martedì 31 dicembre 2024

10 e non più di 10 #29

      


    Al tempo di risulta dal lavoro o dalla famiglia,

a quello che è insensibile alla brama del profitto.

    Al tempo che è ontologicamente perso,

ma che è guadagno inestimabile per la sete di conoscenza.

    Al tempo che non può che essere rubato,

e per ciò stesso intriso dal piacere del proibito.

    Al tempo che sbiadisce il Black del Friday,

e che rifocilla la meraviglia del fanciullino.

    Al tempo eterno delle passioni,

che depura il presente che ci è toccato in sorte.

 

 

giovedì 19 dicembre 2024

"Tracce dal silenzio-Le visioni di Nina/1", di Lorenza Ghinelli, Marsilio edizioni




È un microcosmo, questo di Nina e Alfredo, intessuto da un equilibrio familiare precario: dopo l'incidente d'auto che ha causato la sordità di Nina (solo grazie all'audioprocessore la piccolina riesce a sentire), Sara si è allontanata dal marito. La verità è che lo considera corresponsabile del sinistro che si rivelerà così impattante per la sua bambina. Tuttavia il nido ha bisogno di apparire integro.
E se, nonostante tutto, lo fosse davvero?

Al di fuori del perimetro familiare, vi è un omicidio efferato che pretende spiegazioni. Spiegazioni che Nina, suo malgrado, è in grado di dare: la notte dell'omicidio, pur priva di audiprocessore, ha sentito una canzone irradiata dal videocitofono di casa. Più tardi scoprirà che si tratta di Ma le gambe del Trio Lescano
Alla musica fa da corredo un'immagine: un uomo claudicante con la barba sudicia si aggira appena fuori. Si rivelerà, grazie alla testimonianza di un altro ragazzo che ce la farà a salvarsi, l'assassino che ha messo in scena il barbaro rituale (lo sgozzamento della vittima di turno accompagnato dal taglio di un dito puntualmente asportato).
Frattanto Nina stringe amicizia con la nuova vicina Rebecca, una vecchia verso cui si sente istintivamente attratta. Le occasioni per cementare questa amicizia non mancano. E proprio in una di queste occasioni, mentre si trova a casa sua per preparare un dolce, Nina intuisce che quella casa cova inquietanti segreti.
Un passato che interseca il presente della vicina al punto da non poterne più essere separato. Ed è un passato di una terribile violenza che impone una sempiterna condanna.
Alfredo, il fratello di Nina, decide di vederci chiaro: con l'aiuto dell'indomita Rasha e della bella Nur (toccanti le pagine sul dramma dell'immigrazione che le due ragazzine hanno vissuto), localizza le casa dell'Orco. 
C'è solo un problema: adesso Nina si trova proprio lì, tra piume nere disseminate sul pavimento e un'angoscia che non riesce a spiegarsi.
Occorre armarsi di coraggio e andare.
Giù in cantina, tra un vecchio jukebox e uno spaventoso merlo indiano, inizia l'inferno. Dal quale Nina e Alfredo, ma anche Rasha e Nur emergeranno cresciuti, nella consapevolezza che le favole sono finite da un pezzo. Almeno "certe" favole.

venerdì 13 dicembre 2024

10 e non più di 10 #28




Quando il corpo pretende chilometri da macinare, nasce il bisogno del compenso. 
L'andata mette fieno in cascina e avvia perlustrazioni.
Il ritorno foraggia stanchezze e cristallizza il furto di stagione.
Un solo frutto, massimo due: per rispetto al proprietario della pianta; perchè il nettare deve solo corroborare, mai saziare.
È un rito pagano, di quelli che non pretendono cerimonie, liturgie.
Uno sguardo nei paraggi.
L'aria di chi si sta ritemprando dalle fatiche.
Il salto, il piegamento, il protendimento.
Il succo è già nei muscoli che alleggerisce l'ultimo miglio. 

giovedì 5 dicembre 2024

"Angeli e demoni" di Dan Brown (trad. A. Biavasco e V. Guani), Oscar Mondandori



Lo scienzato del CERN Leonardo Vetra assieme a sua figlia Vittoria, fanno una scoperta sensazionale: la leggendaria antimateria, con una capacità distruttiva ben superiore a quella dell'energia nucleare, può essere riprodotta in laboratorio. Eppure, nonostante le ricerche e gli esperimenti siano stati condotti nel più assoluto riserbo (nemmeno l'algido direttore del CERN, Maximilian Kohler, ne è a conoscenza), qualcuno sa: della scoperta e, soprattutto, dell'esistenza di duecentocinquanta milligrammi di campione di antimateria. E questo qualcuno ha bisogno in fretta di sfruttare questa scoperta rivoluzionaria. D'altronde, nel momento in cui è stato rimosso dal CERN, il cilindro di antimateria ha iniziato le sue ventiquattro ore di viaggio senza ritorno verso il nulla.

Una pista da seguire c'è: Leonardo Vetra viene trovato morto privato del bulbo oculare e, soprattutto, con una scritta a fuoco vivo stampata sul petto: Illuminati.

Possibile che la setta degli Illuminati sia tornata in auge dopo un oblio di parecchi secoli? E perchè gli adepti della scienza sempre in guerra contro i dogmi della Chiesa e i suoi officianti, avrebbero avuto interesse a uccidere barbaramente uno scienzato e a impossessarsi della particella di antimateria?

Frattanto a Roma, in seguito alla morte del Papa (morto di morte naturale?), si sta per riunire il conclave investito dell'elezione del nuovo pontefice. E i quattro maggiori papabili, non si presentano all'appuntamento. 

Sono scomparsi.

Robert Langdon viene incaricato dal direttore del CERN di trovare una spiegazione all'uccisione dello scienzato. E soprattutto a capire perchè il cilindro è stato sottratto dal laboratorio e dove si trovi adesso.

Lo studioso di simbologia e Vittoria, allora, sulle orme di alcuni grandi illuminati (Galileo Galilei e Gian Lorenzo Bernini su tutti), seguono delle tracce per risolvere il mistero. Come i sassolini di Pollicino disseminati da una mano mefistofelica lungo il percorso, le indagini di Robert e della scienziata s'imbattono nelle ripetute macabre uccisioni proprio dei quattro cardinali assenti dal conclave: sul corpo di ognuno di loro, un ambigramma, rispettivamente della Terra, dell'Aria, del Fuoco e dell'Acqua (i quattro antichi elementi della Scienza) e una morte in sintonia, per modalità e per luogo in cui avvengono le esecuzioni, proprio con ciascun antico elemento.

Ormai non ci sono dubbi: la particella di antimateria è tra le mura del Vaticano, lì da qualche parte. Che fare? Evacuare la città? E il conclave? 

Il camerlengo Ventresca capisce che quello che sta succedendo è qualcosa di troppo grande per la riservatezza consueta in cui sono avvolte le faccende vaticane. Attraverso l'aiuto di due intrepidi giornalisti, allora, lancia la sua sfida agli Illuminati in mondovisione.

