’interno del Sistema (sovversione).
Da vice a Sindaco, il passo è breve. E con l’acquisizione della carica, di nuovo Salerno si è riagganciata alla Storia: dal 1944, uno zompo, e stiamo al 1993. E già perché, per la ridente Salernum (da salum e Irnum, “il luogo situato tra il mare e l’Irno”) oltre, ovviamente, alla summa divisio “a.C.” (avanti Cristo)” e “d.C.” (dopo Cristo) indefettibile per ogni cronologia, ve n’è un’altra. Per l’esattezza, da circa una ventina di anni, “a.D.L.” (avanti De Luca) e “d.D.L” (dopo De Luca); acronimo, quest’ultimo, da non confondere con il d.d.l. del disegno di legge ma, in questo caso, aiutano le minuscole a distinguere.
Prima di Lui, della nostra Salerno, si negava addirittura l’autonomia territoriale. Riprova ne è il racconto di mio zio, militare ad Albenga (SV) nel lontano 1995, che alla sua fiera dichiarazione di appartenenza (“Sono di Salerno”), si sentiva rispondere: “Ah, sì, vicino a Napoli!”.
Ebbene, dopo il 1993 questi fraintendimenti, siffatte sviste territoriali, non sono più ammissibili: Salerno, dal ’93 “d.D.L”, rifulge a carattere di fuoco nella geografia nazionale e guarda con schifo malcelato (“ancora oltre sopportar non posso / la vostra vicinanza puzzolente”) il pennacchio accentratore della “napolitudine“.
Come? Certo, ehmm…sì, sicuro: ora Napoli è cultura, Napoli è l’ispirazione del mondo… ora, alla vigilia delle regionali!
Forse sarebbe il caso di fare, su questo come su altri argomenti che interessano il Nostro, un poco di chiarezza. Poiché, infatti, la comprensione si annida necessariamente nel passato di avvenimenti e persone, e poiché ogni storia acquista senso solo se intrecciata con la nostra esperienza personale, è opportuno declinare il pubblico nel privato.
All’indomani dell’elezione di Vincenzo De Luca a sindaco con la lista “Progressisti per Salerno“, il mio compagno di classe, “comunista” griffato e dalle buone maniere, mi ferma nel corridoio del Tasso e mi urla contro: “Per colpa di voi komunisti (e già perché, nei primi anni dal suo insediamento, votare De Luca voleva dire professare un comunismo duro e puro (!)) che avete appoggiato quel cafone di Potenza (sempre De Luca, ndr) mio padre, per andare al lavoro, deve parcheggiare l’auto un chilometro distante dal centro: tutte strisce blu!”.
Ora è chiaro che il compagno di cui sopra aveva votato, da quell’arbiter elegantiae qual è, il professor Giuseppe Acocella; così come è altrettanto chiaro, almeno per l’io di allora, che votare De Luca significava esprimere un voto di speranza in una rivoluzione anche urbana, fatta di aree pedonali, parchi cittadini, opere pubbliche, pulizia e decoro nelle strade. E devo dire, e chi afferma il contrario può essere solo in malafede, che effettivamente il ventennio deluchiano ci ha consegnato anche la rinascita urbanistica, ambientale (si pensi alle elevate percentuali di raccolta differenziata raggiunte in città) e di prestigio di Salerno. Soprattutto, ora come ora, un episodio come quello occorso a mio zio nel 1995, non sarebbe più possibile: solo un muflone selvaggio, difatti, potrebbe continuare a qualificare Salerno come “La città vicino a Napoli” (se non addirittura, come pure è successo, “La città vicino a Battipaglia”(!!), per via della mozzarella di bufala).
La riprova, qualora ce ne fosse bisogno, l’ho avuta proprio in questi giorni di Luci d’Artista, allorché mi è capitato di ascoltare una turista che telefonava a qualcuno parlandogli di “Salernò”; pur prestandovi la dovuta attenzione, infatti, non ho scorto disappunto sul sembiante della francese che potesse denotare il fastidio di ripetere il nome della città a un interlocutore che non lo conoscesse o che lo conoscesse solo “in relazionale a”.
Insomma Vincenzo De Luca, comunque la si pensi, ha fatto assurgere Salerno alla ribalta nazionale e, soprattutto per le opere architettoniche, anche a quella almeno europea, se non addirittura internazionale. Ma ogni acqua, anche la più limpida, se lasciata troppo tempo nello stesso catino, s’intorbidisce. Vieppiù nel caso di De Luca.
Già, infatti, nei primi anni novanta, il Nostro aveva dato prova di non sopportare ingerenze nel suo operato. Basti pensare al defenestramento del vice-sindaco Pasquale Stanzione reo, secondo la vulgata comune, di aver avuto l’ardire di prendere decisioni in sua assenza.
