Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi. (Italo Calvino)
mercoledì 27 aprile 2016
Bamyan-Perdifumo, storie di scuola tra penuria ed eccesso
mercoledì 6 aprile 2016
"L'anno della morte di Ricardo Reis", Josè Saramago
Josè Saramago si avvicina, come racconta egli stesso, alla figura di Fernando Pessoa proprio attraverso l'eteronimo del poeta portoghese, Ricardo Reis.
"L'origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che esiste in me. [...] L'origine mentale dei miei eteronimi sta nella mia tendenza organica e costante alla spersonalizzazione e alla simulazione. Questi fenomeni (…) non si manifestano nella mia vita pratica, esteriore e di contatto con gli altri; esplodono verso l'interno e io li vivo da solo con me stesso."
martedì 22 marzo 2016
Wake up, sì al referendum del 17 aprile
Per il referendum del 17 aprile, niente di meglio che far proprio l’invito del rapper salernitano Rocco Hunt (Wake up) e declinarlo in una valanga di sì
lunedì 7 marzo 2016
Il mirabil topolino di Gramsci
La recente
dichiarazione degli esperti delle Nazioni unite sul riscaldamento globale,
è stata fin troppo chiara: ci restano 12 anni prima del disastro. Prima, cioè,
che il superamento dei fatidici 1,5 gradi arrechino cambiamenti irreversibili a
tutto l’ecosistema. Eppure una strategia per evitare la débâcle ambientale, ci
sarebbe.
Siamo nel giugno
del 1931. Dal carcere di Turi in cui si
trova a scontare la pena inflittagli il 4 giugno del 1928 (20 anni, 4 mesi
e 5 giorni di reclusione), Antonio Gramsci scrive alla moglie Giulia. Il cervello che, secondo la
requisitoria del PM Isgrò, per
vent’anni si doveva assolutamente impedire di far funzionare, vuole
raccontare, per il tramite di Giulia, una favola ai suoi due figli, Delio e Giuliano. Si riserva uno spazio
nella lettera alla moglie nel quale provvede a scriverla.
C’era una volta un topolino. O meglio, prima del topolino, c’era un bambino che dormiva.
Sulla tavola al centro della storia, un bricco di latte pronto per il risveglio del pargoletto.
Il topolino di Gramsci, spinto dalla fame, se lo beve tutto.
Succede il classico quarantotto: senza latte, il bambino strilla, la mamma si dispera. Il topolino, che al netto dell’ingordigia causata dall’atavica inedia, è un signor topolino, capisce che non serve a nulla battere il capo contro il muro. Occorre reagire.
Nell’ordine, quindi, corre dalla capra per avere il latte ma “la capra gli darà il latte se avrà l’erba da mangiare”; si rivolge alla campagna per l’erba ma quest’ultima, arida come solo le campagne del desolato sud sanno esserlo, reclama acqua; va quindi dalla fontana ma “la fontana è stata rovinata dalla guerra e l’acqua si disperde.”
<Che debbo fare?> chiede allora, angosciato, alla fontana il topolino di Gramsci.
<Vai dal mastro muratore affinché mi ripari, no?>
<Io ti vorrei pure aiutare, – spiega sinceramente dispiaciuto il mastro muratore – ma per ricostruire la fontana di cui mi parli, mi servono le pietre. E le pietre, me le può fornire solo la montagna.>
L’indomito topolino, allora, si reca dalla montagna che è stata disboscata dagli speculatori e, ferita a morte, gli mostra dappertutto le sue ossa senza terra.
Il roditore, però, non può fermarsi proprio adesso che sta lì lì per riattivare la catena virtuosa e consentire, così, finalmente al bambino della storia di bere il suo latte. Cercando, allora, di far presa sulla montagna, le racconta tutta la storia di come all’inizio della fiera ci fosse un bricco di latte, e poi la fame sua, e il bambino….Insomma, grazie anche alla promessa fatta alla montagna che il piccolino, una volta cresciuto, avrebbe ripiantato pini, querce, castagni, etc., la convince a fornire le pietre.
Le pietre, così, vengono consegnate al muratore che riaggiusta la fontana; la fontana potrà fornire acqua alla campagna. Quest’ultima, dal canto suo, ritornerà a essere fertile, donando l’erba alla capra per produrre il latte.
Il bambino, finalmente, avrà il suo latte dopodiché, una volta cresciuto, non si dimenticherà della sua promessa, sia pure fatta per interposta persona, alla montagna. Pianta quindi gli alberi e tutto muta: spariscono le ossa della montagna sotto nuova vegetazione, le precipitazioni atmosferiche ridiventano regolari perché gli alberi trattengono i vapori e impediscono ai torrenti di devastare la pianura, etc.
E (immancabile!) vissero tutti felici e contenti.