Tra dritte contenute in testi custoditi nella Biblioteca del Vaticano, gli "Altari della Scienza" pronti a sacrificare i quattro cardinali, l'antico "Cammino dell'illuminazione" che ancora è percorribile nonostante gli inevitabili cambiamenti urbanistici della città, Robert e Vittoria troveranno la quadra.

A capo di questo folle e sanguinoso piano, ci sarà proprio l'uomo che s'immola per salvare la cristianità e la città di Roma. 

In un continuo susseguirsi di colpi di scena, dove ogni Verità verrà messa in discussione per poi assurgere a nuova Verità da demolire, l'esplosione dell'antimateria farà luce. E non solo nei cieli sopra Città del Vaticano.

 

venerdì 22 novembre 2024

"Canta Carosone", a cura di Gino Castaldo e Antonio Tricomi

    





Canta Carosone è il titolo di questo libro, nel ventesimo anniversario dalla scomparsa del geniale cantante-pianista-compositore Renato Carosone

Il titolo, ça va sans dire, fa il verso all'onnipresente "Canta Napoli!" che il talentuoso imbonitore/pazzariello Gegè Di Giacomo faceva precedere a ogni pezzo.

Come risulta chiaramente dalle pagine dell'opera, la vita e la carriera dell'artista sono improntate alla più disarmante originalità. 

Per quanto riguarda la sua biografia, basti pensare alla decisione di Renato di arruolarsi volontario nel terzo battaglione granatieri di stanza in Africa. Qui conosce la ballerina veneta Italia Levidi, detta Lita, di cui s'innamora follemente nonostante (scandalo per l'epoca!) la sua condizione di ragazza madre. E Pino, il figlio di Lita di cinque anni, resterà il suo unico figlio. 

A Lita dedicherà l'intensa Maruzzella, la sua prima canzone di successo.

Come non menzionare poi, sempre in tema di originalità, la scelta improvvisa e folle per una certa logica commerciale, di abbandonare la carriera al culmine del successo discografico? E sì perchè l'artista napoletano, quando annuncia il ritiro dalle scene (settembre 1959) a soli 39 anni, è una star internazionale, con molti brani primi in classifica (l'arrembante Torero, ad esempio, rimane per due settimane in testa alle classifiche Usa ed è tradotta in ben dodici lingue).

E cosa vi è di originale nella carriera dell'artista dalle "mani staccate dal corpo"?

Innanzitutto le sue canzoni che sostituiscono l'imperante "malinconia da bastonate" (Erri De Luca) con la contaminazione tambureggiante e irriverente. Con alla base però, sempre una profonda conoscenza del pianoforte (a 14 anni sostiene e supera l'esame di V anno al Conservatorio di San Pietro a Majella) e una solida cultura musicale. Prova di questo assunto, è la geniale parodia di un pezzo strappacuore di Gino Latilla, piazzatosi a Sanremo al terzo posto. Ebbene, allo struggente refrain E la barca tornò sola, il virtuoso pianista aggiunge un rivoluzionario E a me che me ne importa declamato, manco a dirlo, dallo scenografico Gegè.

Un'altra prova della sua originalità professionale, è il fatto di essere stato un pecursore di quella che oggi si chiamerebbe "world music", con alle spalle una solida formazione classica (e il Pianofortissimo della maturità, vera summa di tecnica pianistica, è lì a dimostrarlo) quasi nascosta nella sua indole schiva e bonaria, lontana anni luce da certa napoletanità sguaiata da operetta.

Il libro infine raccoglie numerose testimonianze di artisti e amici (Renzo Arbore, Edoardo Bennato, Pino Daniele, Giovanni Block, Gigi D'Alessio, Enzo Avitabile, Stefano Bollani, Rosario Fiorello, etc.) che l'hanno conosciuto, hanno suonato con lui, o sono stati semplicemente ispirati e affascinati dalle sue canzoni immortali: tra le tante, Tu vuo' fà l'americano, 'O Sarracino, Pigliate 'na pastiglia, Caravan Petrol. Senza contare i tanti classici (Io mammeta e tu, Lazzarella, La donna riccia, Malafemmena) messi in repertorio ma rivisitati alla sua maniera; alla maniera cioè inconfondibile e sublime del maestro Carosone, la cui "mano destra è un cecchino, la sinistra è una farfalla dalle ali di piombo. La destra il week-end, la sinistra tutto il resto della settimana" (Joe Barbieri).

venerdì 15 novembre 2024

10 e non più di 10 #27

    


    @tutti

    E le irrilevanze ingolfano notifiche

    @tutti

    E il navigatore si fa divo

    @tutti

    E il vojeurismo s'incista nell'essere

    @tutti

    E il Super-Io si sublima 

    @tutti

    E il totalsocialismo pianta stendardi

venerdì 8 novembre 2024

"Poirot e la strage degli innocenti", di Agatha Christie (trad. Chiara Libero)

    



    Premessa: il titolo di questo libro, in realtà, è il titolo del film tratto dal libro Poirot e la strage degli innocenti (Hallowe'en Party).

    Siamo a una festa di Hallowen in una cittadina di provincia.     A casa della signora Drake, donna energica e autoritaria, vengono organizzati una serie di intrattenimenti per i giovani e giovanissimi invitati. 

    Al termine dell'ultimo gioco della serata, lo snapdragon (in un vassoio pieno di brandy in fiamme galleggiano tanti chicchi di uva sultanina che devono essere afferrati dai giocatori, evitando di scottarsi), i ragazzi si accingono ad andar via, quando vi è la macabra scoperta: in biblioteca, dov'era posizionata la bacinella per il gioco delle mele, la piccola Joyce viene trovata morta. Con la testa tra le mele. Affogata.

    Quando si parla di mele nei libri incentrati sulla figura di Poirot, si finisce per imbattersi, in un modo o nell'altro, nella generosa ed esuberante Ariadne Oliver golosa, per l'appunto, di mele. Amica dell'investigatore belga e giallista di successo, è proprio Ariadne che si rivolge a Poirot per scoprire l'assasino della giovanissima Joyce e il movente.

    Al Nostro non resta che partire dai pochi elementi in suo possesso, ottenuti anche grazie all'aiuto di una nostra vecchia conoscenza: il sovrintendente Spence, già incontrato in Fermate il boia.

    A conti fatti i dati su cui avviare l'indagine sono i seguenti: la vittima era invisa un po' a tutti; era una bugiarda matricolata; durante i preparativi della festa, Joyce aveva rivelato che qualche anno addietro aveva assistito a un omicidio.

    Poirot, allora, viene a conoscenza di una serie di avvenimenti che poi, una volta sapientamente collegati, non possono che portare alla soluzione del mistero: la vecchia signora Llewellyn-Smythe che improvvisamente muore e che, del tutto inopinatamente, lascia tutte le ragguardevoli sostanze alla ragazza au pair; quest'ultima che, dopo essere stata accusata di aver falsificato il testamento, scompare senza lasciare la benchè minima traccia di sè; il "giardino infossato" della signora Llewellyn-Smythe, vero e proprio capolavoro di botanica realizzato dal bellissimo Michael Garfield; la piccola Miranda, enigmatica e profonda come una dea dei boschi; un pozzo "mistico" che custodisce segreti...Ding dong, che puzzo! Il micio è dentro al pozzo.

