martedì 22 ottobre 2024

"Corpi al sole", di Agatha Christie

La premessa di questa nuova storia della regina del giallo è dei più promettenti: i corpi al sole all'isola del Contrabbandiere che eccezionalmente annoverano tra le loro fila anche quello di Hercule Poirot (ebbene sì, incredibile a dirsi, pure l'ispettore belga si lascia tentare dalle sirene agostane) sono assimilabili ai corpi allineati sui tavoli di marmo de La Morgue, l'obitorio di Parigi. A una prima e superficiale vista infatti, appaiono pressochè tutti uguali, proprio come i bagnanti che cercano requie dal caldo prendendo i bagni di mare.

Se a questa prima, lugubre riflessione, aggiungiamo il sentore della presenza del male nel luogo di villeggiatura lamentato dal reverendo Stephen Lane, il quadro è completo.

La conturbante Arlena Stuart, la classica donna per cui ogni uomo è disposto a perdere la testa, porta lo scompiglio nel clima alquanto compassato dei bagnanti dell'isola del Contrabbandiere.

È evidente agli occhi di tutti che l'ultima vittima della mangiatrice d'uomini è l'aitante Patrick Redfern che pure sarebbe innamorato della moglie, l'eterea e cerebrale Christine.

Al fascino di Arlena, però, non si resiste. E ciò nonostante in vacanza siano presenti anche il capitano Marshall, suo consorte taciturno e introverso e la figlia di quest'ultimo, la suggestionabile Linda.

Insolitamente per la sue abitudini, Arlena si sveglia presto e non fa colazione in camera: ha fretta di recarsi a un appuntamento e per arrivarvi indisturbata prega il solerte Poirot, incrociato per caso, di non fare parola di quell'incontro. Quindi sale in barca e fa rotta verso una delle tante insenature che drappeggiano la costa frastagliata.

Anche Patrick assieme alla signorina Brewster è sulla barca e sono proprio loro due a scoprire più tardi il corpo di Arlena che galleggia senza vita: strangolata con una forza che può appartenere solo a un uomo.

Con chi si doveva incontrare la donna? E chi, oltre al marito e alla figliastra, si sarebbe avvantaggiato della cospicua somma di danaro donata ad Arlena da uno dei tanti spasimanti?

Hercule Poirot è chiamato, pure nell'occasione rarissima di una sua vacanza, a sbrogliare la matassa. Il sagace ispettore intuisce da subito che si trova al cospetto di un delitto "rifinito".

Occorre mettere quanto prima in funzione le sue proverbiali celluline grigie: tra bottiglie lanciate da un balcone con l'evidente premura di liberarsi del loro contenuto quanto prima, un libro di stregoneria con l'annessa bambola di pezza i cui resti sono stati bruciati nella bocca del camino; e ancora, tra un orologio da polso manomesso per ben due volte per far credere possibile quello che il trascorrere del tempo escluderebbe, e una grotta piena zeppa di scatole di eroina (tanto per complicare un po' le cose), la mente conseguenziale di Poirot lavora alacremente.

A un certo punto capisce di aver bisogno di ricorrere agli annali della criminologia: in un altro posto dell'Inghilterra, uno strangolamento con caratteristiche oggettive e soggettive troppo simili al caso di Arlena.

È la conferma che l'ispettore attendeva e dopo una "merenda" pretenziosa organizzata con tutta la comitiva per stemperare la tensione ma che serve, a conti fatti, per mettere a punto gli ultimi dettagli, il brillante Hercule è pronto a svelare l'identita dell'assassino e il movente.

 

"La collina dei delitti", di Roberto Carboni

La scelta di un libro, almeno per quanto mi riguarda, è sempre un'operazione complessa. In questo caso, per esempio, non conoscevo l'autore e il titolo mi sembrava troppo abusato. Poi nella quarta di copertina, leggendo la biografia di Roberto Carboni, ho scoperto che nel 2018 ha vinto il SalerNoir Festival.

Mi sono deciso, spinto da una sorta di curiosità conterranea, ad acquistarlo e fin dalle prime pagine, ho capito di aver fatto un buon acquisto.

Ci troviamo in un territorio compreso tra Bologna e Modena, dove sulle colline di Montebudello viene rinvenuto un primo cadavere. Ha la testa mozzata e le mani amputate con l'evidente scopo di impedirne l'identificazione. A questa prima scoperta ne fanno seguito ben altre quattro, tutte riguardanti persone uccise molti anni addietro e ivi seppellite.

Gabriele è un uomo appagato. È un architetto proiettato verso una carriera brillante, ha una moglie e una figlia piccola che ama e da cui si sente amato.

