giovedì 26 giugno 2025

"Un nome da torero" di Luis Sepulveda (trad. Ilide Carmignani), ed. Ugo Guanda

     


    "Juan Belmonte", ed è proprio quando non puoi evitare di presentarti a qualcuno, che ti senti immancabilmente chiedere: "Come il famoso torero?". A parte la tigna, però, del torero non hai praticamente nulla. E lo sai bene, Juan Belmonte. 

    Vivi ad Amburgo, esiliato dal tuo Cile, eppure ogni marco che guadagni (da buttafuori di un locale equivoco, da ex guerrigliero che cerca ancora di capirci qualcosa nel tritacarne dell'ipercapitalismo), lo invii a chi si prende cura di Veronica, l'amore desaparecido riapparso miracolosamente da una discarica di San Bernando; i miracoli, però, a volte riescono solo a metà. Le torture patite sono state troppo, e troppo accanite, al punto da privare Veronica della parola e della voglia di vivere.

    Qualcuno di influente, però, ti racconta una storia alla quale tu devi necessariamente prendere parte: è la vicenda di due amici che, ai tempi del nazismo, intercettano le restanti monete d'oro della Collezione della Mezzaluna Errante. Fanno parte dei tanti tesori trafugati dal Terzo Reich agli ebrei. 

    I due amici capiscono che quella è la loro occasione per darsi una seconda possibilità. 

    C'è chi è costretto a restare, e viene subito intercettato e punito prima dai nazisti e poi dai soldati della Germania dell'Est, e chi riesce a portare le monete in salvo; guarda caso proprio in quel Cile, precisamente nella Terra del Fuoco, che ti aspetta come un destino a cui non si può sfuggire.

    Juan Belmonte, è il momento di sintonizzarsi sulle frequenze di una normalità ostentata, ma che nasconde ancora tutti gli orrori della dittatura. 

    Il ritorno è tra ex compagni e contro gli stessi tizi che, sia pure nella diversa divisa indossata per l'occasione, perpetrano uguali soprusi. 

    L'unica è portarsi via le monete restanti, allontanarli dal tuo Cile come una maledizione che continua a estorcere vite. 

    Sono state ben nascoste dal compagno di una vita, sotto le lamiere scintillanti al sole di una terra che non riesce ancora a trovare pace.

    Juan Belmonte, che fai ancora lì impalato all'angolo della strada? Veronica è nella casa di fronte, si tratta solo di attraversarla, questa strada, e chiederti, per l'ultima volta, "perchè abbiamo tanta paura di guardare in faccia alla vita, noi che abbiamo visto le auree scintille della morte?"


giovedì 19 giugno 2025

"Vita e destino", di Vasilij Grossman (trad. Claudia Zanghetti), Adelphi editore

     


    Questo monumentale romanzo di Grossman (ebreo russo ben presto deluso dal regime comunista), ambientato nell'Unione Sovietica durante la battaglia di Stalingrado (1942-43) contro la Germania nazista, è un'opera "dalla culla alla tomba": nelle sue mille e più pagine, infatti, le diverse esistenze dei personaggi affrontano tutte le tematiche che costellano l'esistenza umana: dal dramma bellico in cui l'Armata Rossa combatte la guerra non tanto contro un Paese nemico, quanto contro la barbarie del Terzo Reich (tra gli altri, i personaggi della casa 6/1); alle prese di posizione ostinate, come quella del professore Strum Viktor Pavlovicfisico e membro dell'Accademia delle Scienze, che si oppone alla volontà del Partito di subordinare l'empiricità della scienza all'ideologia imperante.

    Come non accennare poi all'Amore, scandagliato in tutte le sue infinite sfaccettature? C'è quello altro e "illegittimo" proprio del professor Strum per la moglie di un collega; c'è l'altro incommensurabile e inconsolabile di Ljudmila Nikolaevna per il figlio Tolja; vi è, infine, quello combattuto di Zenja tra il colonnello Novikov e l'ortodosso Krymov che pure verrà rinchiuso nella famigerata Lubyanka.

    Grossman affronta il tema della Politica, mettendo in risalto il ruolo egemone di Stalin, non di rado raffigurato come un despota volubile e terribile (il gran burattinaio di tutta l'Unione Sovietica). Lo sguardo, poi, dello scrittore "eretico" (il Comitato esaminatore, fin dal dicembre 1960, giudica il romanzo "anti-sovietico" e lo sequestra assieme alle "carte carbone, agli appunti, alle copie e persino ai nastri delle macchine da scrivere"), si sofferma, con pagine di una liricità e di una profondità sconvolgente, sui forni crematori e sulle disperate condizioni di tutti i prigionieri, di qualsiasi nazionalità essi siano.

    E qui mi fermo, proprio perchè da scrivere ci sarebbe ancora tanto. Troppo. 

    La verità è che provare ad abozzare una recensione appena sufficiente di "Vita e destino", è praticamente impossibile, tanti sono i personaggi e gli argomenti trattati; ma sempre con una scrittura limpida e con la vena ispirata del narratore di razza.

    È un'opera, il romanzo di Grossman, da leggere e da rileggere (a dispetto delle sue quasi mille e duecento pagine) e in cui cercare conforto specie in tempi come questi, dove il senso si è smarrito e l'umanità agonizza nelle pastoie di un mondo impazzito.

mercoledì 11 giugno 2025

10 e non più di 10 #38

    


     «Com'è 'sta storia? Io, da poco diventato italiano, ho votato al referendum; ovviamente sì al quesito sulla cittadinanza, per una solidarietà "di pelle" con quelli che ancora agognano di diventare italiani. E ho votato anche sì, sebbene sia un imprenditore, a tutti e quattro i quesiti sul lavoro. Perchè è giusto così».

«E quindi?»

«Mi sarei aspettato che almeno gli italiani da lavoro dipendente, si fossero recati in massa alle urne; e che poi, sulla casella della cittadinanza a 5 anni, avessero messo una bella ics».

«Perchè è giusto così?»

«Anche; ma pure per l'entusiasmante "proletari di tutto il mondo..."».

«...del tempo che fu».

«Ecco».







giovedì 5 giugno 2025

"Le rose di Atacama". di Luis Sepulveda (trad. Illide Carmignani"), Guanda editore

     


    Tutto prende le mosse dalla visita del compianto scrittore al campo di concentramento di Bergen Belsen, in Germania. In un angolo del campo, dove si innalzavano gli infami forni crematori, c'è una scritta: "Io sono stato qui, e nessuno racconterà la mia storia". 

    Luis Sepulveda intuisce che l'unico modo per contendere all'oblio le tante storie del mondo, massimamente di quelle degli emarginati, degli sconfitti, è la parola. Da qui prende le mosse questo libro che racchiude ben trentaquattro racconti di "storie marginali", come opportunamente le definisce l'autore: quella delle rose di Atacama del titolo, le fragilissime rosa rosso sangue che fioriscono una volta all'anno, sebbene stiano sempre lì sotto la terra salata, e che a mezzogiorno saranno già state calcinate dal sole. C'è poi quel "tal Lucas" (la clandestinità non si può permettere il lusso di un cognome) a cui, quando gli si chiede:« Perchè vuoi salvare il bosco?» risponde senza scomporsi «Perchè bisogna farlo. Perchè sennò?».