    Qualche volta, la strada per la perfezione e il bello a ogni costo, è lastricata di morte.

    Come sempre, Hercule Poirot vincerà la sfida. Per nulla facile, in verità.

venerdì 1 novembre 2024

10 e non più di 10 #26


 

Era bellissima, "proprio oggi che..."

«È un superbo brufolo. Non lo toccare. Tra tre giorni maturerà».

Ha insistito per vedermi ogni giorno. 

L'indomani avremmo "quagliato": i suoi non c'erano, casa libera. Alludeva, mi allettava, e continuava a guardare la parte alta della fronte.

          La mattina del terzo giorno, lì in alto, un cratere innevato. Un obbrobrio. Ho poggiato i due indici alla sua base e...splat!

          Mi ha ordinato di confinare la parte alta della fronte nella telecamerina del citofono. Sto da un'ora sotto al portone. Non ha risposto più.

 

 

  

 
  

               

               

 

venerdì 25 ottobre 2024

"C'è un cadavere al Bioparco", di Walter Veltroni (Feltrinelli-Marsilio)

    

    C'è un cadavere abbandonato nel Bioparco, il giardino zoologico della capitale. Ora, detta così la cosa, il ritrovamento sarebbe pur sempre da annoverare nella casistica in cui può incappare un funzionario di polizia. Se però il cadavere è quello di un uomo nudo decollato, la cui testa viene prima mangiata e poi vomitata dall'anaconda del rettilario, per il commissario Giovanni Buonvino si mette davvero male: il funzionario, infatti, è erpetofobico e, in quanto tale, prova un terrore atavico per qualsiasi tipologia di rettile.
    Ciononostante, occorre scoprire colpevole e movente. Come sempre.
   Le indagini serrate si intrecciano ai preparativi del suo matrimonio con l'agente Veronica Viganò che sarà celebrato in Campidoglio.
    Lui solo dopo che la sua Lavinia è andata via con Ludovica; lei altrettanto sola dopo che suo marito, collega, è stato ucciso dalla 'ndrangheta.
    Si sono incontrati e "si è accesa improvvisamente la luce".
  A officiare il matrimonio dei due, un preoccupatissimo Portanova che per evitare di incespicare nella sua vista ormai ridotta al lumicino, impara a memoria gli articoli del codice civile e la formula finale con la domanda agli sposi. E comunque, in caso di qualsiasi problema, c'è sempre l'agente Gozzi a venire in suo soccorso.
  Il commissario Buonvino è costretto a recarsi sul luogo del delitto e ad approfondire la tematica "rettili e affini" con, manco a dirlo, evidenti rivolgimenti di stomaco.
   L'indagine si rivela ben presto un rompicapo: la vittima è un estorsore dalle svariate personalità (e identità), ma anche una persona colta e magnetica. 
   I dirigenti del giardino zoologico, chi per un motivo chi per un altro, sembrano tutti al di sopra di ogni sospetto. Eppure, a un certo punto, proprio la mancanza (apparente) di prove aguzza l'acume del commissario Buonvino. Ed è allora che, tassello dopo tassello messo in fila con cura meticolosa, il funzionario si convince addirittura che troppe persone potrebbero aver voluto la morte di quell'uomo: come nell'Assassinio sull'Orient Express di Agatha Christie, ogni personaggio in commedia potrebbe aver collaborato con gli altri a quel raccapriccinate epilogo.
  Una persona che lavora al Bioparco, però, ha covato un odio troppo feroce per stemperarsi nel tempo che frattanto è trascorso. E, col sottofondo del Lago dei cigni fuoriuscito da uno dei tanti carillons presenti sulla scrivania...
  Il fatidico giorno è arrivato. L'emozione, anche per gli agenti del commissariato di Villa Borghese che hanno protetto quell'amore, è evidente.
  La cerimonia. 
  Portanova che immancabilmente sbaglia gli articoli del codice civile.   
  Giovanni e Veronica pregni di una felicità vera. 
 All'improvviso dei colpi. Faranno sicuramente parte dei festeggiamenti. E allora che c'entra con tutto questo il velo insanguinato e l'ultimo rantolo della sua compagna?
  Da lontano, il rombo di una motocicletta che scappa via.
  Chi è troppo felice fa invidia alle divinità.


    

mercoledì 23 ottobre 2024

10 e non più di 10 #25

Il ronzio delle eliche è in ogni dove.

Fin da quando sono uscite di casa, Fatima e Mahsa hanno dovuto fare i conti con il rumore: l'occhio è dappertutto.

Sono arrivate al lungomare di Beirut.

Si tuffano. Raggiungono lo scoglio prefissato.

Il rollio, tra le nubi, cova attenzione.

Dopo essersi abbracciate, le due compagne si avvolgono nello striscione Fuck Bibi.

L'accusa, il bacio saffico e il dito medio di Fatima rivolta al cielo.

L'odio, dalla distanza, arma il drone.

"Delitto alla Scala", di Franco Pulcini (ed. La Biblioteca di Repubblica-L'Espresso)



L'Arianna di Claudio Monteverdi, la prima tragedia musicale della storia, è stata ritrovata. Ed è proprio quest'opera, notoriamente iettatoria, che ci si appresta a eseguire alla Prima della Scala, la famigerata serata mondana del 7 dicembre.

La direzione è affidata al maestro Oscar Marni, garanzia di sicuro successo.

Eppure le perplessità sull'originalità dell'opera, impregnata di refusi e di "tranelli" musicali, si fanno sempre più forti. Ciononostante il carrozzone del Teatro alla Scala (che lo scrittore Franco Pulcini conosce benissimo per averci lavorato come direttore editoriale), è ben avviato: Iris Guetta, la conturbante e misteriosa Arianna dell'opera, scalda l'ugola che ne dovrà eternare la fama; Olimpio Ferri, il colto e "impossibile" direttore artistico, vigila affinchè la struttura sia ben oliata per la Prima; il maestro De Masi si cimenta con successo nel mondare il testo dagli elementi spuri. Tutto bene, quindi, se non fosse che un mese prima del 7 dicembre, il direttore Oscar Marni viene ucciso. Sul terrazzo del teatro. Un colpo alla nuca. Due dita tagliate, il mignolo e l'indice, infilato l'uno nell'orecchio destro, l'altro nel sinistro.

A indagare è il commissario Abdul Calì, lombardo (molto) d'adozione. Ora, se la prevalenza degli aspetti somatici magrebini sugli italici non è stata mai troppo notata nella sua Sicilia, qui, a Milano...

Per gentile concessione della direzione, gli viene assegnata, con il compito di guidarlo nei meandri del teatro, la giovane Viola che gli diventerà ben presto preziosa: sarà proprio grazie a lei che il commissario Calì riuscirà a orientarsi in quel ginepraio di invidie, pettegolezzi, tradimenti e rivalità di cui è ricco il mondo dell'opera. Poi, certo, ci sarebbe l'attrazione tra due anime complementari...ma questo è un altro discorso.