Dopo questo precedente Vincenzo De Luca, come tutte le persone intelligenti, ha messo a frutto l’esperienza e ne ha tratto insegnamento: ogniqualvolta un compagno di partito, o comunque un politico a lui vicino, ha anche soltanto osato (per i voti presi, per le iniziative portate avanti) manifestare un barlume di soggettività politica in grado di fargli ombra, il Sindaco l’ha prontamente “vaporizzato” (“1984” di Orwell) o affidato a incarichi di secondaria importanza. Come? Facendo proprio una modus operandi vecchio come il cucco: rintanare a forza ogni sodale non appena il manigoldo in questione si azzardi a innalzarsi alla luce, anche solo con un capello, dalla tana dell’anonimato predisposta dal Nostro.
La verità è cha da un ventennio il Sindaco, a Salerno, fa il bello e il cattivo tempo.
Ama ergersi a deus ex machina dell’intero scenario salernitano, anche al di là del palcoscenico più propriamente politico.
Non c’è campo, infatti, in cui la sua parola non detti legge. Si pensi, ad esempio, alle aziende municipalizzate della città.
Circola, a tal proposito, la voce (sicuramente infondata, beninteso) che De Luca, per salvaguardare la pax sociale di Salerno, abbia rimpinzato le numerose municipalizzate (secondo alcuni, inestimabili serbatoi di voti) di persone non propriamente raccomandabili.
“Ciru’, ma la domanda in Salerno…, l’hai fatta?”
“E che la faccio a fare? Lo sa pure l’orologio da Prefettura che, per entrarci, mi mancano quattro-cinque precedenti penali, ‘na decina di tatuaggi, e due-tre orecchini”.
Questa è la simpatica, pur nella sua tragicità se solo fosse vera (ma abbiamo già precisato che non lo è e la riportiamo qui unicamente per rendere più sfizioso il nostro scritto), risposta che mi ha fornito un amico alla domanda di cui sopra.
Poi ci sarebbero le fontane del Sindaco (talmente tante, che per buona parte degli anni novanta, De Luca è stato soprannominato Vicienz’ ‘a Funtana), alcune delle quali scomparse sotto il cemento delle rotatorie (ed eccoci a Vicienz’ ‘a rotonda), e altre che versano in uno stato di quasi abbandono; il Faro della Giustizia, realizzato dagli artisti Ben Jakober e Yannich Vu, con le ceramiche presto ingiallitesi (continuiamo con Vicienz’ ‘o cinese), e con una luce (del faro, per l’appunto) che nessun salernitano ha mai visto accesa; ancora le ripetute, cicliche inaugurazioni di pietre diverse della stessa opera; le trasmissioni su Lira Tv del venerdì (rete ben presto definita Tele Kabul come la RAI 3 del P.C.I. della lottizzazione), in cui il nostro Sindaco se l’è presa coi cafoni di ogni risma e grado, spesso con linguaggio a tal punto colorito (frullino sei il mio battito d’ali) da innescare dei veri e propri tormentoni sui social. Ma per saggiare la popolarità da icona pop di De Luca, non c’è manco bisogno di scomodare Facebook e/o Twitter: è sufficiente, infatti, farsi un giro per le vie di Salerno in occasione della processione di San Matteo, il Santo Patrono della città.
Infine ci sarebbero le inchieste giudiziarie, non ultima quella sul mastodontico Crescent di Bofill, che hanno gettato ombre (più o meno lunghe a seconda del grado di stima precedentemente nutrita per De Luca) sulla inattaccabilità della figura del Sindaco; oltreché, ovviamente, dar fuoco alle polveri di chi considera il Nostro alla stregua di Belzebù.
Per le intemperanze e le storture dell’operato di De Luca, comunque, rivolgetevi pure al simpaticissimo gruppo Figli delle Chiancarelle (dal nome di alcune tavole di legno, chiancarelle per l’appunto, che venivano lavorate dalle aziende della vecchia Salerno… quella del Kaos, per intenderci) che non perdono occasione di mettere a nudo il re e la sua corte.
Politicamente, ormai, Vincenzo De Luca si muove sganciato da ogni partito e da ogni padrino politico, come dimostra il repentino (troppo repentino!) passaggio dallo “smacchiatore” Bersani al “pattista” Renzi.
Ora il traguardo è la regione. E la carica di Governatore è talmente succulenta da indurlo, come accennavo all’inizio di questo intervento, anche a riabilitare quella napoletanità sulla cui contrapposizione ha fondato l'”orgoglio salernitano” tanto strombazzato.
Di Vincenzo De Luca ci sarebbe da scriverne per pagine e pagine.
Io, da semplice curioso della realtà circostante, mi sono limitato a portare alla vostra attenzione, un po’ “alla sanfasò” come direbbe il Maestro Camilleri, alcune tinte del ricchissimo e complesso caleidoscopio Vincenzo De Luca.
Chiudo con un apprezzamento sincero della capacità oratoria (al netto di qualche “miracolo” di troppo) di De Luca che, a un compagno della sezione che l’ascoltava estasiato fece esclamare, davanti alle mie orecchie incredule: “Mamma ma’, mi ha fatto arrivare che manco Annamaria!”.
Il potere si assefua alla propria voce. Quando l’assuefazione è completa, la scambia per la voce di Dio. (Alberto Asor Rosa)