    Come non menzionare, tra i tanti personaggi del libro, Mister Simpah e il suo cimitero di barche in demolizione? 

    Manco il tempo di commuoversi per l'ecatombe dei tanti natanti che fa capolino, tra le pagine, il volto arcigno del pirata dell'Elba, al secolo Klaus Stortebecker, che vuole essere decapitato in piedi a patto che "per ogni mio passo dopo che la mia testa ha toccato terra, si salvi uno dei miei uomini": ne riuscirà a salvare ben dodici, di suoi uomini, prima di stramazzare al suolo.

    C'è spazio anche per i cavatori di Pietrasanta: "quando ti troverai davanti una statua scolpita in marmo di Carrara, pensa ai cavatori e ai marmisti di Pietrasanta. Pensa a loro e saluta quel dignitoso anonimato".

     Allorché Sepulveda ne ha d'avanzo di persone, ecco stagliarsi la figura di Fernando, il cane venuto un giorno assieme al suo padrone poi morto (Fernando?), divenuto ben presto il beniamino della città di Resistencia.

    La tentazione di ritornare all'umano, però, è troppo forte: via libera allora alla bruna e alla bionda, le due magnifiche compagne che nonostante le indicibili torture subite nella famigerata Villa Grimaldi ("luogo che si iscrive nella topomomastica universale dell'orrore e dell'infamia"), hanno vinto la morte: "quei corpi che parlano d'amore conservano l'amore di tutti i caduti".

    Non poteva mancare, infine, il tema del sogno ispirato a Salgari e il cielo dell'aldilà in cui troneggia il papa Hemingway.

    Ci sarebbe tanto altro, in questo libro agile e denso allo stesso tempo, ma mi piace chiudere con la parola "compa" (compagno), "parola secca e succosa allo stesso tempo, parola dura e tenera", che è presenza costante nei racconti di Luis Sepulveda.


giovedì 29 maggio 2025

"Episodi della vita del generale Giuseppe Avezzana", di Giuseppina Romano, Dea edizioni

   


      Leggendo quest'opera, una congerie di riflessioni, e della più disparata natura, si incolonnano pronte a essere sviscerate: una relativa al rapporto che s'intuisce assai tenero tra l'invitto Generale e la sua nipotina, la scrittrice Giuseppina Romano che, appena diciassettenne, ha raccolto questi episodi dalla viva voce del nonno; l'altra, attinente all'integrità morale e allo spirito di sacrificio propri dell'Avezzana la cui figura solo un'epoca fertile e feconda di spiriti magni (suo coetanei e amici sono personaggi del calibro di Garibaldi, Mazzini, etc.), ha potuto relegare in secondo piano ("eroe in penombra"); ulteriori riflessioni meritano la generosità e l'abnegazione per l'ideale (la Patria libera) di Giuseppe Avezzana di tanti altri protagonisti che, col senno di poi, commuove davvero in questi tempi grami in cui l'interesse personale la fa da padrona.

    Come non lasciarsi stupire, infine, da una vita, quella del Generale, a tal punto ricca di avvenimenti (e che avvenimenti!), da "riempire" almeno una mezza dozzina di vite "normali"? Proprio per evitare smarrimenti e smottamenti lungo un'esistenza così complessa, preziosa è la guida di Floriana Basso (l'autrice della prefazione) che riesce, con l'essenzialità del tratto sicuro e mai banale, a non farci perdere la rotta nel mare procelloso della vita del Nostro.

    In via esemplificativa e non esaustiva, troviamo l'Avezzana giovanetto già protagonista nella prima campagna di Napoleone (1812-1813). Subito dopo è nella sua Torino, mentre combatte lo "straniero invasor" nei moti del 1821. Giunge quindi in Spagna, sempre schierato a difesa degli ideali liberali. Da qui, vi è l'approdo in Messico e addirittura la fondazione delle città di Tampico (1829). Lo ritroviamo a New York dove sposa la sua prima moglie Mary (in seguito deceduta per una rovinosa caduta da un'altezza considerevole; convolerà a seconde nozze con la cognata più piccola, anch'essa scomparsa prematuramente) che gli donerà una nidiata di figlioletti.

    Il richiamo della derelitta Patria però, è più forte degli affetti, pur monopolizzanti, della famiglia. 

    Parte per l'Italia, ed è già a Genova schierato a sua difesa; quella stessa Genova che sarà costretto ad abbandonare, non prima di averne ringraziato la popolazione con un toccante commiato.

    Un'altra meta italiana lo aspetta: Roma e la sua repubblica, in cui ricoprirà la carica di Ministro della guerra e della difesa. E soprattutto nell'Urbe si solidifica il rapporto di stima e amicizia con Giuseppe Garibaldi; lo stesso Garibaldi che, allorquando da deputato nel 1879 gli fu offerta una corona di lauro per l'anniversario del 30 aprile 1849, la respinse inviandola proprio al nostro Giuseppe Avezzana. 

    Con l' "Eroe dei due mondi", il Generale partecipa alla battaglia del Volturno.

    Schierato alla Sinistra del Parlamento, viene nominato deputato in ben cinque legislature, rappresentando anche il collegio di Capaccio. Una delle sue figlie, Felicita, sposerà il commendatore Francesco La Francesca (che ha ospitato Garibaldi nel suo palazzo di Eboli).

    Il lascito del Generale Giuseppe Avezzana alle future generazioni è uno sprone a battersi sempre, oltre che per la Patria, per gli ideali ancora in grado, malgrado continuamente corrosi da una retorica d'accatto, di giustificare un'esistenza. E in queste memorie, narrate dalla Romano con la musicalità e la ricchezza proprie dell'italiano di fine Ottocento, ne è ben presente l'eco.

giovedì 22 maggio 2025

"Il mondo alla fine del mondo", di Luis Sepulveda (trad. I. Carmignani), Guanda editore

    