Il giorno della Prima si avvicina e occorre un colpo di reni per assicurare l'assassino alla giustizia.

Dopo l'iniziale pista passionale (le dita nelle orecchie, conficcate dalla parte mozzata, non starebbero a simboleggiare le corna?) e quella economica (i soldi in ballo sono tanti, per tutto il caravanserraglio di figuri che si affannano attorno alla preziosa opera musicale), la chiave viene trovata nel movente professionale.

La grande musica, si sa, affraterna i popoli ma può, all'occorrenza, anche esacerbare gli animi al punto da spingerli a commettere delitti efferati. Bisogna maneggiarla con cura, la musica. Il rischio è quello che, per sublimarla, la si rovini irrimediabilmente. Proprio com'è successo al Fetonte del timpano del Teatro alla Scala, che per sancire la sua nascita divina (figlio di Elio), ha guidato maldestramente il carro del Sole fino a mettere a repentaglio la vita sulla terra.

10 e non più di 10 #24

«Vorrei un Pinocchio...no, non questo».

Il libercolo della Walt Disney con la sua balena che soppianta il pescecane mi viene squadernato sul bancone.

«Ci sarebbe quest'altro...»

«No, questa è un'edizione scritta male e illustrata peggio».

«Solo 'ste due abbiamo. Pinocchio, soprattutto per i bambini, non tira».

«Scusi, ma lei è avvocato? Ecco, io sarei stato raggirato...due compari lestofanti...mi promettevano di quintuplicare l'investimento...eppure il mio amico me lo diceva...».

«Se a tempo debito un buon Pinocchio avesse tirato...Buongiorno».

"Fermate il boia", di Agatha Christie (trad. G.M.Griffini)

    


    L'assassino è praticamente sul patibolo. D'altronde, la morte della vecchia signora McGinty avvenuta per un colpo alla nuca con un corpo contundente pesante e appuntito, è un caso già risolto: James Bentley, pensionante della vittima in serie difficoltà economiche, viene trovato con la manica della giacca sporca di sangue e capelli, entrambi appartenenti alla signora McGinty. Il movente, alquanto misero, le circa trenta sterline nascoste in camera della signora.

    Eppure il sovrintendente Spence che ha condotto le indagini non è pienamente persuaso della colpevolezza di James Bentley.

    E a chi rivolgersi per esternare le perplessità su una colpevolezza che appare comunque certa oltre ogni ragionevole dubbio? Ovvio, all'ineffabile Hercule Poirot e alle sue instancabili celluline grigie.

    Parte l'indagine, come sempre quando a condurla è l'investigatore belga, immersiva: si sposta sui luoghi del delitto, addirittura va a pensione in una stamberga flagellata dagli odiatissimi spifferi, e con una cucina che attenta impietosamente al suo gusto raffinato.

    Poirot, con praticamente niente in mano, ha una sola traccia da cui partire: le svariate case e le conseguenti famiglie frequentate dalla vittima in qualità di domestica.

    Come un rabdomante, il Nostro cerca di intercettare ogni possibile diceria, suggestione che gli possa aprire qualche spiraglio.

    Nulla, almeno fino a quando Hercule Poirot non si imbatte in un ritaglio di giornale trovato tra le (poche) cose della vittima. È un articolo del Sunday Companion intitolato "Donne vittime di lontane tragedie. Dove sono finite ora?" In calce al pezzo, quattro riproduzioni fotografiche piuttosto sbiadite, evidentemente scattate molti anni prima.

    Perchè la signora McGinty ha avvertito l'esigenza di conservare proprio questo ritaglio di giornale? E perchè lei, che non scriveva a nessuno e che quando lo faceva il più delle volte si serviva dell'aiuto di qualcuno, due giorni prima di morire ha comprato una boccetta d'inchiostro?

    Tutta gente simpatica e perbene quella in cui Poirot s'imbatte, eppure, dalle secche del passato...già, il passato: l'investigatore decide di "andare a vedere". Squaderna le quattro fotografie delle "donne tragiche" sotto gli occhi avidi delle famiglie di Broadhinny indiziate.

    Si mette a osservare quel campionario umano alla ricerca di qualche barlume di reazione. Appena accennato, strisciante, ma qualcosa pur traspare.

    Un'altra signora viene assassinata, prova inequivocabile che Poirot è sulla strada giusta. Gli indizi, stavolta fin troppo copiosi, porterebbero a una donna ma, si sa, ci sono dei nomi femminili che possono andar bene anche per i maschi.

    Le tare familiari non si prescrivono. E per fortuna, perchè proprio grazie a esse l'omino belga salva il collo al povero James Bentley, smascherando il colpevole e trovando il movente. Non senza l'immancabile colpo di scena.

    Ottimo come sempre, cher Hercule.

10 e non più di 10 #23

«Questo è tuo figlio, seppelliscilo».

Una borsa di 23 kg: ossa, brandelli di carne.

Ahmed,13 anni. Smembrato dal bombardamento su Gaza City.

Le mie labbra si mordono a sangue. Poi si schiudono.

L'isteria di una risata deforma il volto di un padre.

Le ossa, quel che resta della carne...e il sorriso di Ahmed?

Le carezze, i baci, il coraggio del bambino svezzato ad attentati e privazioni?

Una borsa di 23 kg, mio figlio.

La mia quota di morte.

E rido, perchè la disperazione è limitata.

"I pesci non chiudono gli occhi", di Erri De Luca

"L'infanzia smette ufficialmente quando si aggiunge il primo zero agli anni". Ma non pensiate che succeda qualcosa che ci faccia improvvisamente diventare grandi. Nossignore, si resta nello stesso corpo di marmocchio dell'estate precedente. Solo la testa tenta una ostinata proiezione fuori dal bozzolo della fanciullezza.

Eppure il decenne Erri De Luca intuisce che, oltre ai libri capaci di spalancare il soffitto del carcerato, c'è bisogno di un confronto, una dualità per saggiare centimetro dopo centimentro, anelito dopo anelito, la crescita del corpo e dell'anima. In aggiunta quindi alle chiacchierate con la mamma spesso irrorate dai suoi silenzi maturi , c'è la corrispondenza impregnata di fatica e piccoli gesti con i pescatori dell'isola. Soprattutto, però, vi è l'incontro con una ragazzina di cui l'Erri maturo non ricorda nemmeno più il nome.

Lei affascinata dal mondo animale in cui ogni gesto ha un significato e dove anche l'azione più cruenta è aliena dalla crudeltà; lui che, fin da piccolo, è alla ricerca della parola esatta, quella che può essere stanata nel cruciverba dei bagni di sole.

I due s'incontrano leggendo "frasi sismiche".

La voce narrante, ben consapevole che con l'atto di nascita si eredita la fatica impressa nello scheletro, sa cosa è in procinto di fare il piccolo decenne: quando decide che è arrivato il momento, offre il suo corpo alla cattiveria dei rivali in amore. Si fa pestare a sangue, per liberare l'anelito alla crescita imprigionato nelle pastoie del suo corpo bambino.