Silvia è una donna senza scrupoli, rampolla di un importante industriale, per cui le regole morali sono solo un trascurabile orpello.

Anna Paola è una ex modella di origini sudamericana che avrebbe voluto essere parte integrante di quel mondo dorato che pure ha sfiorato, ma da cui è stata ben presto espulsa.

Cosa hanno in comune queste tre persone? L'appartenenza per stato (Gabriele e Silvia) e per desiderio (Anna Paola) alla società che conta. E, dato di importanza capitale, l'aver fatto parte, involontariamente o in piena coscienza, del Klub.

In certi ambienti, si sa, l'esoterismo è un trampolino di lancio per le carriere professionali dei suoi adepti.

Il gioco, però, si spinge troppo oltre. Ci sono i Negromanti, Oduyan e Prizrak, che allestiscono messe nere, che si attardano in sadismi di una crudeltà inaudita, che praticano riti in cui non è raro che ci scappi il morto.

Il commissario Alvoni, che si spara la musica black-metal direttamente negli auricolari quando ha bisogno di pensare, intuisce che i cadaveri della collina possano avere a che fare con l'ambiente dell'esoterismo. Ha bisogno, però, di prove per condurre in porto le sue indagini.

Gabriele, dal canto suo, capisce ben presto che la notizia di quegli inquietanti ritrovamenti lo riguardano in qualche modo. Sì, ma in che maniera? Una parte del suo passato è stata rimossa. E mano a mano che l'architetto recupera brandelli di memoria, si rende conto di aver svolto, suo malgrado, una parte in quel contesto di riti magici e divinazioni.

È una Bologna invernale, questa dell'intrigante libro di Carboni, dove quello che appare non è mai quello che dovrebbe essere e dove un'antica sapienza, che passa dalle pratiche rituali al Cimitero del Diavolo in una zona della profonda Russia, viene evocata con conseguenze imprevedibili e spesso mortifere.

Alla fine il singolare commissario Alvoni dovrà accontentarsi, come direbbe il suo celeberrimo collega Montalbano, della "mezza messa" perchè, quando si toccano delle personalità che muovono ingenti capitali e dirimenti influenze, la verità non è mai piena.

"Una vita", di Italo Svevo

Alfonso Nitti, giovane che avrebbe trascorso tutta la vita nel suo paesello con mamma Carolina e chissà, magari sposando Rosina, viene assunto alla banca Maller.

Si sposta quindi in città, avvertendo fin da subito la risacca della nostalgia per un mondo semplice da cui si sente improvvisamente estromesso.

Il microcosmo della banca è costellato da invidie, arrivismi, piccoli e grandi grettezze. Alfonso, con qualche velleità filosofica, si sente depotenziato. L'unica consolazione è quell'oretta trascorsa nella biblioteca comunale a sognare soddisfazioni, magari letterarie, ulteriori.

Va a pigione dalla famiglia Lanucci che punta sul riscatto, soprattutto economico, rappresentato da un possibile e auspicato fidanzamento di Lucia proprio con Alfonso. Alla fine, non solo questo fidanzamento non ci sarà, ma Lucia verrà sedotta e quasi abbandonata da un operaio che ritira ben presto la parola data.

Frattanto il Nostro è ammesso agli appuntamenti settimanali in casa Maller: Annetta, la civettuola e glaciale figlia del direttore della banca, prova anche a scrivere un romanzo a quattro mani con Alfonso di cui, a conti fatti, si potrebbe fare tranquillamente a meno.

Ben presto tra Alfonso e Annetta scoppia qualcosa che potrebbe far pensare all'amore se non fosse, da entrambe le parti, troppo contaminato con le rispettive convenienze e la reciproca incapacità di abbandonarsi al flusso degli eventi.

All'impiegato giunto dal paesello potrebbero bastare i baci e le carezze che ogni tanto i due giovani si scambiano. Francesca però, la governante che vorrebbe utilizzare Alfonso come pedina per lo scacco matto al vedovo Maller, lo spinge a osare di più.

Si passa finalmente il segno. Annetta dev'essere innamorata, ora che la sua insensibilità non è valsa a proteggerla del tutto. Dovrà convincere il papà, il fratello, dovrà stornare dal capo di Alfonso l'etichetta di arrivista.

Gli chiede di pazientare per un po'. Alfonso, dal canto suo, decide di ritornare al paese. Perchè? Perchè vule concedere il tempo ad Annetta di ricredersi, quello stesso tempo che Francesca lo esorta a non lasciar passare invano, se non vuole perderla definitivamente. Caso vuole che, una volta tornato a casa, viene a sapere della malattia della mamma.