    Il Nishin Maru, una nave officina giapponese comandata dal capitanoTanifuji, risulta ufficialmente demolita a Timor. Perchè allora, da un'agenzia giornalistica legata a Greenpeace, arriva un dispaccio che ne attesta la presenza in acque magellaniche? E soprattutto, cosa c'è dietro la denuncia del capitano Tanifuji riguardo alla perdita di ben diciotto uomini dell'equipaggio, oltre a un numero imprecisato di feriti, e a gravi danni riportati dall'imbarcazione?
Il protagonista del romanzo, un giornalista cileno esule dal suo Paese, intuisce che dietro la vicenda del Nishin Maru c'è un retroterra che pur gli appartiene: l'atmosfera dei mari australi che fin da giovanetto, ammaliato dalle atmosfere del Moby Dick di Melville, ha avuto moto di vivere a bordo di una baleniera. 
    Caso vuole che anche adesso, pur lontano dagli approdi dell'adolescenza, si imbatte nelle balene; più precisamente, nella loro caccia indiscriminata da parte proprio del Nishin Maru e del suo equipaggio.
    Grazie al prezioso aiuto della corrispondente Sarita, il Nostro riesce a raccogliere molti elementi utili all'indagine. Ben presto, però, capisce che se vuole davvero impedire la mattanza dei grossi cetacei, deve fare i conti col proprio passato; deve, in altri termini, riappropiarsi delle suggestioni del suo mondo. A bordo di un aereo, allora, torna alle latitudini che gli sono proprie. Qui il capitano Nilssen, a bordo dell'intrepido Finisterre, l'attende per mostrargli un evento che ha dell'incredibile. E sì, perchè ci sono accadimenti che anche le parole più esatte, non hanno il potere di rappresentare in maniera fedele e appropriata.
    Il giornalista cileno, dopo aver toccato le profondità dell'aberrazione relativa alla caccia alle balene (dal risucchio delle acque con tubi che aspirano ogni forma di vita nell'oceano, alle accecanti luci di un elicottero che servono ad attirare i cetacei poco prima di falcidiarli con scariche di mitra), viene portato sul luogo della rivelazione. Una volta qui, è pronto per il racconto prodigioso del capitano Nilssen: la scialuppa del pantugruelico Pedro Chico, socio e sodale del capitano, decideva di opporsi in qualche modo alla mattanza delle balene Calderon da parte del Nishin Maru; da sola, contro lo strapotere della nave officina giapponese. 
    L'Intelligenza delle creature, il loro spirito di giustizia che sa sempre da che parte schierarsi (a fianco dei deboli e degli uomini di buona volontà, contro i prevaricatori e i distruttori della Natura), sentono che è il momento di stabilire connessioni: "obbedendo a un richiamo che nessun altro uomo ha mai sentito in mare, un richiamo così acuto che lacerava i timpani, trenta, cinquanta, cento, una miriade di balene e di delfini nuotarono rapidi fin quasi a toccare la costa, per poi far ritorno ancora più velocemente e sbattere la testa contro la nave". Di contro, la scialuppa di Pedro non solo viene salvaguardata dalle balene, ma addirittura spinta fino al Finisterre, in salvo.
    C'è un "umano" sentire tra gli uomini e la Natura che, anche quando viene rinnegato proprio dall'uomo (usurpatore di accezioni positive!), raffiora travolgente e impetuoso. Almeno lì, nelle distanze incommensurabili del "mondo alla fine del mondo".
      

giovedì 15 maggio 2025

"La storia di Luca-uno qualunque", di Francesco Cozzolino, Edizioni Eresie

    


    Il protagonista Luca, ma potrebbe chiamarsi anche Clara, Vincenzo, Andrea (il paradigma di un'esistenza al macero eppur desiderosa di riscatto), è un giovane con un'indole altruista e curiosa delle cose del mondo. Avrebbe voluto fare lo scienziato con lo stesso trasporto del bambino che, attratto dal puzzo del carburante e dal portafoglio sempre ben rigonfio di banconote, si vede già inguainato nella tuta da benzinaio. 

    Il padre, sopravissuto agli orrori della seconda guerra mondiale, assolve all'ingrato compito genitoriale in maniera silenziosa, prevalentemente con l'esempio: le parole le ha spese per maledire la cupidigia degli uomini e la crudeltà dell'esistenza.

    La giovane mamma, troppo giovane e inesperta, si accontenta di attingere vita, assieme al figlio, dalle esperienze del marito.

    È altruista, Luca. Ha una sua coscienza sociale e uno spirito di osservazione, spesso polemico, che gli consente di "sgamare" i meccanismi scellerati del capitalismo d'accatto. Purtuttavia...    

    La periferia, quella napoletana, è il palcoscenico in cui Luca prova a recitare la sua parte. Ben presto, però, intuisce che la sua dimensione ha bisogno di uno sviluppo altro. E allora, nonostante assai velocemente si renda conto che la sua proiezione nel mondo è deleteria, continua (cupio dissolvi?) a spingersi oltre i confini dell'aberrazione: la camorra, gli aghi sempre più famelici piantati nelle vene, il carcere. E intorno a lui c'è un mondo di caduti, di schegge impazzite che avrebbero voluto far saltare il meccanismo, ma che ben presto ne sono diventati la sostanza lubrificante che lo perpetua all'infinito: Andrea sulla sedie a rotelle dopo l'incidente che ha segnato la morte della sua ragazza, la spigliata Teresa che rischia di fare la fine della mamma, Debora che vede perdersi il suo Luca, Umberto Oliviero, il "pezzente malato di bronchi", Maria e le sue crisi d'astinenza, Caterina Loquace in arte Lola, il tossico Pietro, vittima del suo demone e dell'auto stipata di bionde di contrabbando che deve sfuggire all'ennesima retata. 

    Questa è la dannazione. Ma poi c'è il riscatto: grazie al personale dell'ICATT (Istituto a Custodia Attenuata per il Trattamento delle Tossicodipendenze ) di Eboli, e agli incoraggiamenti e alla disponibilità fattiva dei ragazzi e degli insegnanti del Liceo Classico "E. Perito" di Eboli (presso l'Auditorium del Liceo c'è stata anche una rappresentazione teatrale liberamente ispirata a La storia di Luca), Francesco Cozzolino-Luca ce l'ha fatta: è riuscito, armato del setaccio della tenacia, a filtrare il buono anche da un'esistenza ai margini. Si è rimesso in carreggiata. A riprova del fatto che con la volontà e gli incontri giusti, non esiste il "fine pena mai".

    Buona vita, Francesco-Luca.

mercoledì 7 maggio 2025

10 e non più di 10 #37

    


    Una strega, di quelle accattivanti e sinuose, incontra un contadino nel bosco:

«Farò di te quello che vorrai...» e già il villico si figura mille scenari di onnipotenza «...ma bada bene: contemporaneamente farò due volte la stessa cosa al tuo vicino».

    "Ricchezze per me, ma il doppio per quel porco? Donne per me, ma il doppio per il lestofante? Salute e benessere per me, ma due volte tanto per il figlio di cane che è a un passo da me?"

    Il contadino, allora, pianta gli occhi allucinati sulla strega: 

    «In verità, ho scelto quello che fa per me, il doppio di cui, per tuo espresso volere, verrà concesso al mio vicino. Avvicinati, Magnifica madonna...di più, ancora di più...bene, così: prendimi un occhio. Subito!»

giovedì 1 maggio 2025

"I cento talleri di Kant", di Pietro Emanuele, Adriano Salani editore

   


     La filosofia, si sa, è un sapere che va scandagliato, approfondito per ogni autore e per ciascun argomento. Eppure, massimamente in questo tempo parcellizzato, si può partire da alcuni esempi (cinquanta ne sceglie Pietro Emanuele) che, partendo dal paradosso di Zenone sulla tartaruga e Achille (che infiniti lutti addusse ai liceali), approda a un altro infinito, quello della Biblioteca di Babele di borgesiana memoria "la quale comprende tutti i libri che sono stati scritti sinora e quelli che potenzialmente sono in grado di essere scritti in qualsiasi tempo".

    Il percorso del filosofo siciliano è ovviamente progressivo: nella prima parte, ci sono altri exempla come l'Encomio di Elena di Gorgia da Lentini, il c.d. "dilemma del coccodrillo" corredato dall'immancabile patema d'animo del papà (me lo restituisce o no il mio figliolo?), il celeberrimo asino di Buridano e il Paracelso cinquecentesco, principe dei maghi, con il suo odio contro i mercanti nemici, a suo dire, del benessere e dell'economia.

