mercoledì 23 luglio 2025

"Una Cosa sola", di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, Mondadori

   


 Nicola Gratteri (che non ha certo bisogno di presentazioni) e Antonio Nicaso, storico delle organizzazioni criminali analizzano, in questo saggio, tutte le sfaccettature del fenomeno criminale. La mafia, la camorra, la 'ndrangheta, oggi vere e proprie imprese globali (dalla Cina alla regione artica), si muovono con scioltezza e pretesa di impunità in tutti i gangli del vivere civile, dark web compreso anche grazie alle volatili criptovalute (che assumono, politica monetaria di Trump docet, sempre più capacità infiltranti). 

    La criminalità organizzata in tutte le sue declinazioni specistiche e geografiche appare ogni volta un qualcosa di nuovo perchè puntualmente se ne dimentica la genesi. E il dramma è che, centosessant'anni dopo la sua nascita e nonostante gli indubbi progressi fatti sul campo, è ancora così. 

    Le mafie sono diventate una cosa sola con ogni forma di potere deviato. L'uomo d'onore d'oggi, infatti, si rifà in tutto e per tutto all'uomo vitruviano di Leonardo, "radicato contemporaneamente alla base del quadrato e del cerchio, tra stabilità e dinamismo, fra tradizione e innovazione", in perenne tensione verso il moto perpetuo e infinito dei "piccioli". E come un rabdomante in grado d'intercettare la vena d'acqua del guadagno prima e meglio delle Istituzioni, il criminale si lancia all'acquisto dei crediti deteriorati anche per riciclare gli ingenti guadagni, sfrutta le società cartiere intestate ai soliti, stucchevoli prestanomi, e si prepara a farla da padrona, tra l'altro, ai Giochi olimpici invernali Milano Cortina del 2026. 

    Nell'ultimo capitolo del libro "il rischio dell'inazione", il duo Gratteri-Nicaso vuole scongiurare per l'appunto il rischio che, di fronte alla pervasività del potere criminale, il cittadino si senta indifeso e abdichi alla sua missione sociale di contrasto. Soluzioni? Ancora una volta la parola magica è "riforme", ma non certamente del tenore di quelle messe in cantiere o promesse dal Governo Meloni, verso il quale le critiche dei due saggisti non si risparmiano: ex multis, la separazione delle carriere dei magistrati stante solo l'1% delle toghe che passano dalla funzione giudicante a quella requirente o viceversa, il proliferare di norme penali che seguono le emergenze del giorno e dal chiaro intento punitivo, certamente non servono allo scopo quando non finiscono per avere, addirittura, effetti deleteri. Ci vogliono fondi per l'adeguamento dei mezzi di contrasto alla criminalità organizzata e per la formazione delle donne e degli uomini chiamati a combattere il fenomeno mafioso, una scuola aperta anche alle sollecitazioni della società civile, l'esaltazione degli esempi di chi non piega la testa e trova ancora il coraggio di opporsi ai soprusi.

    Serve, più di tutto, valorizzare i sacrosanti e sempre attualissimi principi consacrati nella nostra Carta. Solo così ci si può attrezzare contro l'apparente invisibilità delle mafie, il cui silenzio "è il nostro allarme più grande". Ignorarlo, precisano Gratteri e Nicaso, "significa cedere alla loro nuova e devastante forma di potere".

giovedì 17 luglio 2025

10 e non più di 10 #40

     

    


    Servizio: Genocidio? Ma c'è stato il 7 ottobre!

    Dritto: la Russia è l'invasore, gli artisti e gli sportivi russi devono essere banditi dal consesso civile, la Russia dev'essere sanzionata...Israele? Per sempre amici. Netanyahu? Gli stringeremmo la mano, se volesse onorarci della sua presenza.

    Rovescio: Trump? Il Nobel per la pace. Negazionismo climatico? Fa ottimamente gli interessi del proprio Paese.

    Volée: Sinner orgoglio nazionale. E apprezzamenti dal Governo, dalle opposizioni. Francesca Albanese...come no, il fratello è un comico stellare!

mercoledì 9 luglio 2025

"L'uomo che guardava passare i treni", di Georges Simenon (trad. Paola Zallio Messori), Fabbri editori

     


    "...perchè sapeva che se avesse ceduto su un unico punto, nulla lo avrebbe più fermato". E Kees Popinga, l'irreprensibile Kees Popinga, è stato facile profeta.

    Dopo una giornata trascorsa affaccendato nel solito, scontato copione, decide di andare a vedere se tutto è a posto a bordo della Ocean III. 

    Con annichilente sorpresa, Kees viene a sapere che la cisterna che avrebbe dovuto consegnare la nafta (lui in persona, in qualità di procuratore presso la Julius de Coster en Zoon, l'aveva ordinata), non è arrivata. L'unica è mettersi in cerca del titolare della ditta per denunciare l'accaduto. Caso vuole, però, che Popinga  incontri il suo capo proprio dove, a rigor di logica, Julius de Coster jr. non avrebbe dovuto essere: in un locale equivoco cioè, con la barba tagliata e intabarrato in un abito marrone di una taglia troppo grande, mentre lo invita a lasciarsi andare e a scolarsi con lui l'intera bottiglia di grappa di ginepro.