La licenza accordata inizialmente dalla banca per quindici giorni, diventa lunga più di un mese: il tempo necessario per il figlio di raccogliere l'ultimo rantolo di mamma Carolina.

Alfonso ritorna in città e al lavoro in banca, trovando esattamente quello che si aspettava di trovare: Annetta dimentica di lui e promessa sposa al cugino.

Poco male. In compenso riguadagna la libertà del saggio.

Poi però arriva la punizione immeritata: lo spostamento alla contabilità della Banca. E lui che ha bisogno di ingolfarsi in parole e periodi che possano cauterizzare le sue ferite, si sente perduto al cospetto di cifre con le quali non si raccapezza.

Nell'intento di riportare un singulto di giustizia purchessia, offre la dote a Lucia che le dovrebbe impedire di essere abbandonata dal moroso.

Dopodichè, una volta fattosi persuaso della sua inettitudine alla vita e avendo realizzato con febbrile lucidità che "bisognava distruggere quell'organismo che non conosceva la pace", si toglie la vita.

Il tenore della lettera finale di Maller & C. al signor Mascotti è il giusto epitaffio su una vita, quella dell'impiegato Alfonso Nitti, che merita di scolorire nell'irrilevanza.

"Dopo le esequie", di Agatha Christie

L'incipit è alquanto consueto: Richard Abernethie, ricco possidente che dopo la morte del figlio Mortimer, erede designato delle sue ricchezze, perde ogni interesse alla vita, spira nel suo letto.

Il notaio Entwhiste, amico di una vita prima che esecutore testamentario delle volontà del defunto, convoca i fratelli e i nipoti nella casa avita.

C'è un testamento da leggere e una pletora di beneficiari della fortuna del vecchio. La situazione è quella classica, e classiche dovrebbero essere le modalità di svolgimento della seduta senonchè, come un fulmine a ciel sereno, arrivano le parole di Cora Lansquenet, sorella del defunto: «Voglio dire che è stato ucciso, non è così?»

Ora si sa, Cora è stata sempre un po' svampita, con l'abitudine di dire quello che pensa anche quando se lo sarebbe tranquillamente potuto risparmiare. La parìa Cora, che ha sposato un pittore inviso alla famiglia ed è diventata pittrice lei stessa però, ha una qualità conosciuta benissimo anche dal notaio: è inopportuna ma spesso quello che dice merita quantomeno attenzione.

Entwhiste, allora, comincia a guardare alla morte del vecchio amico con occhi diversi. E se la singolare Cora c'avesse ancora una volta visto giusto?

C'è un problema: tutti gli eredi, sia quelli di prima generazione che quelli di seconda, si trovano in una situazione finanziaria tale che la morte di Richard Abernethie non può non avvantaggiarli.

Urge l'intervento del nostro Hercule Poirot.

Nel frattempo Cora, a cui pochi giorni prima di morire Abernethie aveva fatto visita, viene uccisa con un'accetta. E come se non bastasse la sua governante, l'impeccabile signorina Gilchrist, per poco non ci lascia le penne per via di una torta all'arsenico che si presume essere arrivata per posta.

Ci sono, infine, suore enigmatiche che appaiono e scompaiono nei momenti cruciali, attori di teatro veri e altri che la cupidigia, o un sogno inseguito da troppo tempo e mai potuto realizzare, rende più realistici del vero.

In tutto questo l'ineffabile Poirot si trova in alto mare: tutti sembrano avere alibi e vite irreprensibili. Ma qualcuno trama nell'ombra, e ciò diventa chiaro soprattutto quando l'acuta vedova Helen, che si è improvvisamente ricordata di un particolare fondamentale, per poco non viene uccisa con un pesante fermacarte.

A Hercule Poirot, del tutto insolitamente privo di appigli su cui modellare le sue brillanti intuizioni, non resta che mettersi in ascolto, convinto com'è che quando si parla, anche il più attento mistificatore, finisce per tradirsi.

A sugello di tutto, c'è un tavolo di malachite con dei fiori in cornice che vengono ricordati integri quando ormai non lo sono più.

Il gioco, a questo punto, è fatto. Partita vinta per Hercule Poirot.

"Tonio Kroger", di Thomas Mann

Il destino di un uomo, a volte, è racchiuso nel suo nome: Tonio, in onore di Consuelo, "quella madre bruna e focosa che suonava così bene il pianoforte e il mandolino", originaria di "un punto tanto lontano della carta geografica"; e Kroger, in ossequio al padre "un signore alto, vestito con cura, dagli occhi azzurri e pensosi, che portava sempre un fiore di campo all'occhiello".