La tacita accettazione delle botte prese, però, non può soddisfare la ragazzina. Il suo innato senso di giustizia ha bisogno dell'accadimento riparatore: i due rivali che se le danno di santa ragione fino ad annientarsi e lui invece, costretto ad aspettare nel buio di una cabina, a guadagnarsi lo scettro della vittoria.

Arriva il bacio, "il primo frutto della conoscenza. Ed è mercurio, quella conoscenza, "un liquido sensibile alla temperatura dei corpi".

Un bacio ad occhi aperti da parte del protagonista, perchè (ormai anche l'Erri De Luca che fu è connesso al mondo animale) "i pesci non chiudono gli occhi".

Le sue mani di bambino, che nel corso degli anni verranno impregnate dall'anelito rivoluzionario, ispessite dallo sfiancante strumento da lavoro ed eternate dall'appiglio sempre sfuggente delle pareti, "imparano lo stupore del verbo mantenere". E lo fanno proprio mentre sono costrette, loro malgrado, a lasciar andar via. In questo caso, per sempre.

Ancora una volta, prima di inziare la lettura di un'opera del maestro, la matita è bella e impugnata: per cercare di assorbire, anche visivamente, i tanti pensieri che scavano dentro e segnano. In maniera indelebile.

Grazie, Erri.

10 e non più di 10 #22

Le strade appiccicose della sagra

I sentieri aggrumati delle Dolomiti

Le rotatorie scontate del supermercato

Le scorciatoie fumiganti delle ferie

I crocicchi ansiogeni delle superstrade.

Il basalto s'impregna di umori

I ciottoli lamentano separazioni

Le curve implorano requie

Gli abbrivi bramano chilometri

Le diramazioni maledicono alternative.

"L'opera al nero", di Marguerite Yourcenar (trad. M. Mongardo)

Questo libro è incentrato sulla figura di Zenone, medico, filosofo, alchimista che si trova a vivere in quel periodo turbolento e ricco di fermenti culturali, scientifici e religiosi che è il Cinquecento.

Zenone è un personaggio immaginario, sebbene siano facilmente ravvisabili in lui gli influssi di Paracelso, Michele Serveto, Leonardo (almeno quello dei Quaderni) e Tommaso Campanella.

Nella sua veste di medico, frequenta sia gli ori dei sovrani che le miserie del popolino appestato, sempre gettando uno sguardo scientifico sulle sofferenze che si trova ad alleviare. E ciò in un'epoca in cui anche nella medicina le credenze la facevano da padrona.

Ben presto, nelle sue continue e vaste peregrinationes, abbandona ogni afflato filosofico, ciascuno portavoce della propria verità, per abbracciare l'alchimia in cui tutto è messo perennamente in discussione.

Ignotus par ignotius, obscurus par obscurius ("Andar verso l’oscuro e l’ignoto attraverso ciò che è ancor più oscuro e ignoto"): questo è il principio che regola il mondo alchemico e che Zenone fa ben presto suo, ossessionato dalla necessità di "intelligere" l'oscuro e l'ignoto per antonomasia: l'animo umano.

Figura fluida (etero e omo, affascinato dalla Riforma pur rimanendo sostanzialmente invischiato nei dogmi della Controriforma, ortodosso e ciononostante incuriosito dalle varie e pervicaci sette politico-religiose) in un'epoca che impone nette prese di distanza, Zenone incarna l'anelito alla genialità allergico, per sua connotazione specifica, agli steccati dogmatici e ideologici.

A ben vedere, è il Cinquecento stesso, con le sue continue sovrapposizioni di scene colte dal chiostro e dai bordelli, dai traffici dei finanzieri così come dai miserevoli banchi di vendita, a trasfondersi nelle corde di questo riuscitissimo personaggio.

Eppure Zenone, dopo aver vissuto innumerevoli vite, sempre in fuga da qualcosa (da se stesso, dalla capillare Inquisizione, dagli insegnamenti che l'avrebbero voluto cristallizzare nei "lumi di Chiesa"), alla fine è costretto a denunciare la sua inaccettabile modernità: genio visionario, sempre in avanti rispetto al tempo in cui gli è dato di vivere.

Alla fine tutto si riduce a una scelta: ritrattare come Galilei, e quindi salvarsi. Dimostrarsi invece inflessibile come Giordano Bruno ("eretico e pertinace"), e inevitabilmente finire sul rogo.

Sullo sfondo, una terza via, sicuramente più vicina a quella di Bruno eppur diversa, che unica può suggellare la sconfinata originalità di Zenone. E lui, immancabilmente, la segue.

Eccola l'Opera al nero del titolo: la fase alchimistica della separazione e della dissoluzione della sostanza. La parte più difficile della Grande Opera che spetta a chi s'inoltra nei suoi imperscrutabili sentieri.

Dopo aver scritto, e mirabilmente, di un personaggio reale (Memorie di Adriano), Marguerite Yourcenar si sofferma sulla figura di Zenone, stavolta inventata ma altrettanto suggestiva e ricca di spunti di quella dell'imperatore romano.

10 e non più di 10 #21

«Perchè?»

«E perchè?»

«Ma perchè?»

Il grumo del mio sapere si stempera già al terzo perchè.

E tu qui a sfiancarmi con la gragnuola dei tuoi perchè.

Impietosa.

Irriverente.

Balbetto, oscillo. Cerco ardite deviazioni.

Sono solo un povero padre.

Ho appena riconosciuto i demoni della mia pochezza.

"Il medico dell'isola", di A.J. Cronin (trad. Fabrizi-Melega)

Robert Murray è un giovane e ambizioso medico scozzese.

Riuscito grazie a considerevoli sacrifici e a un' indubbia bravura ad arrivare fino al Methodist Hospital, dovrà ora occuparsi di un illustre paziente (l'enigmatico Defreece, un piantatore di zucchero che possiede gran parte dell'isola di San Felipe nel Mar dei Caraibi) raccomandatogli dal primario in persona.

Un mese, non di più, durerà l'assitenza medica al Defreece da prestare rigorosamente nell'isola. Il dottor Murray, però, non sarà solo in questo compito: verrà coadiuvato da Mary Benchley, un'infermiera che lui "trovava ripugnante con la sua aria di signorina dell'alta società e il suo comportamento fine e disinvolto".

Una volta sbarcati a San Felipe, il medico e l'infermiera non possono non accorgersi dell'aria tesa e per certi versi inquietante che avviluppa in uno il piantatore, la sua famiglia, e l'intera popolazione.

Per di più la figura del dottor Da Souza, vero plenipotenziario dell'isola, sembra acquistare, vieppiù che le agitazioni degli isolani si fanno veementi, una valenza ambigua e misteriosa.

E se la ferita da fuoco occorsa al Defreece durante il tiro al piccione non fosse stata fortuita? E se la stessa giovane moglie del possidente non fosse morta di febbre locale?

Robert e Mary capiscono, loro malgrado, di avere assunto un ruolo importante nelle vicende che si dipanano a San Felipe.

Per quanto riguarda il dottore poi, lo stesso non può evitare di apprezzare la serietà e l'abnegazione alla causa dell'infermiera. Certo, ci sarebbe pure la sua bellezza, ma qui effettivamente c'è poco da concionare, se non che...