    Nella seconda parte del libro, Emanuele ci intrattiene, tra l'altro, con il Dio orologiaio creatore dell'armonia universale di Leibniz e con la statua "sensibile" di Condillac

    Per ridicolarizzare i sognatori della Metafisica poi, ecco il riferimento ai cento talleri di Kant di cui una cosa è sognare di averli in tasca, tutt'altra è il trovarseli materialmente in saccoccia. E dove lo mettiamo il teschio di Amleto che impauriva Hegel (l'essere dello spirito è un osso)?

    La parte terza prende le mosse dall'uomo che scivola e cade di Bergson per poi intrattenersi sulle scarpe sudate della contadina di Heidegger (l'angoscia che, checchè ne dirà poi Croce, penetra addirittura nella suola delle scarpe). C'è spazio pure per l'altra faccia della Luna e per la teoria della verificazione di Moritz Schlick oltrechè per l'arto fantasma che irradia una diabolica percezione di presenza di Maurice Merleau-Ponty.

    Questo, e tanto altro, è presente nel libro edificante di Pietro Emanuele che attraverso gli esempi, scorciatoie per giungere ai concetti senza troppa fatica, squaderna davanti ai nostri occhi un flusso di sapere in cui è una goduria immergersi (sia pure solo per i pochi secondi di cinquanta esempi).

giovedì 24 aprile 2025

10 e non più di 10 #36

     


    La scarpetta le calzava a pennello (...). Era evidente che la scarpetta apparteneva a Cenerentola...

    "...e che avrà avuto un numero di piede 45 o, per converso, 25, per essere attribuita senza tema di smentita a Cenerentola?"

    Seguendo l'istinto, si chinò sulla principessa e le diede un bacio sulle labbra. (...) - Chi siete? Come avete fatto a trovarmi?

    "Certo, dopo aver schiacciato un pisolino lungo un secolo, l'alito della principessa avrà odorato di roselline fresche!"

    Basta: gli anni scontano un inacidito disincanto.

    E allora i ciucci riprendono a volare, le fate a districarsi tra mille incantesimi, la zucca ad acconciarsi a carrozza "de luxe". 



giovedì 17 aprile 2025

"Il Congresso di Vienna 1814-1815" di Guglielmo Ferrero (ed. Corbaccio)

    


     Il Congresso di Vienna viene visto, dall'insigne storico antifascista Guglielmo Ferrero, come la ricostruzione dell'ordine prestabilito dopo l'ubriacatura rivoluzionaria che ha sconquassato l'Europa.

    Tre uomini più di tutti, ognuno a suo modo "bizarro ed enigmatico", hanno liberato la Storia dall'impasse in cui era sprofondata: Alessandro I, zar di Russia, Charles Maurice Talleyrand de Perigord, Luigi XVIII, re di Francia.

    Lo zar Alessandro ha preso l'iniziativa nel 1812. 

    Appena trentacinquenne, Alessandro I capisce che la sua vittoria in patria non avrà alcun valore e che anzi sarà il principio di una guerra senza fine, se non riuscirà a ricostruire il sistema europeo. Tutto giusto, ma ricostruirlo con chi? Innanzitutto con il protagonista dell'intera opera di Ferrero, quel Charles Maurice Talleyrand de Perigord, il grande "irregolare" che aveva sempre servito la Rivoluzione e lo spirito d'avventura ma che era sostanzialmente un epigono (a sua insaputa?) della Ricostruzione. E questo fin da quando, a venticinque anni, a causa di un "piede difettoso", dovette subire la vestizione "suggeritagli" dall'influente famiglia. 

    Con la sua spiccata intelligenza, avrebbe potuto diventare in pochi anni arcivescovo di Parigi. E invece Talleyrand, nove anni dopo, per la sua vita volutamente scandalosa e ribelle alla gerarchia ecclesiastica, è ancora abate. Poi, certo, riesce a diventare vescovo "per segnalazione", ma quasi a voler mettere subito le cose in chiaro, prende moglie nonostante la carica ricoperta. Naturale, quindi, la simpatia per uno spirito ribelle come Napoleone: è stato infatti dapprima ministro del Direttorio, poi del Consolato, infine dell'Impero. Eppure, quando la ragion di Stato lo ha richiesto, non ha esitato a tradire Bonaparte. Tradimento, quest'ultimo, che la posterità non gli ha ancora perdonato, sebbene con questo voltafaccia Talleyrand ha salvato tutta l'Europa, Francia compresa.

    La verità, intuita ben presto dal vescovo che ha rinnegato la Chiesa non appena ha potuto, è che "per ristabilire l'ordine e la pace in Europa bisognava far cessare la gran paura; cioè sostituire alle usurpazioni i governi legittimi", avendo come principio ispiratore quello della legittimità: gli stati sopravvivono solo quando la trasmissione del potere avviene secondo regole collaudate dal tempo e legittimate dalla maggior parte dei cittadini.

    Il terzo personaggio senza il quale gli incastri (più o meno riusciti) del Congresso di Vienna non si sarebbero verificati, è sicuramente Luigi XVIII, re di Francia, chiamato dal suo esilio, che solo poteva far la pace perchè i francesi riconoscevano ancora la sua autorità, il suo potere.

    Il Congresso di Vienna (proverbiale anche per i suoi balli sontuosi e per le relazioni d'alto rango intessute durante il suo svolgimento), secondo Ferrero, non è stato il "concilio ecumenico dell'assolutismo europeo", bensì un gran successo. Certo, "non tutte le soluzioni che esso ha dato ai grandi problemi posti dalla Rivoluzione sono state buone. Alcune sono mediocri e hanno posto nuovi problemi" (ad es. l'Italia e la Germania) ma ha liberato l'Europa dalla grande paura.

    E tanto basta per confutare il giudizio poco lusinghiero che normalmente si dà del Congresso di Vienna.  

 

venerdì 11 aprile 2025

10 e non più di 10 #35

     


    «Con la canzone "Arie", scritta da Autuori-Baldi-Brancaccio-Caccavale-Cernicchiara-De Leo-Della Corte-Di Stasi-Esposito-Farina-Lanzetti-Sacco-Vuolo, cantano gli Equanimi».

    Incuriosito dalla selva di autori, mi procuro il testo della canzone: 30 parole e 12 di ritornello (ripetuto ben 5 volte). 

    30+12=42 parole.

    Gli autori sono 13. Quindi 42 parole/13 autori=3,23 parole ad autore.

    Se il nome di battaglia del gruppo (gli Equanimi) ha un senso, ogni autore ha contribuito proprio con 3,23 parole. 

    Magari un verbo e un paio di pronomi personali a testa.

    E lo 0,23 periodico? Basandomi sul titolo "Arie", ne presagisco la flatulenza.



giovedì 3 aprile 2025

"Garibaldi", di Denis Mack Smith (Mondadori)

    


    Quello che ermerge da questo libro, è il ritratto a tutto tondo di un essere "stra-ordinario". 

    Garibaldi marinaio innanzitutto, ma anche uomo dalle mille risorse e dai cento mestieri. Sempre a fianco (non di rado troppo ingenuamente) dell'ennesima parte di mondo implorante libertà e indipendenza, dal piccolo Rio Grande contro l'impero brasiliano, passando per l'Uruguay contro il generale argentino Rosas. E sì perchè per il nostro Peppino non c'è confine che tenga: qualsiasi lembo di terra che cerchi libertà, troverà, se lo vorrà, la sua spada pronta a difenderlo. E se anche la sua prediletta patria, alla quale ha immolato l'intera vita, dovesse sopprimere l'anelito di giustizia di un altro popolo, ebbene Garibaldi non avrebbe alcun dubbio: si schiererebbe addirittura contro il suo Paese, quasi senza battere ciglio.