    Kees Popinga capisce, pur tra i fumi dell'alcool, che in uno con le sorti della ditta, anche la sua esistenza accomodante costruita tassello dopo tassello, sta per andare in frantumi: l'occasione giusta per assecondare il suo vero io sepolto da quarant'anni di sovrastrutture?

    Da questo momento in poi, Kees Popinga comincia a "cedere": sale finalmente a bordo del treno della mezzanotte e cinque (non è proprio il treno, specie quello notturno, a ricordargli la possibilità di una vita altra?) e abbandona per sempre quello che è stato fino a un minuto primo. 

    Lontano dalle paturnie di maman e dalla mediocrità dei due figli, è già pronto a possedere quella Pamela solo desiderata nel bozzolo piccolo borghese in cui aveva confinato la sua vita. Ora, però, non ci sono più freni inibitori nè alibi che tengano. Peccato che quella stupida, che pur l'avrebbe dovuto soddisfare fosse solo per mestiere, abbia avuto la balzana idea di deriderlo. Un cuscino premuto un po' più forte e...eccolo montato il caso del "satiro di Groninga".

    Kees Popinga è una mente brillante, conseguenziale. Riesce a darsi delle regole e a cambiarle a seconda della necessità. Ha sangue freddo da vendere e la presunzione che, finchè vorrà, nessuno potrà limitare la sua libertà, nemmeno l'ineffabile commisario Lucas. Eppure sembra ingaggiare, con la stampa e la polizia, un gioco che lungi dal riconoscergli l'indubitabile talento, sostanzialmente lo svilisce, relegandolo tra le "varie ed eventuali" della cronaca giudiziaria.

    Quando, però, commette un errore, l'unico errore della sua cavalcata trionfale (si fa derubare da "dilettante"...e questa è l'ennesima parola da annotare nel taccuino di marocchino rosso/voce della coscienza), capisce che un uomo che scappa, senza soldi, non può permettersi il lusso della autenticità. A meno che....ecco, c'è sempre l'ennesimo limite da superare: Kees Popinga, o quello che ne resta, si trova col capo piantato sul gelo del binario in attesa del treno che dovrà concludere tutto. Eppure, a volte, il caso!

    La diagnosi di pazzia è certa. E il Nostro vi si crogiola evidentemente compiaciuto della sua superiorità; su persone e cose, nonostante tutto.

     Certa è anche la volontà di mettere mano, una volta per tutte, alla sua "verità sul caso Kees Popinga". Ma poi, in fin dei conti... 

    ...«Non c'è una verità, ne conviene?».

mercoledì 2 luglio 2025

10 e non più di 10 #39

    


     Devo morire, perchè a volte si può decidere di morire anche a sette anni.

    Quando il cibo non viene distribuito e l'acqua è sequestrata sulle autobotti a 50 gradi all'ombra, il corpo si smaterializza, tassello dopo tassello. E allorquando realizzi che è la razza palestinese a dover essere espiantata dal lembo di terra che da sempre prega in arabo, o impazzisci o muori. 

    A sette anni, non so come si faccia a impazzire.

    Tra un'ora o poco più morirò. Prima, però, devo andare all'ennesima distribuizione corredata dal tiro al palestinese. È l'ultima immagine quella che foraggia la nostra immortalità.

    Rinascerò terrorista. In Palestina.

giovedì 26 giugno 2025

"Un nome da torero" di Luis Sepulveda (trad. Ilide Carmignani), ed. Ugo Guanda

     


    "Juan Belmonte", ed è proprio quando non puoi evitare di presentarti a qualcuno, che ti senti immancabilmente chiedere: "Come il famoso torero?". A parte la tigna, però, del torero non hai praticamente nulla. E lo sai bene, Juan Belmonte. 

    Vivi ad Amburgo, esiliato dal tuo Cile, eppure ogni marco che guadagni (da buttafuori di un locale equivoco, da ex guerrigliero che cerca ancora di capirci qualcosa nel tritacarne dell'ipercapitalismo), lo invii a chi si prende cura di Veronica, l'amore desaparecido riapparso miracolosamente da una discarica di San Bernando; i miracoli, però, a volte riescono solo a metà. Le torture patite sono state troppo, e troppo accanite, al punto da privare Veronica della parola e della voglia di vivere.

    Qualcuno di influente, però, ti racconta una storia alla quale tu devi necessariamente prendere parte: è la vicenda di due amici che, ai tempi del nazismo, intercettano le restanti monete d'oro della Collezione della Mezzaluna Errante. Fanno parte dei tanti tesori trafugati dal Terzo Reich agli ebrei. 

    I due amici capiscono che quella è la loro occasione per darsi una seconda possibilità. 

    C'è chi è costretto a restare, e viene subito intercettato e punito prima dai nazisti e poi dai soldati della Germania dell'Est, e chi riesce a portare le monete in salvo; guarda caso proprio in quel Cile, precisamente nella Terra del Fuoco, che ti aspetta come un destino a cui non si può sfuggire.

    Juan Belmonte, è il momento di sintonizzarsi sulle frequenze di una normalità ostentata, ma che nasconde ancora tutti gli orrori della dittatura. 

    Il ritorno è tra ex compagni e contro gli stessi tizi che, sia pure nella diversa divisa indossata per l'occasione, perpetrano uguali soprusi. 

    L'unica è portarsi via le monete restanti, allontanarli dal tuo Cile come una maledizione che continua a estorcere vite. 

    Sono state ben nascoste dal compagno di una vita, sotto le lamiere scintillanti al sole di una terra che non riesce ancora a trovare pace.

    Juan Belmonte, che fai ancora lì impalato all'angolo della strada? Veronica è nella casa di fronte, si tratta solo di attraversarla, questa strada, e chiederti, per l'ultima volta, "perchè abbiamo tanta paura di guardare in faccia alla vita, noi che abbiamo visto le auree scintille della morte?"


giovedì 19 giugno 2025

"Vita e destino", di Vasilij Grossman (trad. Claudia Zanghetti), Adelphi editore

     


    Questo monumentale romanzo di Grossman (ebreo russo ben presto deluso dal regime comunista), ambientato nell'Unione Sovietica durante la battaglia di Stalingrado (1942-43) contro la Germania nazista, è un'opera "dalla culla alla tomba": nelle sue mille e più pagine, infatti, le diverse esistenze dei personaggi affrontano tutte le tematiche che costellano l'esistenza umana: dal dramma bellico in cui l'Armata Rossa combatte la guerra non tanto contro un Paese nemico, quanto contro la barbarie del Terzo Reich (tra gli altri, i personaggi della casa 6/1); alle prese di posizione ostinate, come quella del professore Strum Viktor Pavlovicfisico e membro dell'Accademia delle Scienze, che si oppone alla volontà del Partito di subordinare l'empiricità della scienza all'ideologia imperante.

    Come non accennare poi all'Amore, scandagliato in tutte le sue infinite sfaccettature? C'è quello altro e "illegittimo" proprio del professor Strum per la moglie di un collega; c'è l'altro incommensurabile e inconsolabile di Ljudmila Nikolaevna per il figlio Tolja; vi è, infine, quello combattuto di Zenja tra il colonnello Novikov e l'ortodosso Krymov che pure verrà rinchiuso nella famigerata Lubyanka.

    Grossman affronta il tema della Politica, mettendo in risalto il ruolo egemone di Stalin, non di rado raffigurato come un despota volubile e terribile (il gran burattinaio di tutta l'Unione Sovietica). Lo sguardo, poi, dello scrittore "eretico" (il Comitato esaminatore, fin dal dicembre 1960, giudica il romanzo "anti-sovietico" e lo sequestra assieme alle "carte carbone, agli appunti, alle copie e persino ai nastri delle macchine da scrivere"), si sofferma, con pagine di una liricità e di una profondità sconvolgente, sui forni crematori e sulle disperate condizioni di tutti i prigionieri, di qualsiasi nazionalità essi siano.

    E qui mi fermo, proprio perchè da scrivere ci sarebbe ancora tanto. Troppo. 

    La verità è che provare ad abozzare una recensione appena sufficiente di "Vita e destino", è praticamente impossibile, tanti sono i personaggi e gli argomenti trattati; ma sempre con una scrittura limpida e con la vena ispirata del narratore di razza.

    È un'opera, il romanzo di Grossman, da leggere e da rileggere (a dispetto delle sue quasi mille e duecento pagine) e in cui cercare conforto specie in tempi come questi, dove il senso si è smarrito e l'umanità agonizza nelle pastoie di un mondo impazzito.

mercoledì 11 giugno 2025

10 e non più di 10 #38

    


     «Com'è 'sta storia? Io, da poco diventato italiano, ho votato al referendum; ovviamente sì al quesito sulla cittadinanza, per una solidarietà "di pelle" con quelli che ancora agognano di diventare italiani. E ho votato anche sì, sebbene sia un imprenditore, a tutti e quattro i quesiti sul lavoro. Perchè è giusto così».

«E quindi?»

«Mi sarei aspettato che almeno gli italiani da lavoro dipendente, si fossero recati in massa alle urne; e che poi, sulla casella della cittadinanza a 5 anni, avessero messo una bella ics».

«Perchè è giusto così?»

«Anche; ma pure per l'entusiasmante "proletari di tutto il mondo..."».

«...del tempo che fu».

«Ecco».







"10 e non più di 10" #49

           All'ingresso,  questuanti allampanati per associazioni moltiplicatrici di sensi di colpa.     Si apre la porta automatica, e ...