La rivolta monta.

Defreece si sente sempre più minacciato.

Una dolorosa scomparsa spinge il dottor Murray, come in un una esiziale partita di poker, ad andare a vedere.

Al centro di tutto, man mano che gli eventi esterni si congiungono con le sorti del possidente, c'è lui, il dottor Da Souza, con i suoi piani deliranti.

Riusciranno Robert e Mary a poteggere Defreece e a venire a capo dei loschi traffici che attanagliano l'isola?

E se magari i due protagonisti unissero gli sforzi e abbandonassero le reciproche diffidenze per un'unità di intenti (non solo professionale)?

Insolito Cronin, questo de Il medico dell'isola che soggiace, almeno a tratti, alle lusinghe del thriller.

10 e non più di 10 #20

 <Papà, quando arriviamo?>

<Ma la fila è solo per quel catorcio!>

Giraffo il collo e lo vedo.

Un trattore. Del secolo scorso. Sulla scia del mare.

Il popolo delle ferie sobolle.

Il trattore alfine svolta.

Tra clacson, bestemmie, improperi, clandestina cova la mia solidarietà.

E sorrido.

La fatica l'ha vinta sulle nostre pretenziose depilazioni.

"Acqua in bocca", di Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli

Prendi due scrittori, l'uno un mostro sacro (Camilleri), l'altro un giallista sopraffino (Lucarelli); mettici una quarantina d'anni di differenza di età tra loro; aggiungi i personaggi che caratterizzano oltremodo i due autori (l'immarcescibile Salvo Montalbano e l'arguta Grazia Negro); mesci il tutto in uno scambio epistolare in cui, divertendosi a giocarsi tiri (letterari) mancini, imbastiscono una storia avvincente.

Ecco la genesi di Acqua in bocca della premiata ditta Camilleri-Lucarelli.

Un uomo viene trovato morto con un sacchetto di plastica sulla testa. Di fianco al cadavere, ci sono tre pesciolini rossi. Accanto a questa insolita presenza, un'assenza: la scarpa della vittima. Non c'è, non si trova.

Sarà Salvo a sospettare (a ragione) che il tacco del mocassino "modello Tod's" potrebbe essere di capienza "bastevole per nasconderci tutto quello che si vuole, dai documenti ai microfilm".

L'ispettrice Grazia Negro, quindi, ben fa a non vederci per nulla chiaro in questa morte. Anche per la fretta della polizia di archiviare il caso.

Dalla lontana Bologna, una lettera arriva a Vigata: è una richiesta d'aiuto a Salvo Montalbano il quale, pur con qualche esitazione iniziale, finisce per rispondere "presente".

La morte di Arturo Magnifico merita approfondimenti.

Tra servizi segreti, una conturbante Betta che richiama troppo direttamente il pesce combattente (Betta splendens), messaggi cifrati, cassate siciliane e tortellini in trasferta, Mimì Augello in missione (più o meno segreta) e Catarella che continua a "scangiare" parole e significati, Salvo e Grazia finalmente si incontrano.

Ben presto, però, si renderanno conto che sono diventati loro i soggetti da eliminare.

Sarà necessaria tutta la sagacia di Montalbano e l'abnegazione di Grazia per venire a capo dell'intricato groviglio. Ovviamente ci riescono, ma quando si tratta di assicurare alla giustizia l'artefice della morte del Magnifico e di altre persone più o meno collegate, prendono atto di un'amara verità: che, per certi soggetti "deviati", non c'è giustizia che tenga. Occorre eliminarli. Poichè però, (quasi) tutto si può dire di Salvo Montalbano (a lui viene affidato il repulisti) tranne che sia un assassino, ci penseranno gli stessi servizi segreti a completare l'opera solo avviata da Montalbano.

Molto più spesso di quanto si immagini, i Betta splendens si uccidono tra di loro.

"Sipario, l'ultima avventura di Poirot", di Agatha Christie (trad. Diana Fonticoli)

Si ritorna lì dove tutto ebbe inizio: Styles Court.

Come nella prima indagine di Hercule Poirot, anche stavolta, tra le mura di Styles Court (ora diventata una pensione gestita dai coniugi Luttrell), aleggia un'aria sinistra.

Una lettera arriva al capitano Hastings. Il mittente è Poirot che lo invita a recarsi proprio lì, nella pensione incriminata. Mai come adesso, infatti, il celebre investigatore ha bisogno del suo aiuto. La verità è che a causa delle sue disperate condizioni di salute (artrite invalidante, cuore malandato), Poirot è costretto a dipendere totalmente da Curtiss, il nuovo cameriere personale.

Due domande: Poirot è davvero impossibilitato a reggersi in piedi? Perchè, proprio nel momento in cui avrebbe avuto bisogno del suo fidato cameriere di una vita, George, dà il benservito a quest'ultimo e si avvale dell'aiuto del meno acuto Curtiss?

Non appena il capitano Hastings giunge a Styles Court, Poirot gli racconta ben cinque casi, apparentemente risolti brillantemente dalle forze dell'ordine, in cui però niente appare come sembra: il vero assassino, unico per tutte le cinque vicende delittuose, non è mai stato acciuffato. Ma c'è di più: tra le cinque vittime non sembra esserci alcun legame apparente.

Ora, si dà il caso che il deus ex machina di quei cinque omicidi è proprio lì, ospite di Styles Court. E Poirot vuole coinvolgere il fido Hastings nella risoluzione di quest'ennesimo, apparentemente irrisolvibile caso.

È l'ultima occasione per l'investigatore belga di minare dalle fondamenta il dogma del delitto perfetto.

Piccolo particolare: nella pensione alloggia anche Judith, la figlia di Hastings.

Avrà un ruolo in questa storia?

Tra un ferimento dovuto alla distrazione di un tiratore comunque esperto, la morte di un'ipocondriaca causata dalla terribile fisostigmina e un tentato omicidio addirittura perpetrato da Hastings (omicidio, manco a dirlo, sventato indirettamente da Poirot), i nodi vengono al pettine.

Eppure, affinchè cali il sipario sull'intera vicenda e omicida e moventi vengano finalmente scoperti, c'è bisogno che il nostro Poirot consumi anche l'ultima stilla di vita.

Viene così trovato morto, ma non ucciso da qualcuno come pure teme l'affranto Hastings (adesso sì, rimasto davvero solo al mondo, dopo la morte recente di sua moglie) ma stroncato da cause naturali. Non prima però, malgrado la sua storia è lì a testimoniare un'aberrazione totale verso qualunque intento omicida, di essersi trasformato, sì proprio lui, in un angelo vendicatore.

Non per rabbia nè per passione.

Il movente è piuttosto da ricercare nell'assoluta dedizione alla giustizia che non tollera altri sacrifici di vittime innocenti.

Il foro di proiettile al centro esatto della fronte del colpevole (oh, l'amore per le giuste proporzioni di Poirot!) è l'ultimo, impareggiabile regalo che le celluline grigie più famose della letteratura lasciano al Lettore.

Lunga vita, Hercule Poirot!