    Quest'opera ben documentata, ci mostra Garibaldi intimamente repubblicano che, pur di "fare l'Italia", è pronto a sposare la causa sabauda. E il rapporto con Vittorio Emanuele, tranne che nell'ultimo periodo in cui il Nostro si sentirà tradito un po' da tutti (mai dal "proletariato" e dagli oppressi, però), sarà imperniato su una non scontata fiducia reciproca. D'altronde, uno come Garibaldi disposto anche a farsi usare (più o meno coscientemente) pur di raggiungere l'unità nazionale, fa estremamente comodo: se si vince, è merito del re; in caso di sconfitta, la colpa è di quell'estremista del nizzardo.

    Manco a dirlo, i rapporti con Camillo Benso Conte di Cavour sono ben più problematici: troppo distanti e incompatibili i caratteri tra i due uomini, così come estremamente diversi i sentimenti che li animano. Da una parte le sottigliezze e gli arzigogolii della politica, dall'altra le irruenze e le generosità dell'uomo del popolo. Per sottacere i rapporti con l'algido Mazzini, passati da un'entusiastica ammirazione a una sopportazione assai difficile.

    Poco tattico, indisciplinato, mediocre stratega, ma quando si tratta di puntare sulla velocità e sull'intuizione che esala dalla polvere dei campi (di battaglia), allorchè occorre virare sulla guerriglia anzichè sulle truppe schierate; e ancora, nell'attimo stesso in cui si è irrimediabilmente in minoranza e tutto sembra drammaticamente votato alla sconfitta, allora Garibaldi dà il meglio di sè, capace di vincere le battaglie anche prostrato dall'artrite che non gli dà requie.

    Idolatrato dalle folle, specie quelle più derelitte (ma non solo: si pensi all'accoglienza in Inghilterra da parte di oltre 500.000 persone), santificato già in vita (si specano le preghiere a Garibaldi e il numero di bambini che gli vengono protesi affinchè lui li battezzi), anticlericale convinto (propugnatore di una nuova religione), il Nostro non perde occasione anche di mostrarsi agricoltore: quando le vicende politiche lo disgustano (la qual cosa accade assai di frequente), ci sarà sempre la sua ostinata Caprera ad accoglierlo.

    Verso la fine dei suoi anni, Garibaldi, dopo essersi preso il gusto di accorrere a difesa della Francia ("ma di tutti i generali francesi Garibaldi è il solo che non sia stato sconfitto" - Victor Hugo), matura una concezione dittariale fintanto che la nazione non sarà di nuovo pronta per la repubblica. E come un dittatore dell'antica Roma allestisce la pira funebre, lì a Caprera. 

    Ancora una volta, però, la politica degli intrallazzi ha bisogno di capitalizzare il fenomeno Garibaldi: niente pira e funerali in pompa magna, a dispetto delle ultime volontà del Nostro.

    Di una genorosità estrema, disinteressato (tutte le testimonianze, pure dei suoi più acerrimi avversari, concordano sulla sua incorruttibilità), di una fibra assai forte che gli permetteva di resistere alle condizioni più estreme, Garibaldi ha da sempre popolato il mio immaginario. Dopo aver letto anche quest'opera sull'eroe nazionale, ancor di più.

    

giovedì 27 marzo 2025

"Io sono l'abisso", di Donato Carrisi, Tea edizioni

    



    Le acque limacciose del lago sono una presenza costante e inquietante in questa storia.
    C'è chi, come la "cacciatrice di mosche", ci ha provato ad allontanarsene, ma il richiamo torbido delle acque lacustri non tollera distanze; c'è poi la leggenda che vuole confinati nei suoi abissi furgoni portavalori con tutto il carico di soldi e di agenti vittime di rapina; infine, c'è un braccio "singolare" che viene ripescato dal lago e una ragazzina, appena adolescente, che cerca nelle sue lusinghe (mortifere) requie da un presente annichilente. A questo proposito, "L'uomo che pulisce", ostaggio di un passato squallido che lo segnerà (anche fisicamente) per tutta la vita, inaspettatamente decide che non può starsene a guardare. Lui che ha imparato a nuotare nella piscina fetida in cui la mamma l'ha spinto dopo avergli bucato i braccioli, porta in salvo la ragazzina.
    Improvvisamente, l' uomo che pulisce" rinuncia alla sua invisibilità. Perchè?
    Cosa penserà di questo cambiamento l'alter ego Micky che se ne sta dietro ogni porta verde della sua esistenza, pronto ancora a tiranneggiarlo e a punirlo? E ciò fin da quando, da piccolo, ha stretto la testa dell' "uomo che pulisce" in una morsa e gli ha lasciato due cicatrici sul capo a mo' di cerniere. 
    E la volta in cui Micky, sempre lui, gli ha maciullato ogni dente per ciascun sbaglio commesso, perchè la mamma Vera non si è ribellata, perchè non ha protetto il suo piccolino che in futuro avrebbe pulito? E se l' "uomo che pulisce" se lo porta ancora dietro, Micky, fino a sdoppiarsi in due personalità diverse e, per certi versi, antitetiche?
    Micky, però, gli fa comodo. È lui che gli impone periodicamente di mettersi in azione. E così dopo che, attraverso l'esame dei rifiuti, l' "uomo che pulisce" analizza le abitudini dell'attenzionata di turno (tutte bionde, di un'età vicina a quella di Vera), lascia la scena a Micky. 
    La "cacciatrice di mosche" ha già fiutato la pista. Intuisce, ancora prima di sapere, che dietro le sparizioni di alcune donne c'è un abisso (l'abisso!) di perversione e di abbandono. Ma lei, con il cuore straziato da Diego dietro le sbarre e il fantasma di Valentina sventrata sul letto degli avi, è l'unica in grado di arrivarci fino in fondo, in quell'abisso. E di provare, assieme alla tormentata Pamela, a evitare che possa inghiottire l'ennesima vita.
Per far questo, però, la "cacciatrice di mosche" dev'essere disposta a rivivere l'esperienza traumatizzante del male del mondo. Almeno fino a quando ci sarà l'ennesimo bambino a cui sarà negata ogni infanzia; l'ennesimo bambino a cui sarà permesso di diventare, nello stesso momento e nella stessa anima, "l'uomo che pulisce" e Micky, lo strumento e la mente della perversione. In definitiva, si sa: la mamma può amare, e solitamente lo fa. Ma non appena si discosta da questo sentimento assorbente, le è preclusa qualsiasi indifferenza, ogni sentimento neutro.
    Una mamma o ama o odia. Non c'è alternativa che tenga.
    Poche volte mi sono imbattuto in un libro che mi ha lasciato un senso di angoscia dalla prima all'ultima pagina come questo. Ma è un'angoscia lucida, propria delle grandi opere scandaglio di una realtà altra. Disperante. Eppur presente.

venerdì 21 marzo 2025

10 e non più di 10 #34

    



    Un musicista di una banda musicale, anche della più scalcagnata.