Eccoli i due mondi, l'uno dell'imprevedibilità e della fantasia tipicamente meridionali e l'altro, quello del "mercante inteso alla moneta" (Gozzano) tipico "degli occhi azzurri" delle alte latitudini.

La metafora manniana "degli occhi azzurri" che si accompagnano inevitabilmente ai capelli biondi, è quella propria del borghese non corrotto dalla cultura, quell'ideale prima rinnegato e poi agognato dal protagonista di questo racconto lungo.

D'altronde, lo stesso Hans Hansen, l'amico del cuore di Tonio, ha gli occhi azzurri; come azzurri sono, a ben vedere, le iridi di Inge Holm che balla la quadriglia con movenze angeliche mentre lui, che scrive poesie (o quale stucchevole artificio!) cade a terra, incapace di muovere un solo passo, tra le risate di scherno della compagnia.

Eppure la salvezza è lì, a due passi: negli occhi, stavolta neri e nella carnagione scura, di Magdalena che si atteggiano a porto sicuro per la sua diversità. Tonio, però, sente che perdersi in quei tratti meridionali, significherebbe condannarsi a una vita dove non può trovare cittadinanza alcuna il suo ideale di purezza.

"Io sto tra due mondi, di cui nessuno è il mio": eccola l'amara constatazione del protagonista che lo porterà, nonostante le mille esperienze vissute, la gloria letteraria sentita come sempiterna mistificazione in cui manca qualsiasi accenno di genuinità, allo scacco matto nei confronti della vita.

Potremmo parlare con riferimento a Tonio Kroger, se i due termini non fossero in qualche modo antitetici, di un nichilismo pervaso da un tardo romanticismo.

L'unica salvezza per Tonio è quella di far ritorno nel palazzo avito, tra la pioggia della propria patria. Come, però, scrive alla pittrice Lisaweta Iwanowna, anche da quell'Arcadia, sia pure solo per un malinteso, è escluso, a tal punto che addirittura vogliono arrestarlo. Eppure proprio lì, rivede i biondi dagli occhi azzurri Hans e Inge, ancora una volta perfettamente sintonizzati sulle intemperanze della vita. A lui non resta che restarsene dietro a una tenda a osservarli, per l'ennesima volta, ballare in un mondo dall'appagante ordinarietà.

Lisaweta aveva definito Tonio un borghese. Alla fine lui è costretto a dare ragione all'amica artista, precisando che ci può essere un modo di essere borghesi contrassegnato dall'amore per tutto ciò che è umano, vivo e ordinario. In altri termini, artista (borghese) sì, ma un "artista dalla coscienza sporca":

"Poichè è la mia coscienza borghese quella che mi fa vedere in tutto ciò che è arte, eccezione, genio, qualcosa di profondamento ambiguo, profondamento sospetto e che m'ispira questa simpatia così pervasa d'amore per tutto ciò che è semplice, sincero e gradevolmente normale, per tutto ciò che non è geniale, ma decoroso e corretto".

"Poirot non sbaglia" di Agatha Christie

Ebbene sì, anche il cerebrale investigatore belga, seduto com'è adesso sulla sedia del dentista, è in preda a una banale paura.

Ma si sa, quando un dente duole, sia che appartenga all'ultimo dei criminali sia, come in questo caso, all'infallibile Hercule Poirot, una puntatina dal dottor Morley è indispensabile.

Gabinetto medico affollato, stamattina. E nel via vai di clienti introdotti dallo smemorato Alfred, senza il prezioso aiuto della collaboratrice misteriosamente convocata da un telegramma al capezzale della zia (poi rivelatosi falso), il dottor Morley fa del suo meglio.

La morte, però, lo coglie improvvisa. La polizia, in seguito all'autopsia su un greco defunto anch'esso dopo essere stato visitato dal dentista, è certa: il dottor Morley si è ucciso per l'onta e il rimorso di aver sbagliato l'anestesia su di un paziente.

L'ispettore capo Japp gongola. Poirot, invece, diffida delle apparenze. Tanto più che tra i clienti del dentista, la mattina del fattaccio, c'era anche il potentissimo finanziere Alistair Blunt.

C'è qualche collegamento tra la presenza dell'influente uomo d'affari e il colpo di pistola sparatosi alle tempie dal dottore?

Tra una signora apparentemente vacua che improvvisamente scompare, un'altra a cui si è costretti a cambiare i connotati a colpi di calci e pugni; e ancora, tra giovani rivoluzionari che vorrebbero sovvertire lo status quo e servizi di controspionaggio, Poirot si sente, a un certo punto, smarrito.