"La solitudine del manager", di Manuel Vasquez Montalban (trad. Hado Lyria)

Jaumà, importante manager della tentacolare Petnay, viene trovato morto con uno slip da donna infilato nella tasca.

Conclusione ovvia: qualche protettore, esasperato dall'ennesima richiesta sconcia alla sua protetta, decide di reagire in malo modo.

La vedova del manager però non è persuasa di questa conseguenzialità troppo comoda della polizia, e incarica Pepe Carvalho di indagare sul caso.

Il Nostro, che ha conosciuto Jaumà in passato, realizza subito che la versione ufficiale fa acqua da tutte le parti. Non foss'altro perchè il giro delle prostitute e dei magnaccia in uno con le sue dinamiche, è il territorio di caccia dell'arguto detective. A tal punto da meritare l'epiteto di "annusapatte" affibbiatogli da qualche collega malevolo.

Nel suo ufficio sulle Ramblas di trenta metri quadri, foraggiato dai pranzetti alla buona del fido Biscuter e orientato dalle dritte di Bromuro, capisce che bisogna partire dalla fotografia degli anni dell'università per venire a capo della morte del manager: un manipolo di compagni con cui, in un modo o nell'altro, Jaumà ha continuato ad avere rapporti.

Ognuno di loro, a suo modo, ha declinato (a volte fino a tradirlo del tutto) l'ideale della Sinistra, unico argine al franchismo imperante.

In una Barcellona in cui la contestazione nelle strade sembra fare il gioco dei poteri forti, nella quale si fa fatica a scrollarsi di dosso le scorie della dittatura, Carvalho costruisce la sua verità sul caso Jaumà.

Quando poi l'auto di un ispettore della Petnay viene trovata nel greto di un fiume e un vecchio commercialista di fiducia del manager gli dà delle dritte sugli ammanchi della società per la quale Jaumà lavorava, Pepe ha finalmente tutti i tasselli al posto giusto.

L'ordine, però, disturba chi vuole che le cose procedano in un certo modo, e la lezione impartita a Carvalho e alla sua Charo, sta lì a dimostrarlo.

Non resta che accettare l'invito per "uno scambio di opinioni" nella villa del personaggio che sta dietro la morte del manager e dei magheggi della Petnay.

Il disincantato Carvalho ascolta la versione del deus ex machina, corredando la sua tesi dei pochi risvolti motivazionali che non poteva conoscere.

Non c'è null'altro da sapere.

Non resta, per sottolineare la sua contrarietà al gioco che gli viene decantato, che versare il Nuit de Saint Georges del '66 direttamente sul tappeto. Sacrificio, per chi conosce la venerazione del nostro Pepe per il buon vino e il cibo, sicuramente considerevole.

Uscito fuori dalla villa faraonica, Carvalho "aveva l'intera geografia del cervello occupata dall'espressione la solitudine del manager".

10 e non più di 10 #19

Le diottrie che mancano, la mia via di fuga.

Gli anni si sommano e le brutture, le ovvietà, le meschinerie si accumulano. E quando la misura è colma, mi tolgo gli occhiali.

Su un uomo banale, un palazzo orrendo, un comportamento indegno la mia miopia stende un velo di sfocata strafottenza. E di finzione.

Perfino l'attempata Conchita sopra di me, d'improvviso, si estenua in nervature adolescenziali.

Sul substrato ributtante della quotidianità, erigo un mondo finalmente accettabile.

"L'uomo solo", di Luigi Pirandello

Il filo conduttore di questi quindici racconti contenuti nella raccolta Un uomo solo, è la solitudine dei vari protagonisti a cui si contrappongono, in un modo o nell'altro, le trame respingenti della società. Una società, questa pirandelliana, sempre pronta a marchiare ogni minimo comportamento appena appena insolito del personaggio di turno, con le stimmate della stravaganza e dell'alienazione.

C'è la novella che dà il nome alla raccolta in cui i Groa, padre e figlio, due monadi smarrite nel caffè di via Veneto, non trovano altro linguaggio comune che quello, rispettivamente, del bisogno di ritornare con la moglie amata, e della presa d'atto dell'impossibile riappacificazione tra i genitori. Il Groa padre, prigioniero di un corpo sguaiato rispetto alla delicatezza del suo sentire, capisce che per vincere la solitudine non gli resta che balzare sull'argine del fiume e farla finalmente finita.

Ne La cassa riposta una serie di equivoci, anche esilaranti, esaltano la furbizia dell'avaro Piccarone che riesce a spuntarla pure di fronte a un'evidente accusa di colpevolezza.

Il treno ha fischiato è la spiegazione che Belluca, sottomesso e mansueto computista, dà della sua ribellione. Dove gli altri vedono pazzia, c'è solo la constatazione di una realtà diversa da quella misera in cui i casi della vita, a volte, ci incasellano.

In Zia Michelina c'è la frustrazione di veder immolati i principi cardine (come l'amore filiale di una mamma adottiva verso il figlio) all'altare delle piccinerie dell'utile.

Una carrozza di un treno, i passeggeri che parlono dell'eroismo di alcune persone in costanza di eventi estremi come i terremoti. Ne Il professor Terremoto, eccolo il racconto di chi sovverte l'umano sentire: anche l'eroe che salva vite umane può indirettamente compiere il male.

La veste lunga è la certificazione di una maturità arrivata troppo presto. Per liberarsi del calcolo altrui, non resta che quella boccettina che occhieggia dalla borsa del papà che accompagna Didì a un destino segnato.

Ne I nostri ricordi si affronta il tema dell'inaffidabilità di quanto rielaborato, a distanza di tempo, dalla nostra memoria.

Quando la convinzione di tutti diventa certezza, c'è sempre un evento, un comportamento che demolisce dalle fondamenta ogni asfittica costruzione. Questo è l'argomento trattato in Di guardia.

In Dono della Vergine Maria anche l'estrema consolazione, quella della fede, non solo è fallace, ma finisce col punire i miserrimi casi del protagonista, tal Don Nuccio D'Alagna, fino a perderlo del tutto.

La verità è la logica elementare di Tararà che, davanti ai giudici della Corte d'Assise, non può che prendersela con la moglie del cavaliere, colpevole di aver rivelato la tresca tra sua moglie e il nobile e averlo, così, costretto a farsi giustizia con le sue stesse mani.

In Volare la passerotta chiusa in gabbia, allevata a privazioni e a stenti che alla fine trova la strada della libertà, diventa metafora della vita di Nenè.

Il coppo è l'ultima occasione del pittore Bernando Morasco per riscattare una vita di principi e di rinunzie. Riuscirà ad annientarsi nel funzionamento del coppo che fende l'acqua del fiume?

Delusioni e malattie sono anche lo scenario dell'altra novella, La trappola, in cui l'ingabbiamento in una forma corporea (tema tanto caro al maestro Pirandello) viene ancora una volta ad annichilire il protagonista.

Notizie del mondo è una corrispondenza singolare tra due amici, di cui quello che è rimasto qui s'incarica di notiziare delle miserie umane l'altro che ormai non è più. Eppure, in questa fedele ricostruzione degli eventi, il sopravissuto non può esimersi dal difendersi dalle illogicità della vita.