    Un sommesso clarinetto con le chiavi al sole

    che marcia tra chierichetti annoiati e santi distratti.

    Le gote a stantuffo che insufflano aria

    per ingrossare note evocate dallo strumento.

    Dita che chiudono, spingono e sollevano

    con passi che si accordano alle pause

    e pensieri a cavacecio sulle arie.

    La stilla che infiamma il sopracciglio

    e la mosca a mo' di moscerino in valzer.

giovedì 13 marzo 2025

"Sua Eccellenza perde un pezzo", di Andrea Vitali (Garzanti edizioni)

    


    Soave Inticchi, segretario del sindacato dei panettieri di Como, vuole organizzare una gita in battello in quel di Bellano. L'occasione è la celebrazione dell'anniversario della fondazione di Roma.

    Manco a dirlo, basta quest'evento, apparentemente insignificante, a innescare una serie di dinamiche dagli esiti spiazzanti.

    Procediamo con ordine: Gualtiero Scaccola (e in seguito anche suo fratello Venerando), ribellandosi all'insegnamento paterno impartito a forza di calci nel culo, esce finalmente dalla sua panetteria e si getta "nel gomitolo di strade" del paese. E per la prima volta i suoi sensi vengono accesi dalla esternalità in fiore. A sublimazione di questa esperienza sconvolgente, s'imbatte alfine nella Garbati Venturina, e quindi nelle lusinghe dell'amore.

    Il podestà Mongatti capisce che la gita dei panettieri, se ben organizzata, può lavare l'onta di una Bellano tiepida, se non indifferente, alle suggestioni fasciste. E ciò almeno agli occhi del Federale Gariboldo Funicolati, personalità di spicco prontamente invitata all'evento.

    Il maresciallo Ernesto Maccadò, tra una giornata in famiglia sul lago necessariamente rimandata (per la felicità della signora Maristella) e la preoccupazione (più o meno fondata) per gli ormoni del carabiniere Beola, si trova ben presto a presenziare alla cerimonia e a rifiutare categoricamente la sua opera e quella dei suoi uomini: e sì perchè, passi il servizio d'ordine necessario a rintuzzare eventuali intemperanze della folla, ma la ricerca prima e la consegna poi addirittura di una dentiera...ebbene, questo proprio no.    

    E già, il cavallo di Troia che sconvolge i piani un po' di tutti, e addirittura fa calare un velo di pesantissimo silenzio su quella giornata che avrebbe dovuto essere memorabile, è proprio la protesi dentaria dell'impettito Federale.

    A sgaiattolare via dalla bocca di Sua Eccellenza, è sgaiattolata, non ci sono dubbi. L'hanno vista tutti, e soprattutto tutti hanno potuto verificare la bocca a culo di gaddrina del Federale ormai edentulo. Ma, ed è qui il mistero, dove sarà caduta? E soprattutto, chi l'ha trovata? E se il Federale dà ordine di rintracciarla a tutti i costi e sua moglie, invece, si raccomanda di non consegnarla anche qualora venisse ritrovata?

    La mattina, d'altronde, era iniziata col piede sbagliato: quello destro del podestà che, mentre si dirigeva alla messa grande con signora al seguito (preziosa, quest'ultima, con la lettura della Primula Rossa), aveva pestato una generosa merda. Eppure sarebbe bastato andarci con l'altro piede, quello sinistro nella cacca, per meritarsi una fortuna che avrebbe dato un corso diverso agli eventi.

    Poco male: Bellano, con la breva che accarezza le frange del lago, ancora una volta si fa incubatore fatato di una miriade di piccole, edificanti storie; prontamente raccolte, manco a dirlo, dalla magistrale penna di Andrea Vitali.

    "Abbiamo smesso di contare le volte in cui Andrea Vitali ha centrato il bersaglio incatenando il lettore ai suoi personaggi" (Bruno Gambarotta-La Stampa)

    

giovedì 6 marzo 2025

"Il Maestro e Margherita", di Michail Bulgakov (trad. Vera Dridso), Einaudi

   


     In un caldo tramonto primaverile, agli stagni Patriarsie, il direttore del MASSOLIT Bernioz rampogna il giovane poeta Ivan Nikolaevic: il poema antireligioso che gli ha commissionato non lo soddisfa per niente. E sì perchè Nikolaevic avrebbe dovuto provare l'inesistenza di Gesù piuttosto che limitarsi a dipingerlo a tinte molto fosche.

    A rubare la scena ben presto ci pensa un forestiero. Si intromette nella discussione con delle osservazioni strampalate sull'ateismo, sulle parole scambiate a colazione addirittura con Kant (siamo nella Russia di Stalin!) e sul fatto che lui c'era quando Ponzio Pilato interrogava il Messia e poi lo abbandonava alla sua sorte.

    Il direttore e il poeta concludono di trovarsi al cospetto di un pazzo, vieppiù quando Woland (questo è il nome dello sciroccato straniero), nel sottolineare che l'uomo non è in grado nemmeno di rispondere del proprio domani, aggiunge mellifluo, rivolto a Berlioz: "magari uno ha deciso di andare a Kislovodsk", Annuska però versa inaspettatamente dell'olio di girasole per terra. Il tizio in questione, allora, scivola, va a finire sotto al tram e viene inavvertitamente decollato.

    Ebbene quando, qualche ora dopo, il direttore decide di recarsi proprio a Kislovodsk, con tutti gli annessi e connessi anticipati dal losco figuro, non c'è altra strada che invocare le arti magiche o quelle diaboliche. Il diavolo, per l'appunto, accompagnato dai suoi improbabili compari, tra cui lo spassosissimo Behemoth (un gattone pantagruelico, capace di assumere tranquillamente la posizione eretta e di parlare).

    Woland e i suoi accoliti, allora, occupano la casa del defunto Berlioz, nella famigerata via Sadovaja, numero 50 (ancora adesso meta di pellegrinaggio per i lettori di Bulgakov).

    Il demonio (una trasfigurazione dell'onnipotente Stalin?) ne ha per tutti: per i burocrati corrotti, per il Teatro (in cui lo stesso autore ha lavorato e presentato opere) e la letteratura infarciti di pseudo, mediocri intellettuali, per le manie piccolo-borghesi del ceto medio russo.

    A un certo punto irrompe sulla scena l'amore salvifico di Margherita (pure lei irretita da Woland) verso il Maestro autore di un manoscritto su Ponzio Pilato (di nuovo la figura del procuratore della Giudea a cui sono dedicati brani di un pathos struggente) bruciato sull'altare dell'incompresione letteraria. Eppure, tra sabba infernali alla ricerca di una logica nell'illogicità delle nostre vite, tra donne coraggiose che si "instregano" e brutti ceffi vogliosi di essere innervati dall'ultimo (dannato) anelito di vita, il manoscritto del Professore riappare: i manoscritti, come sardonicamente chiosa il grande Woland, non muiono mai.

    Alle anguste menti dei piccoli uomini, non restano che le pareti bianche e asettiche dell'ennesimo manicomio (o catartica follia!) in cui provare a spiegarsi l'inspiegabile.

    «Dunque tu chi sei?»

    «Una parte di quella forza che vuole costantemente il Male e opera costantemente il Bene». (Goethe, Faust)



giovedì 27 febbraio 2025

10 e non più di 10 #33

 


Riviera d'Acheronte,

suppurazione di piaghe recrudescenti.

Litorale di sbobba ematica,

culla infanticida di sogni d'accatto.

Torri, casinò, Trump tower,

vessilli paralitici al pneuma vitale.

Il Leviatano di Bitcoin, 

la Bestia sulfurea dal piede caprino, 

semente dannata del frutto marcito.

Riviera di Gaza, intelligenza tumorale.



 

giovedì 20 febbraio 2025

"L'ipotesi del male", di Donato Carrisi, TEA edizioni

   


     Nel Limbo, la stanza 13 dell'obitorio di Stato, c'è il girone dei passi perduti dietro a un corpo improvvisamente scomparso.

    Dopo l'inquietante vicenda de Il Suggeritore, l'agente Mila Vasquez si è rintanata proprio nel Limbo, alla ricerca di una via di fuga dai propri demoni; presenze oscure e inquietanti, queste ultime, sempre pronte a esigere il contributo di tagli e lacerazioni che possano certificare la natura altra di Mila (Tu sei sua. Tu gli appartieni...).

    Eppure là fuori per il mondo, gli scomparsi sembrano essere ritornati; stavolta, però, per rimettere in qualche modo le cose al loro posto, secondo una logica del tutto singolare.

    Come un annichilente gioco dell'oca, si riparte dal Signore della Buonanotte, il regista occulto di una serie di sparizioni che si sono verificate negli anni addietro. E i punti di contatto tra gli scomparsi (condizioni di vita difficili, il sonnifero onnipresente un attimo prima di ogni "evaporazione", la camera 317 dell'Ambrus Hotel) sembrano riemergere dalle secche di un passato che troppo presto si è voluto dimenticare; anche, e forse soprattutto, da parte delle forze dell'ordine.

    Perchè?

    Frattanto la telecamera nascosta nella cameretta di Alice, se da un lato infonde a Mila un senso di sicurezza, dall'altro la interroga continuamente sulla sua corrotta maternità. E ci sono delle inadeguatezze che fanno avvertire il loro peso anche sulle indagini che l'agente sta portando avanti: che madre sarei se non conoscessi il nome della bambola preferita di mia figlia?

    Per l'appunto.

   Dopo l'ennesimo ritorno di persone inghiottite dal passato e risputate nell'attualità, Mila capisce di aver bisogno di lui: dell'agente Simon Berish, il reietto della polizia, che possiede le capacità e il bagaglio di esperienze giusto per dare un senso agli ultimi, onirici avvenimenti; e soprattutto per svelare chi si celi dietro il Signore della Buonanotte, o Kaiurus che dir si voglia.

    Per scoprirlo, occorrerà scendere negli inferi di una realtà parallela dove nulla è come sembra. E soprattutto, in una dimensione in cui sintonizzarsi sulle ataviche frequenze dell'ipotesi del male: il male compiuto per giungere a un bene che, a sua volta, genera inevitabilmente un altro male. Fino alla fine dei tempi e a una problematica redenzione. 

   

 



venerdì 14 febbraio 2025

10 e non più di 10 #32



    Fin da troppo lontano, apre la macchina col telecomando.
    Un automobilista, colto il doppio bagliore salvifico, attende.
    Il proprietario dell'auto parcheggiata rallenta il passo. Si accuccia a legarsi le scarpe. Sale a bordo con la vivacità del bradipo.
    Evidenti gesti d'insofferenza dall'autista in attesa del posto, improperi da quell'altro appena più dietro, clacson a tutto spiano dalla coda della colonna.
    Il proprietario dell'auto parcheggiata si aggiusta lo specchietto retrovisore. Prende qualcosa dal portaoggetti. Si sporge dal finestrino e fa segno di no: «Aspetto mia moglie».
    La macchina in snervante attesa gli rovina addosso. Applausi a prescindere.

venerdì 7 febbraio 2025

"Il pittore di battaglie", di Arturo Pèrez-Reverte, Tropea edizioni (trad. R. Bovaia)

    


     In una torre di guardia abbarbicata sulla scogliera del Mediterraneo, l'ex fotoreporter di guerra Falques decide di averne abbastanza. Nonostante i trent'anni di professione sempre in prima linea, tra messe a fuoco, velocità di otturazione e diaframma, la fotografia non è in grado di dire più niente.

     Le "agghiaccianti simmetrie" degli scenari di guerra, da quelle dell'antichità fino a quelle dei giorni nostri, parlano un linguaggio che  l'obiettivo (necessariamente parziale) della macchina fotografica non riesce a cogliere nè a decifrare. Falques, allora, ricorre alla pittura: un affresco circolare lungo tutte le pareti della torre, in cui rappresentare il metodo e le nascoste nervature di ogni conflitto, di ciascun cataclisma.

    Chi l'ha detto, infatti, che le battaglie sono governate dal caos?
    Ritiratosi in una edificante solitudine, l'ex fotoreporter dipinge anche per dare consistenza agli spettri che hanno incrociato la sua esistenza. Tra i tanti, quello di Olvido Ferrara, la donna che un giorno ha deciso di seguirlo, lasciandosi dietro una vita di agi e di passerelle; la parte bella della sua anima che Falques, in una foto che non ha mai pubblicato, ha immortolato un secondo dopo l'esplosione della mina. Avrebbe forse potuto salvarla, ma Olvido ormai era già inesorabilmente lontana da lui. Come e perchè sopravviverle, sapendola magari felice con un altro?
    Dalle nebbie del passato riemerge Ivo Markovic. L'ex militare croato, la cui immagine in ritirata è stata catturata dall'obiettivo famelico di Falques, è venuto fin sulla torre per vedere, per capire, ma soprattutto per vendicarsi: con quella sua foto finita sui giornali, il pittore di battaglie gli ha indirettamente rovinato la vita; quella stessa vita che dopo la vicenda familiare occorsagli, ha investito unicamente nella sua ricerca. 
    Frattanto, l'inquietante affresco continua a impegnare le giornate di Falques, intervallate dalle discussioni e dal confronto con l'ospite inatteso. Eppure l'ex fotoreporter capisce, anche attraverso le riflessioni di Markovic, che non occorre affannarsi oltre: non c'è infatti, bisogno, di dipingere tutte le pareti della torre, perchè il senso della precarietà umana, le proiezioni e gli stilemi di ogni tragedia del mondo, sono già racchiusi nel lavoro portato avanti da Falques.
    Passano i giorni e Markovic si fa persuaso di una indiscutibile verità: non si può togliere il fio a chi è sostanzialmente un sopravvissuto.
    A Falques non resta altro, allora, che piazzarsi la moneta di Caronte  sotto la lingua, e nuotare verso la fine che gli è stata già assegnata.
    Dell'affresco, già crepato, si conserverà quello che il tempo deciderà di conservare.
    Quando (...) il lettore chiude il libro, si ritrova diverso, con il cuore gonfio, ma forse più pronto a vivere con intensità i suoi pochi minuti, ad attraversare con dignità l'indifferenza dell'Universo che lo circonda. (Bruno Arpaia, Il Sole 24 Ore)

venerdì 31 gennaio 2025

10 e non più di 10 #31

     



        Il senso d'inquietudine reclama soddisfazione.

