«Piccolo
spazio pubblicità» è l’intro dell’allusiva «Bollicine» di Vasco Rossi. E
proprio il Blasco, dopo aver permesso che le sue «Senza parole» prima, e
«Rewind» poi, facessero da colonna sonora allo spot dell’auto del momento
targata Fiat, avrà pensato che le canzoni nascono per veicolare sogni e non per
pubblicizzare veicoli. E così il cantautore di Zocca non ha più “venduto” alla
pubblicità le sue melodie. Gesto, questo del Komandante, sicuramente non
scontato, visto che al fascino (soprattutto economico) della réclame hanno
ceduto un po’ tutti i cantanti, sia stranieri (i Rolling Stones, Madonna, Bob Dylan,
etc.) sia nostrani (tra gli altri, Zucchero, Lucio Dalla, Claudio Baglioni,
Giorgia, Ennio Morricone, Ligabue).
Eppure,
forse per non dipingere in maniera troppo edificante chi ha fatto di tutto per
non volerlo essere nella vita così come nella musica, mi piace pensare altro in
ordine al ripensamento della rockstar italiana sulla pubblicità. Mi stuzzica,
cioè, l’idea che, oltre alla nobilissima ragione ufficiale del Blasco (la
canzone deve vendere sogni e non prodotti), ci sia anche una motivazione più
furba e meno romantica.
Mi spiego.
Ipotizziamo, solo per un momento, che la Fiat Punto entrata nell’immaginario
collettivo del consumatore medio anche grazie alla «Senza parole» del rocker
emiliano, si fosse rivelata da subito una ciofeca. Immaginiamo, cioè, che fosse
stata l’auto più difettosa della lunga e gloriosa tradizione della casa
torinese. Ebbene, potete giurarci, non sarebbe mancato l’automobilista
incazzato verso il Blasco che ha contribuito con la sua canzone a indurlo
all’acquisto di quella bagnarola.
Se invece
l’acquirente della Punto fosse stato un fan dell’artista, sicuramente non ce l’avrebbe
fatta a maledirlo, ma comunque si sarebbe risentito verso il suo idolo che ha
sponsorizzato un prodotto scadente. Perché, questo è il punto, chi veicola la
pubblicità (con la sua immagine, con la voce, attraverso le sue canzoni, etc.)
avalla quel prodotto. È come se dicesse: «Garantisco io.»
E mentre in
passato, in termini di credibilità, poteva anche convenire al «volto famoso»
fare pubblicità, adesso ci andrei un po’ più cauto. Perché? Per un motivo molto
semplice. Qualche decennio fa, il prodotto si affermava prima sul mercato
grazie alle sue qualità e poi, quando si avvertiva il richiamo della ribalta
nazionale, si faceva la pubblicità. Oggi, al contrario, si punta direttamente a
conquistare la visibilità con lo spot, troppo spesso anche a prescindere dalla
bontà del prodotto. L’ovvia conseguenza, quindi, è che può capitare al volto
più o meno noto di fare da garante a un bene intrinsecamente scadente.
Una vocina,
da qualche parte: «T”o vvuo’ mettere ‘ncapo…‘int’a cervella che staje malato ancora e’ fantasia? Al tempo d’oggi dove un politico si vota
perché è simpatico, la parola data si dispensa come un saluto, tu cianci ancora
di “garanzia”, “responsabilità”, etc.?»
Mi
rattristo. Penso a Baumann e alla sua «società liquida», e mi faccio un caffè.
Forte. Consolatorio.