L'ultimo racconto, La tragedia di un personaggio, è l'apoteosi del "cannocchiale rivoltato": il rimedio cioè che consente a Fileno di guardare il presente da una prospettiva lontanissima, che sola può alleviare le angosce e i patemi dell'attualità.

10 e non più di 10 #18

L'afa dei trapassati pomeriggi

inzacchera la fiamma dei fornelli.

La caffettiera cova magmatici assoluzioni.

L'ultimo brontolio in cattività

è il basso che dà l'abbrivio alla campanella.

Dalla scuola di prossimità indiscrete

i bambini squarciano la pinguedine estiva.

Il caffè scorbutico

increspa un riflusso di spensieratezza.

Inestimabile.

"Mia suocera beve", di Diego De Silva

In questa seconda opera del corrosivo De Silva, poco cambia: l'avv. Malinconico è sempre qui a rimuginare su atteggiamenti, a fare le pulci a convinzioni e idiosincrasie del nostro (complicatissimo) vivere quotidiano.

Ma allo sguardo rivolto su se stesso che non può prescindere dalla codifica dei comportamenti esteriori, si aggiungono, nell'ordine, il processo in diretta imbastito dall'ing. Romolo Sesti Orfeo (tra il banco frigo e i pelati del supermercato) e il "cattivo male" che viene diagnosticato alla suocera, la mamma di Nives.

E se per il processo a favor di telecamera a circuito chiuso ripreso, manco a dirlo, dalle tv di ogni ordine e grado, vi è la critica feroce alla giustizia celebrata nei tribunali (lenta, goffa, impacciata...praticamente inconcludente), per ciò che attiene ad Ass, la suocera di Malinconico, ci troviamo di fronte a un personaggio di una causticità senza pari. Spirito indomito, quest'ultimo, che solo sa apprezzare la trovata (geniale, perchè qualche volta, anche il Nostro brilla di luce propria) della bottiglia di wisky recapitata al capezzale dell'ammalata.

C'è odore di riscatto, caro Vincenzo: da un lato, infatti, vi è il figurone coram populo (l'ospitata dalla Bignardi è lì a certificarlo) rimediato quando ti sei messo a rintuzzare il populismo esasperato dell'ingegnere che, oltre al delinquente che gli ha ucciso il figlio, tiene sotto scacco l'Italia intera; dall'altro, il fatto che l'imprevedibile suocera vuole che sia proprio tu, più della figlia e degli amati nipoti, a farle compagnia (una compagnia che rifugge da ogni retorica) in questo esiziale momento della sua vita.

Ma vuoi vedere, che gira gira, ti stai affrancando dall'insuccesso sempre in agguato? Chiedere al mandrillo Ragionier (finto dottore commercialista) Espe, coinquilino di studio, per averne conferma.

Sullo sfondo, accanto all'immancabile canzone, possibilmente d'annata, da scandagliare (Se bruciasse la città di Massimo Ranieri e Diario dell'Equipe 84) vi è la storia con Alessandra Persiano che ormai è giunta ai titoli di coda. Ma poichè, come per la prima legge di Newton, un corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finchè non intervengono forze esterne a modificare tale stato, la realtà, adesso è chiaro, non supera la fantasia, l'abbassa solo di livello. E allora, caro Malinconico, sai cosa ti dico? Che il telefono che "squittisce e vibra" come un topo che ti vorrebbe riconsegnare tra le grinfie della femme fatale, fai bene a ignorarlo. Altrochè.

Benvenuto nel mondo dei grandi, Vincenzino bello, in cui puoi permetterti anche il lusso di avvalerti della facoltà di non rispondere e lasciare che le cose se la sbrighino da sè, una volta e per sempre. Già, proprio così: come si cucinano, si "minestrano", e a fanculo tutto il resto.

10 e non più di 10 #17

Uscite fuori,

eletti col bagaglio di quiz a risposta multipla,

marci del qualunquismo delle liste civiche,

nullafacenti delle amicizie influenti,

stercorari dalle zampette instancabili.

Jatevenne,

adepti della vacuità multiuso,

praticanti del cerchiobottismo senza ritegno,

vuoti a perdere dopo la grande abbuffatta,

cono d'ombra di ogni singulto di dignità.

"Ragionevoli dubbi", di Gianrico Carofiglio

Guido Guerrieri, stavolta la cosa si fa compromettente, e a livello sentimentale, e dal punto di visto professionale.

Andiamo con ordine: Margherita vuole parlargli, e Guido s'immagina già intento a cullare il bambino che verrà. Che dovrà venire. Ma, a volte, si sa, le aspettative vengono tradite dal cinismo della realtà.

La sua compagna ha ricevuto una proposta di lavoro che la porterà via per molto tempo. E nel momento in cui glielo dice, Guido Guerrieri ha la netta sensazione che dietro questa comunicazione c'è già una decisione. Di cui occorre solo prendere atto.

L'avvocato Guerrieri si ritrova solo, in un'età in cui le rotture cominciano a far presagire esistenze spaiate.

Dal passato riemerge una figura, Fabio detto Raybàn, che ha segnato l'adolescenza di Guido. Erano i tempi della contrapposizione tra i picchiatori fascisti e gli idealisti di sinistra e, manco a dirlo, attraverso quel Fabio, il Nostro si è imbattuto per la prima volta nei soprusi al retrogusto di manganello.

Ora, a distanza di tanti anni, il picchiatore viene a chiedere aiuto proprio all'avvocato Guerrieri: è stato sorpreso con un rilevante carico di droga di ritorno dal Montenegro assieme alla moglie Natsu e alla piccola Anna Midori, ma lui giura di non saperne niente. Per giunta il difensore che gli si è offerto con modalità alquanto sospette, un tale Macrì dal passato non proprio adamantino, sembra spingerlo verso una condanna inevitabile.

L'avvocato Guerrieri, scelto perchè, oltretutto, lei è una persona onesta, capisce ben presto che di quel Raybàn della gioventù non è rimasto niente. A ribadirglielo, è la conturbante Natsu. Già, Natsu: una bellezza destabilizzante, che ha il fascino di una promessa di condivisione.

Attento, Guido: la faccenda, con i suoi cortocircuiti, è maledettamente rischiosa. Occorre infatti, nell'ordine, difendere chi per logica appare inesorabilmente colpevole, andare contro il dogma intoccabile della solidarietà tra colleghi e, infine, porre argine alla piena di un trasporto (una donna, la figlia mai avuta che, a questo punto, probabilmente mai si avrà) che tu proprio non ti puoi permettere.

La matassa, alla fine, verrà sbrogliata, sebbene la vittoria processuale si alimenti della rinuncia agli affetti appena lambiti. Non resta che citare la battuta finale di "Casablanca" (Louis, credo che questo sia l'inizio di una bella amicizia) mentre il prezioso Carmelo Tancredi e Guido si perdonano a vicenda una provvidenziale alzata di gomito. Poi, quando si tratterà di fronteggiare malinconie e angosce, ci sarà sempre qualche libro notturno de L'Osteria del Caffellatte pronto alla bisogna.