        Ritorno nella sala della conferenza stampa.

        Ormai è del tutto vuota.

        Mi siedo di nuovo sulla poltrona avveniristica.

        Non prima di piazzare uno specchio a grandezza d'uomo di fronte.

        L'immagine riflessa è quella di una parete stipata di sponsor.

        Il tavolo, affastellato di marche e inserzioni pubblicitarie.

        Su di esso, l'ultimo ritrovato della scarpetta di tendenza.

        Concentro lo sguardo sul me stesso che mi rimanda lo specchio.

    Il mio prezzo, qual è?

   

giovedì 23 gennaio 2025

"Oscura e celeste", di Marco Malvaldi, Giunti editore

     


      Firenze, 1631. Il sagace Galileo Galilei, ormai giunto a un'età non più verde e con la vista che continua a perdere colpi, è in attesa di veder pubblicato il suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Opera, quest'ultima, scritta in volgare per raggiungere il maggior numero di persone possibile: la scoperta che è il Sole al centro dell'universo e non la boria "aristotelica" del Santo Uffizio, deve avere vasta eco.

    La peste che dilaga sconsiglia gli spostamenti e lo scienziato ne approfitta: riesce a ottenere di stampare il Dialogo in città anzichè a Roma eludendo, così, i cavillosi controlli dell'Inquisizione. C'è un solo problema. Poichè la sua scrittura è alquanto incomprensibile, vi è la necessità di far ricopiare l'opera, prima di portarla dal tipografo, da persona fidata e soprattutto con una grafia aggraziata. E chi meglio di suor Maria Celeste, al secolo Virginia Galilei (sua figlia), potrebbe assolvere al compito? Certamente non suor Arcangela, l'altra figlia di Galileo parimenti rinchiusa nel convento di San Matteo in Arcetri, che a differenza della sorella e collega, ha preso i voti senza averne punto voglia.

    Eppure sul convento di San Matteo circolano voci poco edificanti che ci mettono un "biz" ad arrivare alle orecchie del Granduca Ferdinando: alcune sorelle, il cui lume resta acceso troppo a lungo durante la notte, "riceverebbero", i conti del convento, già miseri di per sè, non si riuscirebbero a far quadrare, e via di questo passo; fino a quando, del tutto inopinatamente, ci scappa il morto: suor Agnese, assai versata nelle scienze e di un'intelligenza fuor del comune, cade da una finestra. Caduta accidentale, suicidio od omicidio ad opera di qualcuno che l'ha spinta perchè è andata troppo oltre? E se sì, troppo oltre in quale campo?

    Il Granduca ci vuole vedere chiaro. Investe così Niccolò Cini, canonico della Chiesa metropolitana di Firenze e discepolo di Galilei, dell'ingrato compito di far luce sulla morte della suora. Manco a dirlo, lo scienziato-filosofo accompagnerà il canonico nei suoi interrogatori e, soprattutto, sarà lui che grazie all'acume e a una perspicacia proverbiali, scoprirà colpevole e movente. Perchè...come la luna ha una parte oscura, allo stesso modo l'animo umano ha degli abissi inesplorati di cupidigia e invidia difficilmente eguagliabili.

    Torna in azione il lungimirante Galilei di Marco Malvaldi, contornato da alcune figure (una per tutte, la domestica Piera..."la relazione di Galileo con la Piera era semplice: gli era impossibile stare senza la Piera, gli era impossibile stare con la Piera") di una vivacità spassosa.

venerdì 17 gennaio 2025

10 e non più di 10 #30

     


 

        Emilio è un meccanico che si limita al suo compito.

        Deve aggiustare il motore? E allora non gli interessa farsi un'idea del proprietario dell'auto.

        Piero viene la prima volta da Emilio. Un guasto.

        «Ma non ha mai sentito un rumorino...?» «No, mai».

        Piero ritorna. Un altro guasto.

        «Rumori mentre guidava?» «Niente».

        Piero è in officina per la terza volta.

        Emilio non gli chiede niente. Completa il suo intervento.

        La prova in strada, stavolta, la farà lui. Entra nell'abitacolo e il volume dello stereo gli sferza i timpani.

        La voce del motore è zittita dalla cagnara di suoni. Brutta e dannosa musica.

venerdì 10 gennaio 2025

"La bilioteca dei morti", di Glenn Cooper (trad. G.P. Gasperi), edizioni TEA

     


     Alcune cartoline con una data e una piccola bara vengono spedite a diverse persone. Sicuramente uno scherzo di cattivo gusto, e come tale archiviabile nel registro dell'irrilevanza, se non fosse che i destinatari muoiono proprio nel giorno indicato nella cartolina.

    Un serial killer, certo. Ma allora perchè non c'è alcun collegamento tra le vittime? E soprattutto, perchè ci sono delle morti che sembrano del tutto naturali? E sì perchè se l'omicida può uccidere nella data indicata nella cartolina, come la mettiamo con le morti non ascrivibili a nessuno e purtuttavia avvenute nel giorno previsto?

    Will Piper, il prototipo dell'agente FBI (piacente, dannato e politicamente scorretto), si vede del tutto casualmente investito del caso. Ad aiutarlo, la giovane Nancy la cui personalità viene in rilievo per contrasto con quella di Will. E si sa, ci sono degli ambiti in cui le incomgruenze sono materiali fertili e fecondi.

    Nonostante gli sforzi investigativi, le morti si ostinano a rispettare la data delle cartoline, senza che "Doomsday" (così viene ribattezzato dalla stampa il serial killer) possa temere alcunchè. Eppure basterebbe scandagliare i fondali più a portata di mano e non farsi ingolosire dagli allettanti esotismi.

    Tutto ruota intorno a una intelligenza logico-matematica fuori dal comune e all'inettitudine a vivere la praticità delle miserie quotidiane. Ma non basta. C'è un segreto che pochissimi uomini conoscono. Un mistero che viene alimentato nella proverbiale Area 51 che solo per la vulgata comune avrebbe a che fare con presenze aliene. Di cosa si tratta? Di una storia che inizia nel 782 a.C. in un'abbazia sull'isola di Vectis (Inghilterra), in cui il piccolo Octavus, settimo figlio di un altro settimo figlio (e il luciferino è dietro l'angolo), improvvisamente prende a incolonnare serie sterminate di nomi affiancati da numeri. Piccolo particolare: Octavus non ha mai imparato a scrivere!

    Questa vicenda persa nella notte dei tempi viene a incrociarsi, attraverso mirabili eventi e sommovimenti tellurici, con la faccenda delle cartoline che anticipano morti.

    La biblioteca è nell'Area 51, c'è bisogno solo di un'intelligenza che la porti fuori e ne sfrutti l'enorme potenziale.

    Se, per assurdo, una società assicurativa venisse a conoscenza in anticipo della data della dipartita dei futuri assicurati, come si comporterebbe? La cosa certa è che moltiplicherebbe i propri dividendi. E senza che ci fosse un serial killer a rispettare scadenze indicate su una macabra cartolina. Perchè il punto è proprio questo: si può monetizzare la morte pur non essendone l'artefice.

    Libro di contaminazioni, questo La biblioteca dei morti, che intreccia la sua trama su elementi originali e ben congegnati.