La cosiddetta carta forzata, quella che il prestigiatore ti induce a scegliere per poi indovinarla e attribuirsene ogni merito, è continuamente gettata in pasto alle proverbiali celluline grigie del Nostro. Perchè?

Quando, invece, Poirot si deciderà a volare basso e a farsi guidare dal suo metodo induttivo che si è rivelato sempre vincente (tutto inizia, il giorno del delitto, dalla fibbia di una scarpa alquanto sgraziata), allora riuscirà a mettere in fila tutti i tasselli di un rompicapo a prima vista inspiegabile.

Alla fine, il dilemma: far condannare chi si sa, per altri versi, indispensabile all'agognata libertà inglese e lasciare libere delle teste calde apparentemente poco utili al benessere collettivo o, invece, seguire la propria coscienza?

"Non mi interesso alle nazioni (...)., ma agli individui. Di quel bene inestimabile che a loro appartiene, la vita, nessuno ha il diritto di privarli."

Il nostro magnifico Hercule, provato per l'ennesima indagine che stavolta, forse più delle altre volte, gli è costata davvero uno sforzo notevole, trova il tempo anche per un lascito morale

"Il mondo è vostro, ragazzi, quel mondo che voi volete nuovo. Cercate che in quel mondo nuovo vi sia posto per la libertà e per la pietà. Questo è tutto quello che vi chiedo."


"77", di Guillermo Saccomanno

Come sempre, la Marco Tropea Editore è una garanzia di qualità, soprattutto con riferimento agli scrittori latino-americani (uno su tutti, il formidabile Paco Ignacio Taibo II). Peccato che nel 2014 abbia cessato l'attività

Ma veniamo al nostro libro. Il titolo "77" fa riferimento all'anno in cui la dittatura di Videla raggiunge l'acme. Per le strade argentine, un clima ansiogeno e la paura di ingrossare le fila dei desaparecidos.

Ci si rivolge a maghi, fattucchiere per conoscere la sorte degli "evaporati" e per trovare sollievo in una dimensione sovrannaturale. Il professor Gomez, omosessuale simpatizzante del peronismo, si rifugia nei suoi amati libri, in special modo in quelli di letteratura inglese. Ma in un cielo eroso da topi, dalle facciate dei palazzi in cui, in serate di nebbia, è possibile impiastricciarsi le mani di grumi di sangue, capisce che non può esimersi dalla lotta. Lotta innanzitutto intellettuale (il suo trattato sull'assenza che verrà sequestrato prima ancora di essere dato alle stampe), ma che finisce per esondare, del tutto occasionalmente, pure nella vita pratica.

Il professore, allora, intesse una relazione con uno sbirro, ovviamente organico al sistema di terrore, e da lui cerca informazioni su un suo allievo portato via dalle onnipresenti Falcon verdi durante una lezione sul Facundo . E sì, perchè le Falcon verdi che girano con uomini in uniforme armati fino ai denti, diventano ben presto il simbolo della repressione di ogni anelito democratico.

Poi c'è una guerrigliera incinta che viene a rintanarsi nel suo appartamento, da cui è più facile allontanarsi fisicamente che prendere le distanze dalla ribellione giovanile di cui è definitivamente intrisa la casa dopo il suo passaggio.

C'è l'amico De Franco che ritrova la sua ancella Azucena, e che si illude così di rinverdire un amore di gioventù in grado, in qualche modo, di farlo abbeverare alla fonte di un passato idealizzato. Azucena, però, ha perso il suo figliolo inghiottito dagli ingranaggi dell'oscurantismo, e riempie la casa di bambole simil Videla in cui conficcare gli aghi dell'odio.

Infine, come cauterizzare la cicatrice di quell'amica, moglie di un ufficiale della Marina e, nel contempo, innamorata di un'altra donna mentre viene smembrata in plaza de Mayo dal bombardamento partito proprio dalla nave del marito?

La verità è che il professor Gomez è un sopravvissuto. L'unica occasione che ha di poter immergersi nel flusso della vita, è ritornare a scuola, in quella scuola da cui era fuggito per non restare schiacciato dalla morsa annichilente della dittatura.

Ora no, però. Ha capito che anche per lui c'è una forma di resistenza, magari passiva, magari da praticare nelle retrovie, ma che trova nei suoi studenti l'unica possibilità di farlo sentire vivo.

Romanzo avvincente che per il clima di paura e di terrore che serpeggia tra le sue pagine, ricorda, a tratti, il magnifico Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi.