Un gentiluomo si vede recapitare un pacco all'albergo in cui alloggia. Sa già cosa contiene l'involucro: un preziosissimo violino di Jacob Stainer (uno dei più apprezzati liutai tirolesi del '600) che si è aggiudicato a un'asta di strumenti musicali per una cifra più bassa rispetto al suo valore intrinseco.
Piccolo particolare dello strumento: una testina antropomorfa intagliata sul cavigliere (...) Si sarebbe detto un mammelucco, dai lunghi baffi spioventi, l'espressione feroce, e la bocca spalancata come in un urlo di dolore o di maledizione.
"Dolore" e "maledizione" che ben presto, l'ospite venuto nella camera d'albergo (uno scrittore in cerca di una storia di musica da raccontare) a prendere atto di una sconfitta (avrebbe potuto e dovuto aggiudicarselo lui, il violino) intreccia in una trama puntellata da note musicali e solitudini acuminate come i freddi inverni del nord.
Una notte, in una taverna, un saltimbanco con violino vende la propria musica al miglior offerente. Dopo un po', si dichiara pronto a imbrigliare la melodia del suo strumento con la richiesta musicale che lo scrittore e musicologo vorrà avanzargli: la Ciaccona di Bach (pezzo difficilissimo) al prezzo di mille scellini.
Una provocazione, senza dubbio, che nessuno strimpellatore di strada avrebbe potuto soddisfare. A meno che sotto le mentite spoglie del musico ambulante non si nascondesse un musicista di indubbio talento. Già, proprio così.
E la impervia Ciaccona non solo viene eseguita, ma addirittura eternata da un violinista di prima grandezza.
Quali esperienze traumatiche, quali fallimenti si nascondono nell'animo di chi, per talento, avrebbe potuto calcare i palcoscenici dei teatri più celebri al mondo?
In un'altra notte, davanti a un altro tavolo di un bar, il musicista Jeno Varga si racconta: dall'infanzia povera dove il padre, che prima o poi tornerà con il colbacco ben calzato sulla fronte, la mantellina sulla spalla, in arcione a un baio nervoso, gli ha lasciato un violino in dote, al suo talento musicale che ben presto gli farà spalancare le porte dell'austero e snervante Collegium Musicum; dall'incontro con la travagliata Sophie Hirschbaum che gli ammalierà il cuore, a quello con l'altro da sè collega di studi, Kuno Blau, con la sua grandezza musicale che non può che essere tramandata da geni beffardi, loro sì, verso gli umilissimi natali di Jeno Varga.
Eppure, la posizione del violinista avrebbe dovuto mettere sulla buona strada il lettore un attimino più accorto. A che mi riferisco?
Avete mai riflettuto su quanto sia innaturale la posizione del violinista? Toglietegli lo strumento dalle mani mentre è intento a suonare e guardatelo: quegli arti irrigiditi, quegli occhi semichiusi, quella pronazione dell'avambraccio sinistro e la testa riversa da un lato, non vi ricordano la deposizione dalla croce del Cristo?
E come per ogni croce c'è una testa, così, per ogni melodia, vi è un'imitazione che le si sovrappone progressivamente e fa muovere la voce conseguente in moto contrario alla voce antecedente: il canone inverso, per l'appunto, che viene a unire indissolubilmente le sorti di Jeno Varga a quelle di Kuno Blau.
Sullo sfondo, per tutto l'accattivante romanzo, il filo conduttore della musica ragione di vita che può condurre, in determinati ed estremi casi, anche alla morte. E ciò accade quando il tempo delle marce che apparecchiano l'olocausto mondiale mal si accorda con le atmosfere trasognate del violino.
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