Fuor di metafora, per evitare, in questi 12 anni che ci restano, l’esiziale aumento di 1,5 gradi della temperatura, occorrerebbe comportarci come il saggio topolino di Antonio Gramsci: mettere in campo e rafforzare, cioè, quelle buone pratiche ambientali, da tutti conosciute ma da pochissimi poste in essere, che sole potranno assicurare un futuro alla nostra derelitta società.
mercoledì 24 febbraio 2016
Per la Salerno di tutti, Rifondazione Comunista c'è
C’è qualcosa che non quadra, che sfugge al rassicurante luogo comune. Cosa? Beh, innanzitutto l’ubicazione della sede. Dico io, siete comunisti? E allora, per la barba di Marx, dovreste ritrovarvi in un cantuccio oscuro e cospirativo, in una via che quantomeno evochi officine e quarto stato (non per niente, la sede nazionale si chiamava, a ragione, Botteghe oscure!). E invece trovo Rifondazione Comunista di fronte all’istituto tecnico Trani, in un palazzo dall’atrio luminoso(!) ubicato in via Gelso(!!).
A me non la fanno. Prima di citofonare cerco un significato recondito, cabalistico, subliminale del termine gelso: saggezza, simbolo dell’amore imperituro tra Piramo e Tisbe.
Alquanto contrariato, arrivo al portone. Mi apre un ragazzo sui vent’anni, sorridente, che mi fa segno di “parlare piano”, indicandomi una stanza chiusa.
“Bingo! Passi il ragazzo dall’aspetto gentile, ma lì c’è odore di setta segreta contro i plutocrati salernitani.”
<Oltre quella stanza – mi spiega il giovane ancor prima che possa gongolare per la ritovata cospirazione – ci sono i compagni del doposcuola popolare. È un servizio che rifondazione offre ai ragazzi delle famiglie colpite dalla crisi.>
E io, disperato: < Sì, ma a pagamento, cioè gli insegnanti…>
<I militanti – il mio interlocutore, quasi offeso – prestano – precisa – servizio di volontariato. Ma ecco il nostro segretario, Loredana Marino.>
A questo punto, m’arrendo. L’omaccione barbuto e sudaticcio dal cipiglio del “sotuttoio” della mia immaginazione stempera le sue fattezze in una ragazza bionda e riccia, con i tratti da ragazzina e lo sguardo determinato; insomma, una segretaria in equilibrio tra leggerezza e rigore.
Ormai ho abbandonato ogni pregiudizio e mi accingo ad ascoltare.
Vengo a sapere, dalla voce appassionata della Segretaria, che Rifondazione Comunista sta promuovendo un confronto con tutte le forze di sinistra per dare voce a una Salerno altra da quella deluchiana dei comitati di affari in città; una Salerno diversa che sappia fare tesoro dell’esperienza amministrativa trascorsa ma che sia anche in grado di aprirsi ai movimenti, alle istanze dal basso della società.
Loredana Marino, con l’accento dell’indomito cilento che ogni tanto fa capolino dalle sue parole, non si limita alle dichiarazioni di principio. Offre anche il modello che possa fare da collettore per le diverse esperienze di sinistra: quella Salerno di tutti che in questi mesi, oltre a costituire la dicitura per il nuovo simbolo per le amministrative, ha funzionato da vero laboratorio di idee in cui sono state affrontate tematiche vitali per la nostra città (urbanistica, luci d’artista, Ideal Standard, etc.).
<Ma non basta!> La segretaria di Rifondazione comunista, proprio nel momento in cui sembra aver trovato la stella polare da seguire, rilancia, consapevole della difficoltà delle prossime amministrative.
Ed ecco, allora, che la Marino mette in campo l’idea che sola potrebbe, da un lato, smuovere la fanghiglia che asfissia e ammorba Salerno da oltre venticinque anni e, dall’altro, dare finalmente peso specifico rilevante alla sinistra: una sintesi di esperienze, di competenze, di passione civile e politica, cioè, tra la succitata Salerno di tutti e il Comitato referendario per il No alla riforma costituzionale Renzi-Boschi.
Il varco è qui.
Il nostro incontro sta per volgere al termine. Nel frattempo che io e la segretaria stavamo parlando, la federazione si è riempita di età diverse e di professioni disparate.
Ma la politica non era in crisi di persone e di entusiasmi?
Mentre saluto tutti, resto colpito dalla biblioteca della federazione e da un sorpassato albero di natale fatto di…libri.
Sulla porta, la Segretaria di Rifondazione Comunista mi saluta. Poi, improvvisamente, il suo sorriso indossa i panni da lavoro.
<Scusami, abbiamo dimenticato di parlare dell’intervista di Asilo Politico uscita sabato sui giornali. A questo proposito, mi preme dire che nella costruzione di questo percorso che auspichiamo più condiviso possibile, siamo pronti a confrontarci anche con Asilo Politico, proprio partendo dal documento che hanno presentato alla stampa e ai cittadini.>
venerdì 19 febbraio 2016
Porto di Salerno:l'insostenibile leggerezza dell'accorpamento
Porto di Salerno: sto aspettando il mio uomo al Bar Dogana
Arriva trafelato, sempre inseguito dalle voci gracchianti della radio in dotazione.
Una stretta di mano, un caffè e via.
Giusto il tempo di circumnavigare il “Giù le mani dal porto di Salerno” e il “A difesa della nostra città” dei rimorchi blu e arancio testimoni della protesta, che arriviamo all’ingresso.
Il porto spalanca le sue fauci e m’inghiottisce con il suo caravanserraglio di sensazioni.
Sembra di essere all’interno dell’Etna, nella fucina di Efesto. I lavoratori, i container, le gru, le stive delle navi, tutto insomma, è ostaggio di un’ordinata alacrità.
Voglio conferme alle mie impressioni. Il mio cicerone mi accompagna dal responsabile pianificazione dello Yard, dr. Giuseppe Gallozzi.
Dalle parole giovani e competenti del mio interlocutore, oltreché dai documenti mostratimi apprendo, tra l’altro e in aggiunta a quanto letto in questi giorni, che:
- l’Autorità portuale di Salerno, a differenza di quella di Napoli, spende fino all’ultimo centesimo dei Fondi europei;
- il porto di Salerno è, per ordine d’importanza, la prima risorsa economica della città;
- nel 2016, il tempo d’attesa per l’imbarco è sceso a max 2 ore dato, quest’ultimo, coerente con la politica di efficienza da sempre perseguita dall’Autorità;
- recentissimamente si è provveduto ad alcuni ammodernamenti relativi alle banchine (le più vecchie, adesso, sono del 2011), ai fondali, all’imboccatura.
- il porto di Salerno si aprirà ancora di più, a partire da marzo 2016, ai mercati di India, Sud Africa e di altre realtà economicamente vivaci;
- con l’accorpamento del porto di Salerno a quello di Napoli, alcuni dipendenti diretti dell’Autorità, a oggi stimabili in circa 2000 unità, potrebbero rischiare il posto di lavoro.
Via via che ascolto le parole del dr. Gallozzi e leggo i documenti a supporto della narrazione, mi faccio persuaso di quanto sia insensato quest’accorpamento del porto di Salerno con quello di Napoli. E ciò, beninteso, non in nome di una gretta questione di campanile quanto, piuttosto, sulla scorta di una banale considerazione: Salerno e Napoli, pur geograficamente assai vicine, hanno dinamiche di sviluppo, strategie imprenditoriali e know-how del tutto diversi e, ciononostante, perfettamente compatibili. A patto, però, che si mantenga la doppia voce Salerno-Napoli, per parlare più forte e, all’occorrenza, anche di più il linguaggio già fin troppo vilipeso della nostra terra. Proprio per questo, e anche per altro, è necessario mantenere in vita l’Autorità portuale di Salerno accanto a quella di Napoli.
Trovata conferma alle mie prime impressioni, saluto il dr. Gallozzi e ritorno da Massimo Grimaldi. Dopo avermi fatto un cenno d’intesa, la mia guida si sente in dovere di regalarmi, compatibilmente con il suo tempo che è sempre gravido di impegni, una fugace visita all’Area Usmaf deputata, mi spiega solerte, all’ispezione dei container in entrata e in uscita (<Nessun porto – mi dice con lo sguardo orgoglioso – ha un’area Usmaf attrezzata come la nostra e in cui si fa un controllo così approfondito dei prodotti dell’import e dell’export.>).
La radiolina riprende a invocare l’attenzione del mio accompagnatore. Risponde qualcosa al collega dall’altra parte del microfono. Mi fa segno che la visita è finita. Si ferma all’improvviso, però. Come indispettito per aver finanche pensato di soprassedere al suo proposito mi invita, ancora e per ultima cosa, a entrare nella pancia di una nave: <Un minuto solo – e una volta lì -Adesso chiudi gli occhi – mi fa – e ascolta.>
Mi basta proprio un minuto per capire quello che mi vuole far sentire Massimo Grimaldi. In questa stiva, per un minuto solo, ho ascoltato l’indispensabilità del porto di Salerno.
Ci salutiamo. Sono ormai fuori dall’organismo ospitante. Tempo di completare la manovra di retromarcia che il telefono squilla:<Vince’, so’ Massimo. Te ne sei salito per il viadotto Gatto, sì? Ma ci pensi alla nostra crescita, nonostante già adesso siamo il sesto porto d’Italia, con l’apertura delle gallerie Salerno Porta Ovest?>